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Legge di stabilità: ecco tutte le fregature nascoste

Creato il 31 ottobre 2015 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

Il Governo ci incanta dicendo che la manovra taglia le tasse, ma la realtà è molto diversa. La Legge di Stabilità è realizzata in gran parte in deficit, rinvia ai prossimi anni gli aumenti più onerosi e delega gli enti locali alla riscossione delle imposte. Le formule possono cambiare, ma i dati non mentono: come Capire Davvero la Crisi vi aveva già detto, in Italia le tasse scendono ma sempre dal prossimo anno. E se qualcuno vi dice il contrario, molto probabilmente sono menzogne.

Doveva essere la manovra “col segno più”. La finanziaria, come si diceva una volta, dell’abbattimento delle tasse. Peccato che la Legge di Stabilità 2016 fondi la propria forza sul rinvio degli aumenti, più che non su tagli reali. E nasconda tante, troppe bugie. Vediamo quali.

Di certo c’è solo che è stata presentata in Parlamento. La Legge di Stabilità 2016 è progredita tra incertezze e punti interrogativi, senza che ai cittadini sia dato di sapere cosa contenga realmente la manovra per l’anno prossimo. Il disegno di legge presentato dal ministro Padoan è stato firmato dal Presidente della Repubblica e presentato in Senato domenica 25 ottobre, anche se non c’è ancora una calendarizzazione ufficiale del dibattito.

 La prima bugia del governo arriva già sulla data: il presidente del Consiglio Renzi aveva annunciato la Legge approvata dal Consiglio dei Ministri il 15 ottobre, con una presentazione via Twitter che limitava le domande dei giornalisti ai 140 caratteri del social dell’uccellino. Nonostante la legge stabilisca che i ddl Stabilità e Bilancio vadano consegnati alle Camere “entro la metà del mese”, l’esecutivo ha aspettato, non si sa bene perché, quasi altre due settimane.

Anzi, un motivo per questo ritardo lo si può forse ipotizzare: non sarà che il premier voglia far passare più tempo possibile tra le promesse mediatico-elettorali e il riscontro inesorabile del fact-checking?

Vediamo un po’ quali sono state le promesse fatte in questi mesi, come e quanto sono state rispettate.

 Lo spot elettorale sulla Tasi

Quella sull’abolizione della Tasi, ad esempio. Parlando al Meeting di Rimini, il 25 agosto il presidente del Consiglio annunciava: “Via Imu e Tasi per tutti.” E di fronte alle proteste di chi riteneva che il provvedimento non fosse equo, replicava: “Basta con i giochini, i castelli sono pochi”. La misura da inserire nella manovra, insomma, si sarebbe applicata a tutti. Peccato che meno di due mesi dopo, il 20 ottobre, sia tornato precipitosamente sui propri passi, correggendo il tiro: “Abitazioni signorili, ville e castelli continueranno a pagare la Tasi.” Il provvedimento, che secondo il responsabile economico del Pd Filippo Taddei dovrebbe valere 85 milioni (su una manovra da 27 miliardi), riguarda le categorie catastali A1 (abitazioni signorili), A8 (ville) e A9 (castelli e palazzi con pregi artistici o storici).

Ma i proprietari di ville e case signorili non sono i soli che vedranno rimangiarsi le promesse fatte loro (anzi, fatte “a tutti”) dal premier.

La Tasi, infatti, resta anche per gli inquilini che vivono in affitto ma non hanno scelto come “prima casa” l’abitazione per cui pagano la pigione. Prendiamo ad esempio il caso di un lavoratore pendolare che affitti un appartamento a Milano pur avendo la residenza a Roma, dove, poniamo, ha acceso un mutuo con le agevolazioni sulla prima casa. Ebbene, in questo caso dovrà pagare la Tasi a carico degli inquilini, alla faccia delle promesse del governo.

C’è poi la questione della cosiddetta “Super-Tasi”, la possibilità per i Comuni di aumentare dello 0,8 per mille l’aliquota di Imu e Tasi sulle seconde case. Un vero e proprio aumento di tassazione che Confedilizia ha stimato in due miliardi di euro qualora i sindaci avessero deciso di applicare il massimo della tassazione.

La stangata, pur inferiore alle previsioni, ci sarà. Se all’inizio era prevista per tutti i comuni, ora la maggiorazione per Imu e Tasi è stata limitata alle sole città che l’hanno già applicata.

