Di Sonia Maioli Troppe volte, forse una in meno, ho fatto la levatrice.
Non l’ostetrica che viene da obstetricem, ob davanti, stetricem da stare. Levatrice, che toglie, leva, alleva.
Irresistibile “levare” un nascituro, accoglierlo e coglierlo.
Difficile e faticoso levare un adulto, accoglierlo e coglierlo.
Cogliere i tratti del suo carattere, quelli nascosti o scabrosi da affrontare.
Levare il dolore, fisico e dell’anima.
Che grande presunzione!
Eppure è affascinate, appagante alla fine.
Capisco bene che chi è stato “levato” poi si allontanerà, camminerà con le sue gambe.
Vivrà la sua vita.
La levatrice passerà oltre.
Dopo tanti anni vedrà un giovane sicuro, bello e saprà di averlo aiutato nei primi respiri, nei primi sguardi.
Oppure un adulto che avrà aperto il guscio, uscendo luminoso dall’involucro buio che aveva costruito, per difesa, per sicurezza.
Passerà oltre, senza nulla costruire per sé.
Paga di aver levato, allevato chi a lei si è rivolto.
Senza pensare a una frase, comune da queste parti.
“Accidenti a chi ti ha legato il bellico!”
Illustrazione:
“ A birth Chamber, Seventeenth Century” 1868 Lawrence Alma-Tadema