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Letture Alterne.07: Juan Gelman, la morte non vale la pena di Laura Branchini

Creato il 20 gennaio 2014 da Eldorado

Laura Branchini è nata a Varese nel 1966. Dopo un periodo di intensa attività teatrale nell’ambito del teatro antropologico e di ricerca, che l’ha portata più volte in Argentina, ha cominciato l’attività di traduzione dallo spagnolo. Contemporaneamente si è laureata in comunicazione scientifica e ha conseguito il diploma superiore dell’università di Salamanca per lo spagnolo quale lingua straniera. Dal 1999 ad oggi si è dedicata alla traduzione di poeti e prosatori argentini e spagnoli, e in particolare ha curato la traduzione dei volumi di poesia di Juan Gelman per i tipi di Guanda (1999 e 2007), Interlinea (2003 e 2006), Rayuela Edizioni (2011), divenendo la sua traduttrice di riferimento in Italia. Nel 2012 viene segnalata come finalista sia al Premio Monselice per la Traduzione Letteraria sia al Premio Achille Marazza di Borgomanero, in entrambi i casi per la traduzione di com/posizioni di Juan Gelman. Insegnante da lungo tempo, attualmente è anche direttrice editoriale di W Scuola Edizioni di Lugano.

Se ne è andato un gigante. Forse l’ultimo gigante di un’epoca, che sembra ormai conclusa. Con la morte di Juan Gelman svanisce l’ultima traccia di quell’utopia che per decenni ha attraversato il Latino America con i suoi sogni di socialismo e di uguaglianza, con le lotte e la protesta contro l’oppressione, poi con la clandestinità, la lotta armata, la resistenza, infine con il cammino per il recupero della memoria, e le battaglie per la giustizia e la verità e per il riconoscimento delle vittime. Il nuovo tempo ci è sconosciuto, ma se vorrà aprire un’altra e bella utopia non potrà prescindere da questo trascorso. E facendolo potrà ritornare alla grande eredità lasciata da numerose figure politiche ed intellettuali dei vari paesi del Latino America.

Gelman mi pare il maggiore tra tutti loro, per svariate ragioni, a partire dalla sua instancabile integrità morale, espressa tanto attraverso le battaglie civili per la difesa dei diritti umani, quanto e ancor di più attraverso l’arte poetica e la sua attività giornalistica. In particolare, attraverso la poesia Gelman arriva e parla a tutti, grazie ad un linguaggio articolato sempre su diversi registri, così da poter emanare da sé una vibrazione emotiva immediata e intensa, ed un discorso interiore profondo, che si fa scoprire a poco a poco e che resiste nel tempo.

Agli esordi riversava a piene mai sulla carta le voci della gente, i caratteri, le scelte, gli amori e le speranze del popolo, con un gusto per la parola che diventava gioco sulle labbra dei suoi personaggi sempre impegnati a sentire e restituire ritratti della propria terra, e diventava altri-da-sé, si reinventava in altri autori e traduttori suoi eteronimi, ancora curiosi di altri uomini. Passò poi a tutt’altro stile quando la tragedia personale segnò come una cesura netta e definitiva la sua esistenza, e la sua scrittura poetica si fece più grave e più lieve insieme, sprofondando nelle pieghe del dolore, ostinata fino al delirio nel ricordo e nella memoria, risalendo con la libertà solitaria dei mistici al di sopra della dimensione ordinaria per lanciarsi nell’inafferrabile spazio dell’immaginazione là dove non esistesse più la morte, dove ci si potesse ricongiungere con i compagni uccisi, dove avesse ancora luogo per esistere la gioia di incontrare un figlio, di rivedere un paese amato, di sostenere una speranza politica, di rivivere una lingua e un’identità perdute, e fu come passare ogni volta attraverso un cerchio di fuoco.

Negli ultimi anni si lanciò in ardite sperimentazioni della parola, della quale era sommo padrone, mago di incantesimi fatti di spostamento, di re-invenzione, di negazione per aprirsi allo sconosciuto, allontanandosi dai sensi compiuti, vagando sempre più in regioni di cielo rarefatto che lo riportavano però alla grande semplicità dell’amore, l’amore per l’amata, per gli uomini, per la fede nell’uomo, sbucando fuori vivo e luminoso oltre la grande stanchezza che quasi settant’anni di scrittura e di ricerca gli avevano addossato.

Bisogna senz’altro ricordare fra tutti gli splendidi libri che ha lasciato gli indimenticabili titoli del primo periodo: Gotàn, Colera Buey, Los poemas de Sidney West. E le opere del primo esilio: Bajo la luvia ajena (notas al pié de una derrota), com/posiciones, eso. Strazianti le poesie rivolte al figlio desaparecido, in Carta abierta. Poi il poema, di altissima liricità, condotto in forma di domande rivolte alla madre morta lontano, mentre egli si trovava in esilio, Carta a mi madre, e i secchi, aspri versi di Salarios del impio che siglano la fine del tempo dell’esilio e della persecuzione ma anche la perdita definitiva della patria e della famiglia. La sua produzione continua ricchissima, toccando i trenta titoli, fino ad arrivare ai recenti volumi fra i quali spiccano El emperrado corazón amora  e Hoy, uscito pochi mesi fa in Argentina e dal quale scegliamo un poema per accompagnare Juan nel suo saluto finale.

 

CXLIII

En el miedo a la muerte la muerte no vale la pena. Los afligidos no interesan, ni los tullidos por amor, ni el portentoso ingenio de un verano. Importa la luz recibida en forma de entrañas para verse. La sensación del cuerpo que termina no vive en rincón cerrado, crea su doble en estaciones impalpables y las alícuotas de pena sin notario. Una calandria ordena el fracaso de un fósforo apagado.

2013 Hoy, Seix Barral, Buenos Aires

CXLIII

Nella paura della morte la morte non vale la pena. Gli afflitti non sono interessanti, né gli invalidi d’amore, né il portentoso ingegno di un’estate. Importa la luce ricevuta in forma di organo per vedersi. La sensazione del corpo che finisce non vive in un angolo chiuso, crea il suo doppio in stagioni impalpabili e nelle aliquote della pena senza notaio. Un’allodola ordina il fallimento di un fiammifero spento.

(Inedito in Italia, trad. Laura Branchini)

In Italia, dove è stato esule a principio degli anni ’80 e dove ha ricevuto tre premi, il Mondello nel 1981, il Lerici Pea nel 2003 e il premio di Poesia Civile Città di Vercelli nel 2006, sono uscite le seguenti opere:

 

   Gotán, trad: Antonella Fabriani, Guanda, 1980 (out of catalogue)

   Lettera a mia madre, (con Salari dell’empio e Incompletamente) trad.: Laura Branchini Guanda, 1999

   Nel rovescio del mondo, antología para el premio Lerici Pea, trad.: Laura Branchini,  Interlinea, 2003

   Doveri dell’esilio, antología para el premio Poesia Civil di Vercelli, trad.: Laura Branchini, Interlinea, 2006

   Valer la pena, trad.: Laura Branchini, Guanda, Poeti della Fenice, 2007

   Antologia della poesia argentina contemporanea,  trad.: Emilio Coco, Sentieri Meridiani, 2007

   sotto, trad.e curatela: Alessandro Ghignoli, Kolibris edizioni, 2011

   com/posizioni, trad.: Laura Branchini, Rayuela Edizioni, 2011


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