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Lo sguardo esterno#2 – Into Darkness – Star Trek

Creato il 05 agosto 2013 da Nehovistecose

Locandina

(Star Trek Into Darkness)

Regia di J. J. Abrams

Londra. 2249. Un devastante attacco terroristico fa piombare nel panico la Federazione. L’autore di tale attentato è il potente quanto misterioso John Harrison (Benedict Cumberbatch), terrorista intenzionato a perpetrare la sua vendetta nei confronti della Federazione. Inizia così una vera e propria caccia all’uomo che vedrà, ovviamente, impegnata l’Enterprise col suo equipaggio comandato dal capitano Kirk (Crish Pine), dal suo vice Spock (Zachary Quinto) e dalla bella Uhura (Zoe Saldana). Tra battaglie stellari, sparatoie al phaser, atti di coraggio e ambigui giochi e doppi giochi si scoprirà che la verità non è mai così limpida.

Nel 2009, J.J Abrams riuscì in qualcosa di miracoloso; ridare linfa ad un franchise vecchio di quasi mezzo secolo e dato per morto anche dagli stessi fans, dopo il disastro su tutti i fronti di Star Trek. La  Nemesi del 2002.

Cast giovane, storia accattivante e che punta alle Nuove Generazioni (piccola citazione trekkie) e regia che strizza l’occhio più a Star Wars (per stessa ammissione di Abrams) che a Kirk & Co. Dopo un iniziale scetticismo, la scommessa è stata vinta. Il primo film del nuovo corso trekkiano ha incassato mezzo miliardo di dollari e ha raccolto favori unanimi da critica e addirittura trekkies più estremisti. A distanza di quattro anni si arriva così all’inevitabile sequel.

Lo schema narrativo e di messa in segna ricalca per filo e per segno il capitolo precedente e, come in voga nel Nuovo Blockbuster hollywoodiano, si pigia fin da subito sull’acceleratore per poi concedere più respiro col divenire della narrazione. Fin dalla prima scena, abbiamo lo stesso schema tra i due protagonisti (l’impulsivo Kirk e il razionale e ligio Spock) i quali si trovano subito divergenti (il Vulcaniano avrebbe preferito il sacrificio all’infrazione della Prima Direttiva mentre Kirk era di totale parere opposto) e questo porterà al loro ennesimo litigio nonostante il rispetto e soprattutto l’amicizia che lega i due.

Dopo i primi dieci minuti introduttivi di fughe, eruzioni vulcaniche su mondi alieni e bisticci tra amici si parte con il vero mcguffin del film. Londra è scossa da una terribile esplosione. Terrorismo (l’America, por quanto si sforzi, non è ancora guarita dalle ferite dell’ 11 settembre). Caos nella Federazione e un solo colpevole: lo spietato e agguerrito John Harrison, ex spia federale dal passato oscuro ora divenuto un cane sciolto.

Indubbiamente è questo personaggio il più interessante del film, tanto che l’intero lancio pubblicitario è stato basato su di esso, interpretato dal bravissimo “Sherlock” Benedict Cumberbatch; l’attore britannico ne fa un cattivo “old style”, un antagonista misterioso dalle molteplici sfaccettature (villain, poi alleato con l’equipaggio dell’Enterprise e poi nuovamente villain) e per questo molto pericoloso nel divenire degli eventi narrativi ma forse un po’ banale per lo spettatore dal palato fino. L’impressione che si ha dopo i primi minuti è che il team di sceneggiatori (Kurtzman, Orci e Lindelof) abbia voluto basare un film di 130 minuti su questo unico personaggio, sul suo carisma e sul fatto che si scopra essere il cattivo per eccellenza della saga trekkiana: Kahn.

L’operazione però non riesce e a tratti si ha l’impressione che le scene action siano inserite per colmare qualche buco del copione e il team creativo “giochi” a fare una sorta di Cavaliere Oscuro (per ambientazioni, cupezza della fotografia e drammaticità di alcuni dialoghi) in Star Trek, non riuscendoci però appieno.

Se dal punto di vista tecnico, di pathos e di effetti, Into Darkness è ineccepibile e incalzante, da quello narrativo si ha l’impressione che Abrams avesse già la testa all’Episodio 7 di Star Wars e abbia optato per un reboot del precedente Star Trek II: L’Ira di Kahn e sul citazionismo della serie classica, che fa ovviamente piacere ai fans (tra cui il sottoscritto ndr) ma che alla lunga appare debole. Ben accetti i Klingon e Kahn, ma il finale (quasi) identico a quello dell’illustre predecessore era forse un po’ troppo.

Detto questo il film resta comunque una pellicola godibilissima e a tratti davvero emozionante (va bene, se non volete spoiler, saltate il contenuto di questa parentesi: la morte di Kirk invece che di Spock alla fine è pacchiana ma emotivamente funzionante). Due ore e dieci minuti di ludica evasione.

Nota positiva, ben tornato a Peter “Robocop” Weller dopo tanti anni di esilio cinematografico.

VOTO: 2,5 su 5    

Matteo Merlano



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