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Lettera a un premier mai nato

Creato il 21 settembre 2014 da Albertocapece

images (1)Anna Lombroso per il Simplicissimus

Egregio signor Renzi, tutto in lei mi fa supporre che sia stato un alunno che si salvava con acrobazie da guaglioncello furbo, buggerando i professori con quella sua loquacità supponente e al tempo stesso letargica, con le sue gabole burbanzose  infarcite da due o tre nozioni apprese la sera prima sul Bignami, magari anche grazie a qualche raccomandazione, come in fondo continua a fare anche ora, che, si sa, gli esami perfino per lei non finiscono mai.

Lo sospetto perché è evidente che a lei mancano le basi di quell’edificio di conoscenze, sapere e apprendimento che fa da sostegno alla ragione, al pensiero e alle decisioni. E che per lei altro non è che un  molesto retaggio del passato, caro a pedanti sapientoni, a frequentatori di convegni, a togati professoroni, insomma a quel target di gente inutile che con il sentenziare cerca di fermare il progresso e la crescita.

Sfiderò la sua idiosincrasia per lezioni e ammaestramenti – in fondo se proprio deve ascoltare, preferisce stare a sentire ordini, diktat e ultimatum che vengono dall’alto, quell’alto cui deve ubbidienza e riconoscenza, pronto peraltro a istantanee diserzioni e infedeltà qualora cambi il vento – invitandola ad un esercizio elementare e semplice, perfino per lei abituato alla recita imprecisa di risvolti di copertina purché brevi, alla citazione in tempo reale del sentito dire, dell’aforisma o della frase celebra pescati su Wikiquote. Ecco, non occorre il dizionario Treccani, lo Zingarelli, basta che vada su Wikipedia e si legga la voce ideologia. Vedrà che non si tratta di demoni, che non si tratta di pericolosi ordigni pronti ad esplodere e che lei si sente chiamato a disinnescare in modo da riportarci dentro al contesto perentorio e inclusivo del pragmatismo, del realismo, che poi è anche quello dei cerotti sulla cancrena, dei veleni in quantitativi non omeopatici per curare l’avvelenamento, della dispersione di principi, morale, aspirazioni in favore di ricatti, minacce, pressioni e coercizioni.

Perfino lei sa che è la mano a impugnare e muovere l’arma, che è la volontà a decidere sugli atti e le azioni dell’uomo. Così imparerà che le ideologie , che molti, professori, gufi, divoratori di tartine rimpiangono, sono quei complessi di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che hanno orientato i gruppi sociali, quei sistemi di idee e convinzioni che hanno ispirato movimenti e aiutato l‘elaborazione di dottrine, teorie e politiche e la loro, fortunatamente o sfortunatamente, incompiuta o efficace, applicazione.  E sarà chiaro che a lei non sono le ideologie a far paura, ma le idee, soprattutto quelle che hanno guidato i tanti che nei secoli guardavano ad una stella polare: la lotta allo sfruttamento, l’uguaglianza, la giustizia sociale, la solidarietà, l’emancipazione e la libertà.

Non si preoccupi, la morte del socialismo, esemplificata dalla dissoluzione dell’Urss, dalla caduta del muro, si sta consumando anche grazie a quelli come lei, con l’affievolirsi del consenso al Welfare che aveva caratterizzato anche i paesi industrializzati alla fine degli anni Settanta, con la demolizione del lavoro, con la cancellazione delle conquiste dei lavoratori e con l’estinzione dei diritti di tutti, compresi quelli primari e fondamentali, il godimento di beni comuni, ambiente e risorse che parevano ormai inalienabili.

Lei è il delfino di dinastie impegnate a mostrarci la insostituibilità e irrinunciabilità di nuovi bisogni sostitutivi, la cui rinuncia e la cui perdita ci hanno inariditi, incattiviti, rendendoci inclini al risentimento, alla paura, all’egoismo. È grazie a voi e alla vostra ideologia, che chiamate di volta in volta pragmatismo, fattualità, concretezza, mercato, spread, flessibilità, mobilità, ma che significa, proprio come un tempo, profitto, sfruttamento, prevaricazione, sopruso, iniquità, disuguaglianza, che il progresso non ha mantenuto le sue promesse, nemmeno quelle più elementari e realizzabili, quelle di saper addomesticare il capitalismo offrendo un’esistenza più armoniosa, il soddisfacimento di necessità, fino a portarci vicini a poter godere delle “delizie  della vita”, Mozart, paesaggi, poesia, libertà di esprimere inclinazioni e vocazioni. È grazie alla marmellata globale cucinata grazie al gas dell’economia finanziaria, che lo spazio pubblico è stato chiuso, abolendo perfino per legge la politica con i suoi valori, i suoi soggetti, ed anche con le sue forme, le sue istituzioni, i suoi principi costitutivi. In modo che restino solo ristretti circoli molto potenti, oligarchie molto remote, entità usurpatrici che si fondano sul denaro e sul potere e sulla relazione che li condiziona e li lega reciprocamente, perché senza l’uno l’altro muore e viceversa.

Stia sereno, come noi non possiamo più essere. Non stiamo vivendo l’epoca post  ideologica, perché la sua, quella della destra, ha ottenuto il risultato che mai sono riusciti a conseguire i lavoratori di tutto il mondo e si aggira ben oltre l’Europa,  imponendo per legge la licenza da ogni regola per l’economia, ha dismesso ogni ideale di società equa, tramite l’egemonia del libero mercato abilitato a plasmare la realtà con i suoi istinti ferini, capace di alimentare il peggio che custodivamo come una vergogna,  gli indigeni  contro gli  immigrati, i benestanti all’assalto dei poveri,  i garantiti a difendersi dai precari, i padri dai figlie  i figli dai padri.

In un mondo dove una pattuglia di  85 miliardari possiede la ricchezza di tre miliardi di persone, lei e i suo famigli, affini e padrini, che pure  non ne fanno parte,  vi  augurate con l’ubbidienza di esservi ammessi, è questa la distopia verso la quale state muovendo. Noi no, noi preferiamo un’ideologia, quella dell’utopia possibile, realizzabile, la nostra.


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