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Li Romani in Russia: la Guerra degli Ultimi

Creato il 19 novembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Li Romani in Russia: la Guerra degli Ultimi

1941. Operazione Barbarossa. Campagna di Russia. Nomi e date che possono dire molto, o poco. O perfino nulla. E se il teatro, nelle sue forme più varie, può (e deve, anche) avere una funzione memoriale, e di denuncia, allora Li Romani in Russia, andato in scena il 14 novembre al Teatro Musco di Catania, centra in pieno l’obiettivo. Li Romani in Russia è un poema in ottave, scritto in romanesco dal reduce Elia Marcelli, e interpretato, in questa occasione, da Simone Cristicchi, sotto la direzione di Alessandro Benvenuti. Il cantautore romano non è nuovo, bisogna dirlo, ad operazioni di “recupero” di estremo interesse: dal volume Centro di igiene mentale, al documentario Dall’altra parte del cancello (entrambi del 2007), per arrivare ai Dialoghi incivili pubblicati da Elèuthera nel 2010 e a Mio nonno è morto in guerra (Mondadori, 2012). Libri, album, dvd, documentari, spettacoli teatrali, concerti. Cristicchi, superando l’invidia dei detrattori che l’avevano “bollato” dopo il tormentone Vorrei cantare come Biagio Antonacci, e che ancora continuano a snobbarlo, si è dimostrato, nel volgere degli ultimi anni, artista poliedrico, cantante, attore, scrittore. Intellettuale nel senso più ampio e, forse, più proprio, del termine.

una immagine di Li Romani in Russia Simone Cristicchi Foto di Sara Quattrini su Li Romani in Russia: la Guerra degli Ultimi

Li Romani in Russia si inserisce dunque perfettamente in questo solco: portare sulle assi del palcoscenico un monologo poetico è già un’importante sfida al, talvolta, sonnolento uditorio teatrale. Figuriamoci se poi la lingua è il romanesco e l’allestimento è all’insegna del minimalismo. Sfida doppia, tripla, e questi sono tutti indici di coraggio. Con buona pace dei professionisti dell’archeologia culturale. Si tratta di una storia corale, inevitabilmente; “li Romani” sono voci su voci che si affastellano tra i versi di Marcelli, enormemente rivitalizzati da Cristicchi, perfetto istrione, mai banale, e dai tempi teatrali coinvolgenti, al di là di ogni più rosea aspettativa. Nulla viene concesso, nel corso di questo spettacolo tutto sommato di breve durata, ma densissimo, né alla macchietta né al dramma patetico, e neanche alle paludate rievocazioni storiche. I soldati che “parlano” sono umani, troppo umani, e il loro incedere è parte di un’epopea collettiva, sì, eppure sempre profondamente individuale. La “gabbia poetica”, peraltro piuttosto precisa, incasella una narrazione che a tutti i costi, e meritoriamente, evita il bozzettismo, restituendo un quadro di miseria spesso in parte, o in toto, taciuta, un quadro che evidenzia quanto è diverso ciò che accade da ciò che si sostiene sia accaduto.

una immagine di Li Romani in Russia Simone Cristicchi Foto di Sara Quattrini 2 su Li Romani in Russia: la Guerra degli Ultimi

E Simone Cristicchi regge con sapienza i necessari cambi di tono; i brevi “quadri” in cui può essere suddiviso il monologo forniscono al materiale espressivo una scansione, una cadenza, inesorabili. Dal frivolo al drammatico, dal sussurrato all’urlato, quello che più viene evidenziato, per forza di cose, è l’“imbestialimento” a cui la guerra conduce, gli insopportabili vezzi di dittatori le cui (ir)resistibili ascese costituiscono alcune tra le pagine più buie e inconfortabili della storia dell’umanità. Ma non solo: d’altronde, è cantato quel sentimento dell’“essere umani”, la sensazione che una scintilla, un fuoco segreto, qualcosa di tanto tangibile quanto ineffabile, ci accomuni nella nostra avventura di esistere. In definitiva, Li Romani in Russia, salutato dall’attento pubblico catanese con sinceri applausi, è stato, ed è, perfetto esempio di quanto sia salutare il connubio tra cultura “alta” e “bassa”, e di come portare a Teatro la Storia possa rappresentare, per tutti, uno di quei momenti, importantissimi, in cui sospendere il terribile esercizio della dimenticanza, a cui molti ci vorrebbero ormai abituati.

Le fotografie inserite in questo articolo sono di Sara Quattrini


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