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Lino Capolicchio: un attore sotto il segno della qualità

Creato il 20 dicembre 2010 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

capolicchio

Lino Capolicchio e Giovanni Berardi

Abbiamo una immagine in mente, nitida, di Lino Capolicchio. Per le strade di Latina mentre girava, suo partner l’immenso Riccardo Cucciolla, il film di Giuseppe De Santis, Un apprezzato professionista di sicuro avvenire. Era il 1971 e un Capolicchio giovane, che aveva intorno a sé tanti fan, soprattutto ragazze, perché Capolicchio piaceva molto alle donne. L’immagine che da anni è rimasta scolpita nella mente è quella di un attore che restava sempre, tra un ciak ed un altro, una maschera di concentrazione. Noi maschietti non osavamo assolutamente avvicinarlo neanche durante le varie pause della lavorazione del film, perché si vedeva quanto era assoluta la concentrazione mantenuta dall’attore per restare nel suo personaggio, ma le ragazze che ci accompagnavano invece niente, loro osavano, proprio spudoratamente, sfidare il mito, come d’altronde anche altre donne che osservavano curiose il set. E nei suoi sorrisi, che eppure disperdeva – perché era, ed è rimasto, un attore educato – nelle risposte e nelle richieste di autografi, nonostante tutto, si vedeva la fatica che sopportava in un cortese silenzio per restare concentrato. I suoi occhi resistevano imperterriti alla contaminazione della vita reale, al vociferare anche, quasi, lascivo delle donne. Restava ancora, nonostante la disturbante idolatria delle fanciulle, il perfido avvocato Arduni, protagonista del film.

Questa premessa è proprio per testimoniare l’Attore che è. Basta restare qualche minuto al suo cospetto per capire, e sapere, come la sua sia stata una vita ed una carriera costellata da grandissimi incontri, qualche esempio: Pier Paolo Pasolini, Orson Welles, Giorgio Strehler, Anna Magnani, Carmelo Bene, Giuseppe Patroni Griffi, Giorgio De Lullo, Vittorio De Sica, Richard Burton, Franco Zeffirelli. L’incontro è nel suo appartamento romano, una casa che letteralmente racconta il vissuto artistico di Lino Capolicchio. In bella vista il ciak originale del film che ha girato con De Santis, che ancora apporta il titolo di lavorazion, “Il giorno di dolore dell’avvocato Arcuni”, diventato poi, Un apprezzato professionista di sicuro avvenire, ultimo film del grande regista fondiano, uno dei padri del neorealismo italiano.

Ricorda Capolicchio che De Santis, dopo la lavorazione di questo film è rimasto lontano, proprio dolorosamente, dai set, solo per una profonda coerenza professionale, e assolutamente forte di questa coerenza non ha mai recriminato alcunchè. Alle pareti, non sfuggono ai nostri occhi, e decisamente ne restiamo affascinati, decine e decine di fotografie di scena e di manifesti, come il bellissimo e storico cartellone a ventiquattro fogli, per documentare il suo primo ruolo da protagonista nel cinema, Escalation di Roberto Faenza, girato nel 1967.

Racconta che con Faenza il primo impatto non era stato dei migliori. Incontrandolo per un provino il regista aveva esclamato: «Non mi può interessare Capolicchio, il suo aspetto riporta ad un frocio e a un drogato». Ed il provino in quella occasione non fu più fatto, il giudizio, solo estetico, del regista, lo aveva reso inutile. Dopo però, un’anima provvidenziale, la segretaria di produzione del film, corse in soccorso dell’ attore, poiché era rimasta troppo impressionata dalla performance di Capolicchio in teatro, mentre recitava il biondissimo Rodolfo ne Uno sguardo dal ponte di Miller. Fece riconvocare Capolicchio da Faenza suggerendo all’attore un look completamente differente, i capelli corti, il suo biondo cenere naturale e non più ossigenato come quando recitava Miller. Faenza forse si era già dimenticato di quel giovane e biondissimo capellone di qualche settimana prima e la conquista del ruolo fu praticamente centrata. Era per Capolicchio l’esordio da protagonista assoluto nel cinema. «Escalation era praticamente un soggetto autobiografico del regista» ricorda Capolicchio «girato in un periodo specifico, il 1968, nel pieno della contestazione giovanile in rivolta contro il sistema, e Faenza era proprio un regista arrabbiato». Il tempo dei giovani nel sessantotto era scandito proprio dai ritmi dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Deep Purple, degli Who, dalla controcultura, dagli hippies, da città mitiche come Londra e da nazioni come l’India. Anche se, come riconosce Capolicchio, che a Londra era stato veramente e veramente aveva conosciuto i Beatles,  «queste cose in Italia erano diventate, in larga parte, delle mode, e francamente anche molto caserecce».

Ma per Capolicchio cominciava praticamente l’alba di quelli che sono i suoi film estremi, cosa che tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta caratterizzerà un po’ tutta la sua filmografia: Vergogna schifosi di Mauro Severino, Metti, una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi, Le tue mani sul mio corpo di Brunello Rondi, D’amore si muore di Carlo Carunchio, Corpo d’amore di Fabio Carpi, L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale di Gian Vittorio Baldi, Calamo di Massimo Pirri, Canto d’amore di Elda Tattoli. Intanto, tra questi titoli estremi (l’attore deve anche rinunciare, “con grandissimo dolore”  spiega ad interpretare i film  Nell’anno del Signore di Luigi Magni e Strategia del ragno di Bernardo Bertolucci), Capolicchio viene notato da Vittorio De Sica che, nel 1970, lo sceglie come protagonista, insieme a Dominique Sanda, Helmut Berger, Fabio Testi, di quello che sarà il suo film più delicato, sorprendente, trepidante, Il giardino dei Finzi Contini. Questo è proprio un grande film di attori, come sottolinea la critica più autorevole, infatti l’interpretazione di tutti, insieme alla severa direzione del regista, verrà notata ed elogiata nei cinema di tutto il momdo. Il giardino dei Finzi Contini conquisterà, da lì a poco, l’ambitissimo oscar come miglior film in lingua straniera. E sarà il terzo per la carriera di Vittorio De Sica, dopo Ladri di biciclette e La ciociara.

Ma da attore versatile, come appunto Capolicchio dimostra di essere sin dalla prima ora (in Escalation, un film che in qualche maniera Faenza stava realizzando come un dramma fortemente grottesco, l’attore già dirottava il suo personaggio su lidi violentemente ironici) anche il genere comico comincia a fare serie nella sua filmografia. Infatti Dino Risi, capostipite indiscusso, insieme a Mario Monicelli, della commedia all’italiana più brillante, gli offre, nel 1969, il ruolo di protagonista de  Il giovane normale. Il film, un comico grottesco tratto da un romanzo di Umberto Simonetta, è in qualche maniera un road-movie che vuole, nelle ambizioni di sceneggiatura, rincorrere le gesta del precedente capolavoro di Risi, Il sorpasso. Al genere della commedia comica appartengono anche gli immediati successivi film interpretati da Capolicchio come  Mio padre monsignore di Antonio Racioppi, Amore e ginnastica di Luigi Filippo D’Amico, Di mamma non c’è ne una sola di Alfredo Giannetti. E siamo agli albori del grande e proficuo incontro con il regista Pupi Avati con cui girerà il giallo-horror, una delle specialità della carriera del regista, La casa dalle finestre che ridono, nel 1976, cui seguiranno Le strelle nel fosso, nel 1979, Noi tre, nel 1984, Ultimo minuto, nel 1987, Fratelli e sorelle, nel 1998, Una sconfinata giovinezza, nel 2010. Tra questi, a saldare il proficuo sodalizio con Avati, ci saranno anche gli impegnativi film di origine televisiva come Jazz Band e Cinema!!!, realizzati nel 1977 e nel 1978.