 Gli aumenti di Irpef ed Irap scaricati sulle Regioni

Nella versione definitiva della Legge è stato inserito un intero comma, all’articolo 4, che blocca la fiscalità di Regioni e Comuni per “contenere il livello complessivo della pressione tributaria”. L’obiettivo è evitare, almeno sulla carta, di scaricare sugli enti locali quello sgradito ruolo di esattore che lo Stato evitava di assumersi in quanto scomodo.

Peccato che a questa regola siano previste deroghe molto importanti. Il blocco delle addizionali Irpef ed Irap, infatti, non si applica alle Regioni con problemi di bilancio. Che tanto per dire sono Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia. Con conseguenze incalcolabili, ad esempio, sulla sanità. Il taglio al fondo sanitario nazionale (111 milioni di euro invece dei 113 promessi) rischia di costringere le Regioni in difficoltà ad aumentare anche i ticket sulle prestazioni sanitarie. A tutto danno, così, dei cittadini.

Il governatore del Piemonte (Regione con i conti in rosso per 5,8 miliardi) e presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino ha presentato polemicamente le dimissioni.

Similmente, peraltro, dal blocco della fiscalità locale sono esclusi anche gli enti locali che dichiarino il dissesto o il predissesto. Ai sindaci, infine, è stata lasciata mano libera anche per quanto riguarda la Tari, cioè la tassa sui rifiuti, in aumento ormai da anni. Per il 2016 c’è da tremare.

 Altro che tasse tagliate: gli aumenti sono solo rinviati

Grande impegno è stato profuso per evitare misure largamente impopolari come l’aumento di Iva e accise sul carburante, previsto dalle clausole di salvaguardia. Questa eventualità, però, è stata scongiurata per il solo 2016: dall’anno successivo si potrà di nuovo parlare di aumenti.

Il governo tuttavia ne ha approfittato per spacciare come taglio delle tasse quello che in realtà è solo un mancato aggravio di aumenti rimandati, probabilmente, di qualche mese.

Come hanno ricordato Alberto Alesina e Francesco Giavazzi in un editoriale pubblicato settimana scorsa sul Corriere della Sera– e per la verità assai critico verso la manovra del governo – sono in pochi ad avere anticipato gli acquisti prevedendo un aumento dell’Iva a primavera. Ma se si analizzasse la Legge di Stabilità dal loro punto di vista, al netto cioè della cancellazione dell’aumento dell’Iva, rimarrebbe un contributo negativo alla domanda per 2,2 miliardi, cioè lo 0,1% del Pil. (Questa cifra, aggiungiamo per completezza, è ottenuta sottraendo 2,4 miliardi di tagli netti alle tasse ai 4,6 miliardi di tagli nette alle spese.)

 Una manovra in deficit

La manovra è realizzata largamente in deficit (aumenterà di 14,5 miliardi) e per questo si è attirata le critiche dei rigoristi alla Mario Monti, ma non solo: anche liberisti come Brunetta l’hanno attaccata. Il taglio alle spese è limitato – non più di cinque miliardi – e le riforme messe in cantiere, dal Jobs Act alla Buona scuola, sono molto costose.

Se dal 2016 si allarga lo sguardo agli anni successivi, il quadro roseo dipinto dal governo si scioglie come neve al sole.

Come ha scritto proprio Renato Brunetta su Il Giornale, la pressione fiscale complessiva, che nel 2015 era al 43,7%, a meno che si riescano – ma l’eventualità è improbabile – a disinnescare le clausole di salvaguardia, l’anno successivo aumenterà al 44,2% e nel 2017 salirà ulteriormente al 44,3%. Alla faccia del “meno tasse per tutti”.

I nodi politici

Come non bastasse, ci sono alcuni nodi ancora da sciogliere che, si può immaginare, complicheranno non poco l’iter parlamentare di approvazione della legge, a partire da quello dell’annunciato blocco dell’indicizzazione delle pensioni sopra i 2000 euro, che già ha suscitato le proteste dei sindacati e l’ennesima, parziale, marcia indietro del governo che ha promesso interventi correttivi. C’è inoltre l’innalzamento del tetto per l’uso del contante da mille a tremila euro, criticato dentro e fuori la maggioranza. Almeno su quello, però, Matteo Renzi è stato coerente e ha mantenuto le promesse.
È facile prevedere, però, che su questa misura le opposizioni esterne ed interne al governo non rinunceranno a dare battaglia.

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