Magazine Cultura

Leggilo ancora Sam

Creato il 01 luglio 2012 da Albertocapece

Leggilo ancora SamAnna Lombroso per il Simplicissimus

Stamattina ero proprio risoluta, è necessario far posto ai libri nuovi sacrificando qualcosa, stipando vecchi volumi, appena sfogliati o letti con inquietudine, in scatoloni da mettere in cantina, e altri offrirli a qualcuno, un circolo, una scuola. Si, ma che se ne fanno di Wright Mills, dell’eroe dei mille volte, dell’uomo è antiquato, della questione meridionale, di Silvio Ceccato, di Snow, di Havemann? Non cattivi maestri, certo, ma testimoni disattenti forse, interpreti impotenti, certo, profeti disarmati, sicuramente.

Eppure quanta animazione c’è tra quei volumi e che nostalgia ci prende proprio come rimproveravamo ai nostri genitori, quanto rimpianto di certe voci, certe figure di anni passati, di quella vitalità, civile, lirica, drammatica eppure ottimista, creativa, luminosa, quel sale della terra che ci manca in questa età difficile ma mediocre, tragica eppure insipida.

Si, che rimpianto di quei fermenti nei quali pubblico e privato sconfinavano in vicende umane straordinarie, note o sconosciute, in incontri fatali, in vocazioni sentite e realizzate o in tentativi, belli e innocenti, di piccolo eroismo, con il senso di essere in una “comunità”, in un’area colorata popolosa di educatori e pedagoghi, di scrittori e analfabeti, di pianificatori e riformatori, di integrati e apocalittici ma tutti dentro una società classista, è vero,  irrisolta tra arcaismi e modernità, ma dove spiccavano le figure di chi, stanco delle visioni maggioritarie, rompeva vincoli e schemi.  Magari non li abbiamo conosciuti per età, non li abbiamo sfiorati per lontananza geografica, ma come non rimpiangere Danilo Dolci, Carlo Levi, Rossi Doria, Claudio Napoleoni, Federico Caffè, Zevi e le riviste, Nuovi argomenti, il Ponte, Cinema nuovo, il Contemporaneo e poi Quaderni piacentini. E i film. E i pittori. E le utopie ce passavano per una macchina da scrivere o viaggiavano su una autostrada in mezzo alle geografie della speranza.

Si devo essere diventata vecchia tutto d’un colpo. Come disse Wilder rimpiangendo la scelta di Bogart in Sabrina: accidenti gli ho fatto il contratto proprio nella settimana nella quale è invecchiato.

È che è difficile arrendersi che si sia definitivamente concluso un tempo fertile di entusiasmi, che si sia inaridito quel paesaggio di persone convinte che il mondo potesse cambiare in meglio anche grazie a loro, prima che quella fiducia si incrinasse, prima che la parola “crescita” sostituisse “rivoluzione”, prima che il profitto esautorasse i diritti e il gioco d’azzardo finanziario cancellasse gli altri beni compreso il lavoro. Quando quelle “minoranze” hanno sbandato, quando in molti hanno ceduto alle promesse di un sistema che si sarebbe guardato dal mantenerle, quando l’anestesia delle coscienze è approdata alla non-speranza nascosta dietro l’idolatria dei consumi e dell’accumulazione.

Come anche da laici, non si può non essere incantati dal “io non accetto” di Aldo Capitini: “Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non l’accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così com’è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà così fatta non merita di durare”.

Io non accetto. A volte mi sembra che siamo rimasti in pochi a non accettare, che sia esiguo il numero di quelli che cercano un’alternativa concreta e fattiva all’accettazione del mondo così com’è, perfino nella coscienza dell’impossibilità di poterlo cambiare nella propria permanenza in vita.

Non so se oggi l’intellettuale “impegnato” avrebbe ragione d’essere, che senso abbia la definizione del suo “pegno”, se non suoni ridicola la sua auto-investitura di portavoce mediante firme sotto appelli, petizioni e non nasconda solo la difesa di qualche privilegio, di qualche contratto in televisione, di qualche consulenza eccellente e perché no? di qualche candidatura. Dove sono gli artisti e intellettuali che schierandosi a fianco dei reietti, degli oppressi, dei diseredati, hanno affrontato carceri, patiboli, gulag e lager, investiti dalla pressione eroica e tragica di ideali rivoluzionari e realtà sovietiche, guerre tra nazioni e guerre dentro le nazioni, fascismi, nazismi e implacabili borghesie capitaliste?

La scolarizzazione, la comunicazione, la globalizzazione hanno reso tutti a vario titolo intellettuali, una moltitudine scontenta e disillusa, man mano che aumentava il popolo di quei reietti, di quei diseredati, di quegli oppressi dei quali fanno ormai parte anche loro.

E allora questo ceto medio universale non dovrebbe ritrovare il valore e la gloria della dignità e della bellezza di una impresa affrontata per amor di giustizia, di libertà e per il bene comune? Non dovrebbe invece di compiacersi per le improbabili battaglie di conquista europea di una leadership del disastro di Monti, dichiararsi al fianco dei 145 lavoratori iscritti alla Fiom, che la  Fiat ha confermato di non voler  assumere a Pomigliano facendo ricorso in Corte d’Appello contro la sentenza del Tribunale di Roma? Non dovrebbe battersi contro un sopruso perpetrato ai danni dei lavoratori, per principio di rappresentanza e dello stato di diritto?

Forse pensa, questo nuovo ceto oppresso a sua insaputa – ma solo perché preferisce non accorgersene – di non essere ancora toccato dalla guerra che gli è stata mossa. Forse pensa che i proiettili non arriveranno  nelle file più indietro: in fondo stanno sparando alle prime file e magari succederà qualcosa, si verificherà un prodigio, scenderà dal cielo un salvatore.

No, la salvezza deve venire da noi, dalla disubbidienza, dal pensiero, dallo studio, dalla ritrovata libertà di immaginarsi un altro futuro. Io non ci sto.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :