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Lo chiamavano Jeeg Robot, il supereroe proletario che sarebbe piaciuto a Scola e a Pasolini

Da Luigimilani @luigimilani

JEEG-Character35x50cmMi unisco al coro di recensori entusiasti di Lo chiamavano Jeeg Robot, film a basso costo divenuto nel giro di pochi giorni, soprattutto grazie al passaparola, un vero e proprio cult.

Colpisce l’ambientazione inedita – la periferia degradata della capitale – popolata da personaggi degni del capolavoro del compianto Scola Brutti, sporchi e cattivi. Ci sono ovviamente i cattivi come in ogni film di supereroi che si rispetti, ma questi sono indubbiamente più autentici di quelli a volte stereotipati del cinema USA: delinquenti spietati e senza scrupoli, sono in realtà persone disperate e si direbbe condannate in partenza.

Molto riuscita al riguardo la caratterizzazione del capo della banda, Zingaro, interpetato da un bravissimo Luca Marinelli, che per l’occasione dà vita a una sorta di Joker di periferia. Un personaggio che è ossessionato dalla chimera del successo televisivo, inseguito anche attraverso una partecipazione al programma televisivo Amici di Maria De Filippi (!), specchio efficace (neanche tanto, ahinoi) della contemporanea, dilagante mania per i social e il video narcisismo.

Qua e là non mancano sfiziose citazioni ai “veri” supereroi – Spiderman e Superman in primis – anche se il nostro eroe, Enzo Ceccotti/Jeeg Robot, è anch’egli un bandito, un antieroe che solo grazie all’incontro con una ragazza traumatizzata da un’infanzia di violenze, Alessia (interpretata magistralmente da Ilenia Pastorelli), troverà alla fine la sua strada. Il che avverrà puntualmente nel finale catartico alla Christopher Nolan.
La pellicola è la dimostrazione che quando vuole anche il nostro cinema è in grado di produrre opere di grandissimo valore anche nel cosiddetto cinema di genere. Lo chiamavano Jeeg Robot infatti è certamente in grado di rivaleggiare con i migliori film di supereroi d’oltremare. Anzi, lo fa con una marcia in più, quella della maggiore aderenza al tessuto sociale e urbano italiano, sia pure in chiave grottesca.

Un plauso incondizionato dunque al regista Gabriele Mainetti e al protagonista Claudio Santamaria, che per l’occasione ha molto lavorato sul fisico, accrescendolo di muscoli e peso, analogamente a quanto fanno i migliori professionisti stranieri. A riprova della grandissima professionalità e bravura del nostro migliore cinema.
Insomma, come avrete capito, si tratta di un film da non perdere.



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