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Leonardo Sciascia – “PORTE APERTE” alla coscienza critica e alla certezza del Diritto.

Creato il 04 ottobre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Sciascia_palazzolodi Maria Teresa Santalucia Scibona. Coerente al suo ruolo di scrittore rigoroso, senza cedimenti o imposizioni, Sciascia non transige sui valori essenziali dell’uomo e non rinuncia alla scomoda responsabilità di sentirsi “coscienza critica”, che combatte da sempre l’ambiguità dei compromessi e si oppone allo “ strapotere dei poteri”.Anche se per dar spazio al suo innato senso di giustizia e alla profonda libertà interiore rischia amarezza e delusioni o di esserefrainteso e isolato.

Tuttavia, la sua incessante voce di protesta non si limita al puro diletto letterario o alla mera suggestione ideologica. Nelle opere più incisive (Le parrocchie di Regalpetra ’56; Gli zii di Sicilia ’58 ; Il giorno della civetta ’61; Il Consiglio d’Egitto ’63; A ciascuno il suo ’66; Toto modo ’74; Candido ’77; L’affaire Moro ’78 e altre), Leonardo Sciascia con vigore e passione, ha sempre privilegiato “la cultura del diritto”. É infatti necessario mantenere integra la certezza del Diritto che rappresenta l’unico baluardo valido atto a garantire e conservare con salda e limpida giustizia, la libertà della persona umana, ossia il bene più esclusivo e vitale che l’uomo possieda.

   IMPEGNO CIVILE Parte II°

In una memorabile intervista lo scrittore sottolineò:- ”Questa idea del diritto, mi porta oggi raccogliere tanti fastidi. C’è chi mi dice chi telo fa fare? Ma appunto perché non me lo fa fare nessuno io lo faccio.” Ogni suo lavoro è quindi un prezioso strumento di impegno civile, un’accorata denuncia delle storiche insanabili piaghe italiane. Il suo aspro giudizio sugli uomini e sulla storia, che nella sostanza si ripete, con le stesse connotazioni negative, serve a renderci vigili sulla rassegnata apatia con cui accettiamo e sopportiamo di venire invischiati nelle spire di questa violenza senza fine, che invade e sommerge ogni livello della nostra quotidiana esistenza.

Anche se in “Porte aperte”, l’autore afferma che:-“……spesso ci si sbaglia nel giudicare i nostri simili come del tutto simili a noi. Ce ne sono di peggio, ma cene sono anche di meglio”, come il mite piccolo giudice che incalzato dal pavido e gommoso conformismo, giganteggia per la sua integra statura morale.In questo breve romanzo, robusto e compendioso nei contenuti, Sciascia affronta la scottante tematica della pena di morte.

Tale tipo di condanna, per la sua delicata natura l’ha sempre ossessionato. Egli la definisce una “tortura estrema” e condivide il pensiero di Savinio :-“ Non uccidere è un principio inderogabile e indiscutibile.” La pena capitale è stata abolita in tutte le Nazioni che si reputino civili, ma per Sciascia alcune non possono considerarsi tali nel senso ampio del termine, se Applicando legalmente l’inumana sanzione penale, possono togliere la vita a una persona, negandogli l’opportunità di riscattarsi per i gravi reati commessi.

 

PIENO ILLUMINISMO Parte III°

Considerazioni finali

Non si possono infatti condividere le teorie politiche di coloro, che annullano l’incalcolabile valore dell’essere umano. Piero Calamandrei faceva notare che: “La pena di morte non può mai essere giusta anche se lo Stato lo proclama”.

Lo scrittore con rammarico sostiene che ormai il diritto è divenuto una branca della letteratura e quindi siamo in pieno illuminismo. Ma il piccolo giudice sa che “ La letteratura non è mai del tutto innocente. Nemmeno la più innocente”.

Nel suo cuore incorrotto e incorruttibile brilla luminosa la passione del diritto, della legge della giustizia e per questo incontaminato amore, è disposto a precludersi una brillante carriera. Egli non rinuncia ai saldi e ineluttabili principi morali, anche se dall’alto del suo scranno e della sua autorità il procuratore lo sollecita ad emettere una sentenza che tutti si aspettano “sbrigativa ed esemplare”.

Del resto quel brav’uomo del procuratore “ma di brav’uomini è la base di ogni piramide d’iniquità”, gli ha fatto notare che la pesante condanna è del tutto giustificata e avallata dall’articolo scritto da Sua Eccellenza Rocco”sul ripristino della pena di morte”. Con tale garanzia lo Stato fascista, assicura tranquillità ai cittadini tanto che ormai possono dormire a “porte aperte”.

Suprema metafora dell’ordine, della sicurezza, della fiducia”. Con lucido disincanto e acuta ironia, Sciascia sottolinea l’impostura della multiforme definizione, perché con essa si può alludere alle fatidiche “porte aperte”degli intrallazzi e delle raccomandazioni, che certe amicizie riescono a spalancare. Alla posizione di comoda indifferenza nei confronti delle ingiustizie e per un quieto vivere.

Alle troppe verità taciute o alterate, come le notizie distorte dei giornali, che fanno apparire normali decessi, la morte dell’avvocato Giuseppe Bruno e del ragioniere Antonino Speciale. In realtà, i delitti sono stati tre perché l’assassino, con fredda determinazione e senza pentimenti, ha pugnalato la propria moglie, poi per vendetta personale, l’impiegato che l’ha sostituito nel posto di lavoro e il Capo Ufficio che l’ha licenziato. Una simile “belva” in teoria merita la massima condanna ed escludendo il giudice, persino i giurati all’inizio del processo sono propensi ad infliggerli la pena di morte.

L’imputato è infatti, “ un personaggio vinto quanto quelli di Verga e sgradevole quanto quelli di Pirandello”. Di istinto, il comune ben pensante vorrebbe sbarazzarsi per sempre di un losco individuo che è un pericolo per la società.

Sciascia con limpidità onestà intellettuale, ribadisce che la ragione deve in ogni caso prevalere sulla impulsiva violenza.

Perciò, se si vuole applicare un’obbiettiva giustizia non si deve rispondere “con l’assassinio all’assassinio”. Anche se risulta assai difficile avvertire nei confronti dell’iniquo omicida, un sentimento di solidale pietà. Così il piccolo giudice ligio ai suoi etici principi, non condanna a morte il colpevole . Con questa inattesa e coraggiosa sentenza, si conclude l’apologo e ancora una volta il valido scrittore dimostra di essere “un non arruolato difensore del vero.”

Nota redazionale: questa relazione di Maria Teresa è già apparsa su IL Nuovo Campo il 26 febbraio, 1998.

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