Magazine Cultura

Lo Hobbit: la desolazione di Smaug

Creato il 13 dicembre 2013 da Audrey2

lo-hobbit-la-desolazione-di-smaug2

Ieri sono finalmente riuscita a mettere piede in un cinema, dopo una mezza vita. Era il giorno dello Hobbit: lo aspettavo da un anno! Mi ci sarei trascinata su gomiti e ginocchia. Solo che…
Be’, non son mica convinta, ecco.

Titolo originale: The Hobbit. The desolation of Smaug
Regista: Peter Jackson
Soggetto: The Hobbit, by J.R.R. Tolkien
Sceneggiatura: Peter Jackson, Fran Walsh, Philippa Boyens, Guillermo del Toro
Genere: Fantasy
Anno: 2013

Trama:
Proseguono le avventure di Bilbo, Gandalf e i tredici Nani guidati da Thorin Scudodiquercia, in viaggio per riconquistare la Montagna Solitaria e il perduto Regno dei Nani di Erebor. Dopo essere sfuggiti alla cattura da parte degli Elfi del Bosco Atro, la Compagnia giunge a Pontelagolungo e da lì, finalmente, alla Montagna Solitaria, dove dovrà affrontare il pericolo più grande, una creatura terrificante che non solo metterà a dura prova il coraggio di Bilbo e dei Nani, ma anche i limiti della loro amicizia e il senso del viaggio stesso: il Drago Smaug.

Un viaggio inaspettato mi era piaciuto parecchio, al di là delle canzoncine alla Disney, della battuta di Ori sulle chiappette del drago e delle patatine fritte.
Per La desolazione di Smaug non dirò che avessi aspettative altrettanto elevate — mera prudenza: in genere, i sequel non riescono altrettanto bene. Speravo di divertirmi allo stesso modo, invece. Questo sì. Ma al termine della visione sono uscita più perplessa che soddisfatta.
Di elementi “a favore” ce ne sono, è chiaro.
Una delle cose che indubbiamente mi piacciono, dell’immenso lavoro che sta facendo Peter Jackson, sono i collegamenti che si stanno creando tra questa trilogia e quella del Signore degli Anelli. Non parlo di vera e propria coerenza, in quanto PJ e i suoi collaboratori si sono concessi parecchie libertà (Tombe dei Nazgûl? Okay, non sono una tolkeniana sfegatata, ma… Tombe dei Nazgûl?). Attingendo alle appendici di LOTR, comunque, stanno colmando alcuni vuoti, quasi tutti legati al compito che Gandalf ha assunto su di sé: quello di guardiano della Terra di Mezzo. Dove va? Cosa combina? Su cosa indaga, quando sparisce? In La desolazione di Smaug viene data una risposta. Lungaggine a parte di alcune scene — tutte quelle in cui lo Stregone si aggira per Dol Guldur — trovo che questi elementi di raccordo funzionino alla grande, alla faccia delle varie invenzioni. Ragion per cui non mi unirò ai cori di: “Peter Jackson sei un eretico!”. Continuerò a limitarmi al mio scettico leitmotiv: “No, dico: tombe dei Nazgûl?”
Un’altra cosa che va a fare mucchio con i pro di questo secondo film è l’evoluzione di Bilbo, interpretato dal sempre eccezionale Martin Freeman, che lo caratterizza con una mimica e una gestualità azzeccatissime. Da una parte, lo Hobbit sta maturando e sta trovando in sé risorse che la vita comoda nella Contea aveva assopito: coraggio e tenacia su tutte. D’altra parte, e questo è il risvolto che ho preferito, il male dell’Unico Anello si è ormai insinuato in lui e lo sta cambiando, al punto che Bilbo mente a Gandalf.
L’atmosfera cupa del film ha un suo perché anche per questo: il Male è uno dei personaggi a tutti gli effetti.
Ci sono, poi, le scene d’azione: quella dei barili, per quanto lunga, è senz’altro la mia preferita. Escludendo il siparietto comico con Bombur, durante il quale dentro di me ululavo disperatamente “Nnnnnooooouuuuuuuuuu! Perchééééé?”. Però, nel complesso, pollice su: è bella frenetica, tra i Nani in balia della corrente, gli Orchi che li incalzano e gli Elfi che cacciano gli Orchi. I quali vengono decapitati, infilzati e impalati in diversi modi creativi.
C’è Thranduil, al quale — per tutto il tempo in cui è stato in scena — ho pensato come a Mister Pigna in C**o (e scusate la finezza). Mi è piaciuta l’interpretazione di Lee Pace, che ha reso l’Elfo non solo come il classico perfettino, arrogante, sputa sentenze. Thranduil è inquietante. Non è del tutto a posto, il sovrano degli Elfi del Bosco Atro. È ben più che strano e selvaggio, rispetto ai parenti di Granburrone: appare malato, come il suo regno, preda com’è della stessa avidità, dell’ira e della meschinità di cui accusa gli altri. Il viso di Lee Pace passa dalla ieratica immobilità dell’Elfo odiosamente moralista — che pontifica sulle debolezze degli altri popoli della Terra di Mezzo — alla rabbia, alla ostilità e a una malevolenza che sa di follia, nelle scene in cui Thranduil si confronta con Thorin.
Poi ci sono Bard e Pontelagolungo. Non quanto avviene nella città, ma proprio LA città: bellissima, un dedalo di palafitte collegate da ponteggi, moli e ponti di barche che, per certi versi, portano alla mente i canali più stretti di Venezia. Quanto a Bard, è uno dei personaggi che mi sono piaciuti di più e che ho trovato più vivi. Avendo sulle spalle il peso del fallimento di Girion di Dale, suo antenato, e avendo ereditato la missione di uccidere Smaug, sarà interessante vederlo nell’ultimo film della trilogia.
E, infine, ci sono i ragni giganti! RAGNI GIGANTI! RAGNI GIGANTI!

