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Lea Garofalo: non è un delitto di mafia?

Creato il 28 febbraio 2012 da Yellowflate @yellowflate

Lea Garofalo: non è un delitto di mafia?Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia che sembrava essere stata uccisa con la “Lupara bianca”, ora, si scopre non è stata nè sequestrata nè uccisa dalle ndrine. Lea Garofalo era  Non è stata la ‘ndrangheta a sequestrare, uccidere e sciogliere nell’acido Lea Garofalo, la pentita calabrese che aveva collaborato con la magistratura per denunciare il clan legato all’ex compagno Carlo Cosco. I giudici sono infatti arrivati alla conclusione che la donna, sequestrata e uccisa a Milano nel 2009, non è una vittima di mafia. E così gli imputati del duplice omicidio hanno la sola aggravante della premeditazione. Continuano le testimoniante di Carlo Cosco, compagno di Lea, dei fratelli che non sono quindi sotto accusa, scrive il “Corriere della Sera”, per aver agevolato il clan di ‘ndrangheta di cui la Garofalo aveva parlato con i magistrati. Eppure proprio per questo suo comportamento Lea fu punita con la morte.

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Nel dibattimento milanese il pm Marcello Tatangelo chiederà le condanne per un delitto che al momento non presenta l’aggravante di mafia. E così adesso, con il processo arrivato ormai alla conclusione, il legale di due parti civili, la madre e la sorella di Lea, sta chiedendo a pm e corte d’assise di inserire quell’aggravante. Roberto D’Ippolito, avvocato di Santina e Marisa Garfola, rispettivamente mamma e sorella della vittima, insiste dicendo che già le indagini preliminari avevano fatto emergere che “tutti i reati addebitati agli odierni imputati sono stati commessi con modalità d’azione di stampo mafioso e con il preciso scopo di agevolare l’attività di un’associaizone di tipo mafioso, segnatamente della cosca di ‘ndrangheta di Petilia Policastro”.
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Al momento degli arresti degli attuali accusati l’aggravante mafiosa era stata contestata. Il giudice però l’ha respinta spiegando che, nonostante i Cosco e gli stessi Garofalo facciano storicamente parte di contesti di ‘ndrangheta, questo “sfondo” appare “troppo generico e coloristico per poter individuare una cosiddetta cosca di Petilia Policastro. Oggi l’unico dato certo è che i Cosco ammazzano per favorire se stessi”.

Dal momento che finora il pm non ha riproposto l’accusa, quella contestazione non è più stata risollevata. E adesso il legale però insiste perché quell’imputazione venga riproposta dalla pubblica accusa. E a sostegnao di questa richiesta D’Ippolito sottolinea che dopo il sequestro Lea fu interrogata per sapere cosa aveva rivelato agli inquirenti. Un altro pentito ha dichiarato che il proponimento di uccidere e far sparire il cadavere di Lea era stato manifestato da Cosco “ad altri due reggenti della ‘ndrangheta calabrese”. Si intendeva far passare l’esecuzione per delitto passionale. E il legale di parte civile precisa che, in questa fase, il rischio è proprio quello di agevolare un intendimento dei killer. Che si riduca tutta la vicenda a un fatto puramente “d’onore”, tenendo fuori la cosa più importante: lo stampo mafioso.

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