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Lo scrittoio del generale. La romanzesca epopea risorgimentale del generale Govone.

Creato il 29 marzo 2012 da Ilcasos @ilcasos

Marco Scardigli, Lo scrittoio del generale. La romanzesca epopea risorgimentale del generale Govone, Torino: UTET, 2006, XVI – 590 pp.

Copertina de Lo scrittoio del generale

Copertina del libro

Il sottotitolo di questo libro è in un certo qual modo fuorviante. Romanzesca epopea risorgimentale. Di chi stiamo parlando? Di Garibaldi, l’Eroe dei Due Mondi? Di Mazzini, l’Apostolo delle Genti? Di quel genio diplomatico – e mostro politico – del conte di Cavour? Di Viva VERDI altrimenti detto Vittorio Emanuele Re D’Italia?
No. Stiamo parlando di Giuseppe Govone, un generale piemontese mai entrato nell’iconografia e nella leggenda dell’unità italiana.
Allora perché quel sottotitolo?
Beh, perché in effetti Giuseppe Govone in vita sua ne ha viste tante. Ha persino partecipato alla carica di Balaklava, in Crimea, la famigerata carica dei 600. È stato spia, generale, deputato, ministro. Ne ha viste tante da finire pazzo, a spararsi un colpo in testa dopo due anni di isolamento nella sua casa di Isola d’Asti. Nel 1872, ad Italia appena fatta.
1848, 1849, la Crimea, 1859, i Mille, il brigantaggio, 1866, la tassa sul macinato, Porta Pia. Govone ha visto e vissuto tutto il risorgimento, dall’inizio alla fine. Dalla parte antipatica, quella dell’esercito sardo e poi italiano, che non vince mai una guerra ma in compenso spara volentieri sui rossi.
Dalla parte antipatica, ma a modo suo, e forse per questo il suo nome non è stato consegnato alla leggenda. Govone che scrive:

Se quindi oltre alla fame il proletariato non trova schermo contro la prepotenza, nulla è a maravigliare che si rivolti contro la società e che le dichiari guerra, per cercare nella forza quell’equità che gli è negata.

E ancora:

Uno dei bisogni più potenti nell’uomo unito in società sta nella giustizia e nulla irrita più le passioni del sopruso impunemente commesso. A questa condizione del proletariato napoletano va attribuita, a quanto mi parve dopo un lungo esame, la causa principale del brigantaggio.

Giuseppe Govone

Giuseppe Govone (1825 - 1872)

In un esercito, sardo e poi italiano, nel quale per anni a tenere le redini c’è gente come l’ottuso Enrico Macigno Della Rocca, lo scialbo Agostino Embrione Petitti o il nevrotico Alfonso Ferrero Della Marmora, un ufficiale che scrive robe del genere è in effetti ai limiti dell’epica. Il professorino Govone, generale ad appena quarant’anni, detestato da tanti (Macigno in primis) e amico di pochi. L’inviato segreto che tratta da pari a pari con Bismarck. Il generale che nel 1869 accetta il posto di ministro della guerra perché unico tra tutti i suoi colleghi a voler dimezzare le spese militari.
Un attimo. Govone? Lo stesso accusato di usare la tortura in Sicilia, nel 1867, in una regione dove il brigantaggio manco c’è? Lo stesso Govone a far fucilare il soldato Barsanti, dato in pasto all’opinione pubblica conservatrice dopo l’ennesimo fallito moto mazziniano? Lo stesso generale Govone che appena tenente, nel 1849, partecipa da protagonista alla repressione dei moti repubblicani? Lo stesso che scrive ai propri colleghi e alla moglie lettere piene di disprezzo per Mazzini e persino per Garibaldi, che ritiene il Sud un inutile fardello per l’Italia?
Certamente. Perché l’operazione che conduce Marco Scardigli sulla scorta del fondo Govone (conservato al Museo del Risorgimento di Torino) e delle memorie di altri ufficiali dell’epoca non è agiografica, anzi. Attraverso le lettere e i documenti del generale (trattati con grande serietà e stile), il lettore vede il risorgimento attraverso il punto di vista della parte antipatica. Antipatica, ma che alla fine ebbe la meglio su tutti gli “eroi”. Perché furono i Macigno a decidere cosa sarebbe stata l’Italia, non i Garibaldi né i Mazzini.
Il libro di Scardigli rende bene questo aspetto, e svela anche la vita di quella classe di ufficiali che, attraversato più che vinto il risorgimento, avrebbe contribuito poi a definire e governare l’Italia fino alla Grande Guerra. Fotografa anche, nella fine del generale, la distanza patologica tra il risorgimento pensato e propagandato e la realtà di un paese povero, diviso e retto da una schiera di personaggi ai limiti dell’orrore.
Persino per un antipatico come il generale Govone.

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Giuseppe Govone, guerra, Italia, Marco Scardigli, risorgimento, storia d'Italia Storiografia


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