ThranduilHeader

Tuttavia, durante la visione di La desolazione di Smaug è successo qualcosa che non era successo con Un viaggio inaspettato: mi sono annoiata. Più di una volta.
Già l’inizio del film, con i Nani e lo Stregone in fuga per l’ennesima volta da un branco di Orchi, mi aveva maldisposta per la ripetitività della cosa in sé. E di momenti in cui mi sono trovata a pensare “toh, già visto nell’altro film” ce ne sono stati parecchi; incluse le immancabili scene in cui piove e il fango si spreca. L’intervallo non è giunto come una seccatura indesiderata. L’ho accolto con un sospiro che non era proprio di sollievo, ma più una via di mezzo tra “che delusione” e “speriamo nel secondo tempo, dai!”.
Una cosa che mi è mancata, rispetto a Un viaggio inaspettato, sono stati i personaggi. Con l’eccezione di Bilbo, tutti gli altri sono così spenti da confondersi con il paesaggio perennemente grigio o notturno. Persino Gandalf, a cui quasi quasi Azog e Bolg rubano la scena. Bolg, soprattutto: inventato di sana pianta, ha un ruolo da antagonista molto più attivo. Per quel poco che è apparso, anche Sauron mi è piaciuto più dei Nani e dello Stregone. Sylvester McCoy, poi, a cosa è servito? Solo al sagace scambio di battute:
Radagast: “Gandalf… e se fosse una trappola?”
Gandalf: “È indubbiamente una trappola”.
Come da trailer, d’altronde.
E dove sono Fili e Kili? Accidenti, nel primo film erano così simpatici! Tutti i Nani erano caratterizzati, in qualche modo — anche se alcuni li avrei presi a ceffoni, Ori su tutti. Qui ci troviamo con gli attori che li interpretano impegnati perlopiù a sgranare occhi e bocca — oltre che a correre, correre di continuo — e con un Kili innamorato di una Elfa, l’altrettanto inventata di sana pianta Tauriel. Che sarebbe cosa? Il contentino al pubblico maschile per via dei Nani belli che tante bordate hanno suscitato l’anno scorso, quando cominciarono a trapelare le prime immagini e notizie circa gli attori che avrebbero interpretato Thorin e i suoi due nipoti? Oppure il tentativo di dare un tocco moderno alla storia, inserendo un amore interraziale? Non ditemi — no, davvero!, non ditemi — che il triangolo tra lei, Kili e Legolas serve a dare un motivo più profondo all’antipatia che quest’ultimo prova verso i Nani… Insomma, adesso tocca a me ridere della presenza di Evangeline Lilly e mi permetto di liquidare così la sua inutile elfetta. Serve solo ad allungare il brodo ed è stata una dei motivi per cui mi sono annoiata.
