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Lettere al direttore: Stalking

Da Maurizio Lorenzi

Pubblichiamo oggi questa lettera al direttore, a firma di Bruno Previtali.

Stalking

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Le Istituzioni si nutrono, purtroppo, di sangue come i vampiri. Si stanno comportano più come un medico legale o un’impresa di pompe funebri che come garanti della Giustizia. Lo dico molto a malincuore e scoraggiato, ma non per questo si deve mollare. Lo Stato in quanto tale è assente, la legislazione è molto carente e la giustizia latitante. Di fronte alle vittime dello stalking assistiamo alle sdegnate dichiarazioni delle Istituzioni preposte alla loro difesa, sembra proprio che i cadaveri siano condizione necessaria ma non sempre sufficiente per smuovere le coscienze mentre un omicidio soltanto annunciato non è un campanello d’allarme sufficiente per smuoverle. Bisogna varcare la soglia dell’irreparabile per farle intervenire, ma così arrivano sempre troppo tardi. Purtroppo senza soldi, senza amicizie influenti o visibilità televisiva i problemi restano problemi, non si trasformano in opportunità. A una vittima di stalking non si è mai riservata grande attenzione anche dopo un tragico epilogo, forse perché lo stalker ammazza solo le proprie mogli, fidanzate o amanti, e quindi non è percepito come un pericolo pubblico ma solo come autore di una violenza che si consuma nel privato o forse perché si trascina il retaggio del disturbo comportamentale anche se il reato campeggia ormai tra gli articoli del Codice Penale. Sulle conseguenze penali e civili dello stalking c’è un vuoto legislativo, seguono strade diverse e alla fine chi ci rimette è sempre e solo la vittima. Quando non c’è nessun dubbio circa il reato e chi lo sta commettendo, quando è tutto palese e bisogna solo assumersi la responsabilità di mettere la parola fine, si dovrebbe intervenire. E invece si avviano indagini complesse che fanno solamente perdere tempo prezioso e mettono in pericolo l’incolumità delle vittime di stalking. Esiste una burocrazia che blocca di fatto le procedure, forse un’economia dei processi da far girare, motivo per cui si mena il can per l’aia ad oltranza. Questa situazione ha prodotto di fatto che tanti delinquenti rimangono impuniti e in circolazione, col pericolo di reiterazione dei reati.

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La denuncia fa uscire dal tunnel della violenza ma introduce nella nebulosa dell’indifferenza e della burocrazia. C’è da chiedersi a cosa è servito il lavoro svolto dal legislatore che finalmente ha capito la natura e la portata di certi atteggiamenti e li ha codificati come reati se poi non si interviene a tutela delle vittime e a recupero o punizione degli imputati. Così come sta funzionando adesso, questa giustizia produce illusioni. Per chi ha avuto il coraggio e la lucidità di denunciare la strada è solo in salita e non si sa quando e come arriverà alla fine. Il senso di giustizia suggerirebbe alle vittime di stalking di assoldare dei balordi che facciano un bel discorso all’aguzzino parlando la sua stessa lingua, ma non lo si può fare. Ci si indigna spesso nell’apprendere dell’indifferenza dei passanti verso un’aggressione, dimenticandoci che passanti e testimoni sono privati cittadini che non hanno scelto di farsi garanti dell’ordine pubblico ma che si sono trovati accidentalmente ad essere spettatori di un evento drammatico e il loro intervento è mosso esclusivamente da coscienza o coraggio, quindi godono di tutte le attenuanti se si lasciano paralizzare dalla paura, mentre chi sceglie una particolare professione ha il preciso dovere di intervenire a tutela delle vittime. Chi compie l’atto coraggioso di denunciare entra in quel cono d’ombra di solitudine e angoscia che è il prezzo da pagare. L’insensibilità e l’immobilità delle istituzioni continua a produrre tragedie e disgregazione sociale, e non è più procrastinabile un intervento risolutivo.


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