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Lettera annichilente ai maturandi (1)

Creato il 24 giugno 2010 da Paperoga

Lettera annichilente ai maturandi (1)

Ordunque è il caso di un cappello iniziale alla mia lettera agli studenti che in questi giorni affrontano la Maturità. Qualche ex-blogger mi ha affibbiato il nomignolo di “Grinch della maturità”, dunque è il caso di precisare qualcosa.

Malgrado faccia fatica a nascondere per i giovani un disprezzo per lo più di carattere estetico ed acustico, sono sempre stato un curioso osservatore nonchè sostenitore sincero. Per quanto possano essere insopportabilmente stupidi e sgraziati, sono pur sempre un gioiello in confronto alle pallide, nevrotiche ed incattivite creature carveriane che diventeranno da adulti.  Dovendo osservare nel quotidiano qualche mio simile, preferisco comunque la zotica ed ingenua dabbenaggine di un adolescente, piuttosto che le grigie stanze di vita quotidiana dei trenta-quarantenni. E poi si sa, è tutta invidia della gioventù che se n’è andata. Se un dio cattivo e capriccioso mi proponesse questo patto: “strappa il cuore di un adolescente e porgimelo come sacrificio, ed avrai un anno di vita indietro”, io avrei già rotto diverse casse toraciche e divelto sterni alla ricerca di muscoli cardiaci pulsanti di vita. Niente di personale, è che cerco qualunque strada, lecita o illecita che sia, per mantenere la mia personale immortalità. Ma sto divagando, passiamo alla lettera.

Caro maturando, sono sicuro che in questi giorni per la prima volta in cinque anni un po’ ti stai cacando addosso. Dopo molli anni in cui sei stato abituato a fare il cazzo che ti pareva, fuori e dentro dall’aula, ti sei ritrovato a dover affrontare una vera prova, e forse ti sarai sentito un po’ disorientato. Ma non è colpa tua, assolutamente. E ti spiego perchè. Per cinque anni ti sei trovato ad affrontare un’esperienza spesso inconsistente. E questo per due motivi: perchè è scomparsa nella scuola di oggi una vera e propria trasmissione del sapere; perchè non ti è stata offerta una struttura nè l’occasione di apprendere e personalizzare un metodo.

Partiamo dal primo punto: la trasmissione del sapere. Ci vogliono dei docenti, per trasmettere il sapere. E parlo di una vera e propria “tradizione” in senso etimologico. Sui docenti non generalizzo, ma quello che ho l’occasione di vedere, e nemmeno tanto da lontano, è la demotivazione di massa di chi non si sente più nemmeno tanto sicuro di essere utile a qualcosa. Altro che tradizione, altro che passaggio. Al massimo una dettatura di dati, una estrapolazione di cifre, un elenco di nozioni, quando c’è. Voi forse credete che la trasmissione del sapere sia inutile, o forse non esista, sia un’astrazione prodotta dalla mia mente romantica. E invece senza quel sapere ne uscirete nudi e inetti, del tutto inadeguati, perchè le cifre e le nozioni vanno via il giorno dopo l’interrogazione. Quel che non avrete sarà l’auto-apprendimento di un metodo. E’ come dire che cinque anni non vi saranno serviti ad un cazzo.

Il secondo punto: non vi hanno dato un struttura dove crescere. Per struttura intendo qualcosa di solido, di scomodo, a volte di difficile, ma che abbia dei limiti evidenti, che seppur non rispettati siano lì a farvi capire che esistono. La scuola invece è un puttanaio dove potete fare quello che volete, inutile girarci attorno. Andarci, non andarci, entrare ed uscire dalla classe, essere interrogati o meno. Tanto alla fine pochi di voi pagano il dazio. Non si boccia, e se vi si boccia i vostri genitori, altra catastrofe per la vostra crescita, faranno ricorso al TAR, o vanno a menare direttamente il professore o il preside. La scuola e ciò che la circonda vi danno il pasto gratis, e vi regalano un edificio di cemento molle e inerte, profondamente disinteressato alla vostra crescita. Dietro l’apparente comprensione della vostra irrequietezza, c’è solo disinteresse, credetemi. Dietro il loro chiudere un occhio di fronte al vostro disimpegno, c’è solo una lavata di mani. Fate il cazzo che vi pare, sembrano dire, tanto siete destinati ad essere dei perdenti.E’ un prezzo che non vi rendete conto di pagare, quello di non sopportare mai le conseguenze per le stronzate che fate, per l’impegno che ci mettete. Pensate di essere furbi, e che nessuno si accorga di quanto gliela state facendo sotto il naso. Invece è solo la dimostrazione che nessuno si cura di voi.

E voi altri, dico a voi, quelli bravi, quelli che si impegnano, quelli che cercano di trovare un senso in questi anni di studio, posso capire quanto possa essere frustrante questo livellamento al ribasso, questo cercare di crescere nel disinteresse di fondo. Lisa Simpson che si dispera imprigionata nella seconda elementare di Springfield, terrorizzata dal rischio di sprecarsi, ecco quello che mi viene in mente.

Eccovi dunque che dopo 5 anni di cui non riuscite a capire il senso e l’utilità, arrivate alla fine. E dall’esame uscirete ignoranti e impreparati, bellamente deresponsabilizzati. Ma tanto c’è l’università, si dirà. Beh, vi faccio un’anticipazione: l’università di oggi fa più ridere della scuola. E’ una fabbrica di laureati farlocchi, una gara di marketing tra atenei a chi si accaparra più matricole, tra programmi di studio liofilizzati ad arte e commissioni d’esame quasi francescane nella loro bontà. Forse avrete avuto strani racconti sul passato, ma posso tranquillizzarvi, si fa per dire: l’università non boccia più, vuole produrre un manico di laureati ignoranti per poi rifilargli uno o due master a pagamento. Anche a loro, come alle scuole, non gliene frega nulla di voi.

Tra lauree triennali a magistrali e inutili master arriverete a 27-29 anni, e sarete dati in pasto al mercato del lavoro. E tra dieci anni vi troverete di fronte la mia generazione, nel frattempo a fatica incuneatasi ai vertici delle strutture lavorative. E mi spiace dirlo, e non sapete quanto poca soddisfazione ci sia per me nel dirlo, ma vi faremo a pezzi. Conosco la mia generazione, e so perfettamente cosa vi farà passare e quello che vi farà patire.

Il perchè ve lo spiego magari nel prossimo post.



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