Anche Legolas, al quale viene concessa più presenza di quanta ne abbia nel libro, è stato una delusione. Orlando Bloom sembra aver sofferto di una qualche paralisi dei nervi facciali, mentre era impegnato sul set. È stato un Elfo parecchio legnosetto. Le ha persino prese da Bolg. Proprio Legolas che, in La compagnia dell’Anello, è capace di stare in equilibrio sulla testa di un troll e di prenderlo a frecciate. Ma in fondo, non ho motivo di stupirmi. Non dopo aver visto e sentito degli Elfi ubriachi russare come caterpillar.
Chiudo con LA nota dolente: Smaug.
Alla fine non era posticcio come avevo temuto dopo aver visto i trailer. Ma non l’ho trovato così eccezionale, non dopo i Kaijū di Pacific Rim — anche se lungi da me l’intenzione di sminuire il lavoro dei disegnatori e degli artisti della Weta Workshop e della Weta Digital, che hanno lavorato sul drago per due anni. Al di là della sua realizzazione “fisica”, è stata soprattutto quella “psicologica” a lasciarmi freddina. Peter Jackson voleva uno Smaug scaltro e psicotico. Ma perché psicotico deve essere sinonimo di ciarliero? Come per i classici Kattivi del Fèntasi, che parlano, parlano, parlano. Smaug mi ha annoiata abbastanza. Però voglio godermi comunque il doppiaggio originale di Benedict Cumberbatch! Il quale ha registrato i dialoghi di Smaug giringirando in un teatro vuoto, in modo che la voce del drago avesse la giusta sonorità.
Piccola nota da rompiballe a proposito della scaltrezza di Smaug: sente l’odore di Bilbo… e si fa sfilare sotto il naso nove Nani e lo Hobbit che stanno attraversando un ponte, in piena vista?
Di Smaug mi è piaciuta, in pratica, solo la sua ossessione per l’oro, forse perché rispecchia i draghi delle storie che leggevo da bambina. La sua espressione, davanti alla gigantesca statua realizzata da Thorin, è stata qualcosa di impagabile. Come il suo bagno nell’oro fuso. Non ho letto Lo Hobbit, ma so che fine farà e mi auguro che, almeno in quel momento, PJ e i suoi sceneggiatori lo faranno parlare di meno. Possibilmente, nemmeno mezza parola. Se soffiasse solo fuoco e distruggesse a tutto spiano sarebbe anche meglio.
La potenza di Smaug la voglio vedere, non sentire nelle sue chiacchiere.

Lo Hobbit: la desolazione di Smaug
Lo Hobbit: la desolazione di Smaug
Lo Hobbit: la desolazione di Smaug
Lo Hobbit: la desolazione di Smaug
Lo Hobbit: la desolazione di Smaug

In conclusione, anche se La desolazione di Smaug non mi ha entusiasmata come avrei voluto, resta un film sicuramente epico nell’atmosfera, con spunti interessanti che spero di non vedere sprecati nell’ultimo capitolo della trilogia — dal quale mi aspetto un adeguato colpo al cuore. Perché inventare e reinventare va bene. Prenderci tanto gusto da appiattire e dilatare inutilmente il tutto, a scapito degli elementi della trama e dei personaggi, no.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine