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“Lezioni Americane” di I. Calvino (sintesi). 2/2

Creato il 03 novembre 2011 da Stroszek85 @stroszek85

“Lezioni Americane” di I. Calvino (sintesi). 2/2

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Visibilità.

“Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini. Penso a una possibile pedagogia dell’immaginazione […]”

[Ibid, cit. pag. 103].

Se le altre lezioni sono estremamente esplicite questa, della Visibilità, non lo è nella stessa misura delle altre. Questo perché non si sta parlando a chiare lettere di un modus operandi o di un approccio verso la letteratura che è bene venga seguito da parte dello scrittore, tale questione rimane implicita (se infatti pensiamo alle tipologie figurative postmoderne non possiamo che immaginare qualcosa di estremamente incisivo, che rimane impresso, decisamente parecchio visibile).

Come si capisce dalla citazione soprariportata quello di Calvino vuole essere più che altro un monito; un avvertimento alle generazioni future depredate della loro “libertà immaginativa” a causa degli input esterni.

“Una volta la memoria visiva d’un individuo era limitata al patrimonio delle sue esperienze dirette e a un ridotto repertorio di immagini riflesse dalla cultura; la possibilità di dar forma a miti personali nasceva dal modo in cui i frammenti di questa memoria si combinavano tra loro in accostamenti inattesi e suggestivi. Oggi siamo bombardati da una tale quantità di immagini da non saper più distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi secondi alla televisione.”

[Ibid, cit. pag. 103].

Tutta la lezione è concepita in maniera molto lineare; si parte dall’analisi di quello che è l’immaginazione, delle sue differenti declinazioni e definizioni, di come si sviluppa e soprattutto cosa sviluppa; sino ad arrivare al problema precedentemente illustrato, per poi giungere a un’ipotesi di soluzione del suddetto problema. Tale soluzione, secondo Calvino, è qualcosa che ogni scrittore (o lettore) deve cercare all’interno di se stesso: “con metodi inventati volta per volta e risultati imprevedibili”.

Molteplicità.

“L’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obbiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida delle spiegazioni generali e delle soluzioni che non siano settoriali o specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo.”

[Ibid, cit. pag. 123].

Bisogna dire che questa citazione è molto chiara e racconta tanto di quello che è il concetto di Molteplicità. Mi preme comunque mettere in risalto una cosa: “visione plurima”. Questa espressione racconta una storia molto più estesa di quello che invece si potrebbe essere portati a pensare per ciò che è scritto prima. Visione plurima non parla soltanto dei “diversi saperi” ma parla di tante altre cose; riporto di seguito un paio di frasi che chiudono la lezione.

“[…] magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva limitata d’un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica…”

[Ibid, cit. pag. 135].

Cominciare e finire.

Quest’ultima parte non è una sesta lezione ma un estratto degli appunti che Italo Calvino aveva scritto pensando alle conferenze che doveva tenere negli USA.

“Ogni volta l’inizio è questo momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore l’allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare questa sera; per il poeta l’allontanare da sé un sentimento del mondo indifferenziato per isolare e connettere un accordo di parole in coincidenza con una sensazione o un pensiero.”

[Ibid, cit. pag. 138].

Si tratta quindi delle “modalità di attacco” di uno scritto. Calvino dà innanzitutto un resoconto di come questo importante momento è stato messo in opera nel corso dei secoli; guardando all’antichità e al richiamo della Musa ispiratrice (come che l’immaginazione degli eventi fosse un qualcosa di ispirazione divina, in questo senso pensiamo anche a Dante), successivamente passa ai narratori di XVII, XVIII, e XIX secolo, che ritenevano necessario situare fatti e personaggi con estrema precisione geografica e temporale.

“A ben vedere, questa necessità preliminare d’individuazione diventa per il romanziere un atto rituale come l’invocazione alla Musa; esso sottintende la preoccupazione di sottrarre la storia che si sta per narrare alla confusione con altri destini, altre vicissitudini, è ancora in qualche modo un omaggio alla vastità dell’universo.”

[Ibid, cit. pag. 140].

Fino poi a giungere agli ultimi due secoli dove, gradatamente, lo scrittore è andato convincendosi dell’inutilità dei preamboli, per approdare all’ “incipit enciclopedico” che invece che curarsi di limitare il proprio campo d’azione decide di fare tutto il contrario…


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