Dice Capolicchio: «Quando mi hai chiesto quali film potevo interpretare e non ho potuto fare, oltre a quelli di Bertolucci e Magni, ce n’è un altro, in particolare, ed ha una sua nemesi». Un attimo di pausa, Capolicchio sembra ordinare i propri ricordi, poi riprende: «Mi chiama Dario Argento, era un venerdì sera, e mi dice che vuole mandarmi in visione un suo copione, dovevo però affrettarmi a leggerlo e decidere subito la mia eventuale partecipazione al film, perché i contatti si sarebbero chiusi immediatamente, esattamente il lunedì successivo, e la lavorazione del film sarebbe iniziata nell’arco di pochi giorni». Ma quel fine settimana Capolicchio era atteso in Umbria per un impegno teatrale. Chiama una sua amica, perché l’attore non guida, chiedendo la sua disponibilità ad essere accompagnato. Lei acconsente con grande piacere. Capolicchio parte, portandosi appresso il copione che Argento intanto gli aveva recapitato: l’idea era di trovare, nel frattempo, qualche ora per poterlo leggere, e lo posa tra i sedili posteriori dell’auto.  Ma durante il viaggio accade un pauroso incidente stradale. La ragazza resta ferita gravemente, perde copiosamente sangue, Capolicchio riporta solo un lieve trauma al ginocchio, ma per questo zoppica vistosamente. Un automobilista di passaggio li soccorre e li accompagna in ospedale, Capolicchio, che sorregge la ragazza, viene completamente imbrattato dal sangue, i sanitari dell’ospedale vedendolo così insanguinato corrono verso l’attore, ma Capolicchio dirotta le loro attenzioni sulla ragazza che, effettivamente, entra in coma. Passano i mesi, la ragazza finalmente si riprende, un giorno chiede all’attore di rivedere l’automobile che è ancora in sosta presso un deposito. Lui la accontenta. Vedono l’automobile ridotta ad un ammasso di rottami, e proprio in quel momento torna in mente all’attore il copione di Argento, che era ancora là, dove lui lo aveva poggiato, solo più incastrato tra le poltrone e le lamiere. Lo tira fuori, ma è una raccolta di sangue ormai secco, completamente illeggibile. Il copione era Profondo rosso, il film che Argento realizzò nel 1975.

Nel frattempo il regista Antonio Bido, un autore ammaliato dal cinema di Argento e gran conoscitore del cinema del maestro del brivido italiano vuole Capolicchio come protagonista del suo giallo-horror Solamente nero, che Bido girerà tra le calle di Venezia nel 1978. Ricorda l’attore quando, in uno dei tanti incontri di lavoro con Pier Paolo Pasolini (nei primi anni settanta c’era il progetto di un’incisione su disco, con la voce di Capolicchio, di alcune sue poesie), il poeta gli disse, a proposito dei suoi capelli, portati ancora molto lunghi:  «Capolicchio, lei ha una fronte bellissima, perché se la copre, perché se la nasconde? Lei è un artista, non deve omologarsi»,  e quando, ancora Pier Paolo Pasolini, ma in un’altra occasione, affermò:«Capolicchio, lei ha un viso bellissimo, ma il suo viso esprime tutta la decadenza della grande borghesia europea del novecento»,  oppure quando la professoressa di italiano, alle scuole medie, amava chiamarlo  “il ragazzo con la faccia di Arthur Rimbaud”.

Ma Lino Capolicchio non si ferma solo alla sua carriera di attore, aver lavorato con tanti maestri del cinema e avere imparato il mestiere proprio sul campo sono elementi che gli conferiscono le doti per poter finalmente dirigere da solo le sue idee. Nasce così, nel 1995, il film che segna il suo esordio da regista, Pugili, seguito nel 2002 dal delicato, raffinato ed intenso Il diario di Matilde Manzoni.

Giovanni Berardi


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