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Lettere a Primo Levi: Fatti vostri (perciò mi interessano)

Da Leragazze

Caro Primo,

il luogo comune recita che la piccola, dispersa comunità ebraica deve il proprio successo al dominio, palese e occulto, dellʼeconomia mondiale. Gli effetti estremi di questa mentalità li conosci abbastanza bene ("i Gentili poco gentili", da una battuta di Raimon Panikkar). Eppure paradossalmente un fondo di verità cʼè, a patto che si prenda in considerazione non lʼeconomia finanziaria bensì la miglior merce.

Cʼè una costante nellʼebraismo, operante in ogni tempo e luogo, ed è lʼimportanza che da secoli viene data allʼeducazione. [...] Lʼistruzione era considerata il valore supremo della vita: "la miglior merce", come si diceva proverbialmente. Incominciava a quattro anni e si protraeva per tutta la vita, almeno idealmente e compatibilmente con le durezze della vita stessa; veniva impartita a spese della comunità, e quasi nessun bambino ne andava privo. Gli incolti venivano commiserati o disprezzati, i dotti erano ammirati, e rappresentavano di fatto la sola aristocrazia riconosciuta.

Vero: basti pensare ai tentativi disperati, alle lusinghe, alle minacce messe in atto dalla Sinagoga olandese per non perdere un elemento di prestigio come Baruch De Espinoza, detto Spinoza. Beh, ehm, però lo persero lo stesso.

In gran parte dellʼEuropa - aggiungi - il collante culturale della comunità è stato per secoli lo yiddish. Con un risvolto tragicomico, ossia che in Lager gli ebrei italiani erano guardati male da quelli est-europei appunto perché non parlavano il màme-lòshen, la "lingua di mammà".

Lʼinsegnamento era gravoso e ossessivo, e soprattutto nelle Jeschives [scuole rabbiniche] occupava tutta la giornata, ma non era dogmatico. Il maestro accennava a una certa interpretazione di un passo talmudico, o faceva notare una qualche contraddizione, o proponeva un quesito: ne seguiva una discussione libera, fervida, sofistica, a volte arguta, sempre ostinata; talora il tema centrale veniva dimenticato, e ci si inoltrava in divagazioni fantasiose in cui lʼeleganza formale o lʼaudacia dellʼargomentazione prevaleva sulla pertinenza e sul rigore.

E dillo, dillo che ti sarebbe piaciuto esserci! Anche a me per la verità. Certo le tematiche canoniche escludevano la cultura laica, tra cui lʼarte, fatto che procurerà qualche problema al nostro amico Chagall. In ogni caso, per secoli in Europa si è così mantenuta non solo una etnia sempre minacciata, ma una cultura, una prospettiva, una "finestra sul mondo" sempre fuori dagli schemi e arricchente; e tutto questo tramite la lingua, ma anche...

... la religione, la memoria collettiva, la storia comune, la tradizione, la stessa persecuzione, lʼisolamento imposto dallʼesterno. Ne è una controprova il fatto che, quando tutti questi fattori si attenuano o spariscono, lʼidentità ebraica a sua volta si attenua, e le comunità tendono a dissolversi, come avveniva nella Germania di Weimar e come sta avvenendo in Italia oggi. Può essere che sia questo il prezzo da pagare per unʼautentica parità di diritti ed equiparazione; se così fosse, sarebbe un prezzo alto, e non solo per gli ebrei.

Interessante osservazione. Giro la domanda alle Ragazze e alla loro cybercommunity.

Tuo d

Con questo post termina la serie, a cura di dhr, su Primo Levi. Ma non ci fermiamo. L'appuntamento è per le prossime domeniche con un gustoso, sfizioso e interessante "Chagall d'Arabia". Autore sempre dhr, che non ringrazieremo mai abbastanza.

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