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Lettere di una donna indipendente

Creato il 29 marzo 2013 da Povna @povna

La ‘povna ha conosciuto Alexia tanti anni fa, nel 1997. Per molte settimane si scambiarono sorrisi, a Hogwarts, andando a mensa. Finché, a presentarle, fu l’Amico Scrittore. Continuarono i sorrisi, uniti al “Come va?” di circostanza. Poi un giorno Alexia invitò la ‘povna cena. Cominciarono anni a loro modo folli: Alexia, e il suo allora fidanzato Acchiappanumeri, divennero nella loro comunità presenza fissa. E furono mesi di gite, uscite la sera, pizze, compleanni e non-compleanni festeggiati con ardore. Poi, si sa, si cresce, si cambia. E la ‘povna e Alexia persero un po’ di quella familiarità costante. La ‘povna partì per i suoi numerosi e altri mondi (Bologna, Roma, Berlino, Cambridge); Alexia si impiegò in una grande e rinomata azienda, e si trasferì alla volta di Milano. Rimasero in contatto, per qualche tempo. Ma poi, non era semplice. E a un certo punto – nonostante gli auguri per le importanti ricorrenze – gli anni passarono senza lasciare traccia, e tutte e due si persero per strada. Il tempo, intanto, camminava alacremente. E arrivarono i giorni del referendum, e poi quelli del 2006 horribilis (e di E.T.). E la ‘povna si chiuse, a lungo, in un muro di silenzio, che non aveva molta voglia di scalfire. Fu così che, dal nulla, la trovarono le parole di Alexia, improvvise e scritte. Accompagnavano un pacchetto arrivato in via dei Matti, che conteneva questo libro. “Perché questo romanzo è splendido, e mi fa pensare a te, sempre” – diceva, semplice, la dedica. In calce, poi, la firma. E un numero per poterla contattare. La ‘povna lesse quel libro andando al nord, e le piacque moltissimo. Perché lo trovava, all’occasione, molto giusto. Poi rivide Alexia, e ripresero i contatti. Tanto che, in un 2009 che sapeva solo di Onda, la ‘povna si recò, tutta bella, al suo fiabesco matrimonio.
“Allora questa estate vieni a trovarmi all’Elba” – le disse lei, sposa, nel salutarla.
“Certo, volentieri, sentiamoci al tuo ritorno” – rispose la ‘povna sorridendo.
Ma al ritorno di Alexia il telefono suonò muto per sempre. Niente chiamate, niente posta. E alla ‘povna, dopo molti e molti tentativi senza appello, non restò che lasciar stare.
L’altra mattina, la prima di vacanza, la ‘povna si dedicava con calma alle incombenze. Il telefono suona nell’altra stanza. La ‘povna va, guarda. E trova un sms di Alexia.
Quello che si sono dette, non è necessario qui ripeterlo. Quello che è successo riguarda, nei dettagli, solo loro. Ma la ‘povna (che troppe coincidenze vede, e ha già visto, tra questi mesi e il 2006 horribilis) sorride senza nemmeno poi stupirsi troppo. Alexia, come sempre, ritorna. E sempre al momento giusto. E la ‘povna, per onorare questo legame strano, eppure necessario e persistente, decide di parlare di Elisabeth von Arnim al venerdì del libro.

Romanzo epistolare fuori dall’ordinario, Lettere di una donna indipendente rappresenta uno dei capitoli attraverso i quali Elisabeth von Arnim costruisce il suo studio sul ruolo femminile. Lo fa attraverso l’uso di una ironia leggera, e pur costante, che scandisce, all’alba del secolo XX (il libro è pubblicato nel 1907), le tappe che portano alla necessaria acquisizione di Una stanza tutta per sé. La trama, nelle linee generali, è presto detta: la giovane Rose-Marie, figlia di un professore colto, ma non troppo provvisto di mezzi, si innamora di Roger Anstruther, un inglese decaduto, che soggiorna a Jena per imparare il tedesco, proprio a pensione dalla famiglia di Rose-Marie. L’amore pare ricambiato, tanto da essere suggellato da bacio e confessione prima della partenza di Roger per far ritorno in Inghilterra. Comincia così la loro corrispondenza che, dalle più rosee aspettative romantiche, è destinata a portare a Rose-Marie le più nere delusioni. Insieme a queste, però, anche la consapevolezza di una nuova forza, che piano piano ne formeranno il carattere; rendendola, con orgoglio, quella che vuole essere in una società non ancora così pronta ad accettare l’indipendenza femminile come grande e inestimabile valore. Di pari passo, la costruzione epistolare permette alla von Arnim di riflettere sulla scrittura come arma – e che come tale va padroneggiata per evitare di mettere a nudo l’anima; o per imparare a ferire, piuttosto che a farsi male.
E’ un romanzo che rivela lo straordinario talento di un’autrice poco nota, e tuttavia davvero intelligente. E che, attraverso questo e altri titoli che Bollati Boringhieri sta iniziando meritoriamente a rendere pubblici, vale tuttavia la pena di scoprire.


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