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Lo spettro ciclico del Web cattivo (di Alessandro Gilioli)

Creato il 28 novembre 2015 da Tafanus

Questo articolo di Alessandro Gilioli sulla periodica riscoperta della rete come alfa e omega di tutti i mali del mondo merita di essere letto con attenzione. Tanto per non ricadere ancora una volta nella sua colpevolizzazione come causa (o almeno strumento quasi unico) di tutti i mali del mondo. Anche una Panda, se uno si mette d'impegno, può diventare un'arma per compiere una strage. Basta lanciarla a 100 all'ora, nell'ora dello "struscio", nel "corso" di qualsiasi città di provincia italiana. Che facciamo, un editto per togliere dal mercato la Panda?. Meditate, gente, meditate... Tafanus

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L’idea di sospendere o limitare alcune forme di comunicazione in Internet è ciclica dopo ogni attentato: se n’è iniziato a parlare negli anni Novanta, poi dopo le Torri Gemelle (2001), quindi a seguito delle mattanze di Madrid e Londra (2004-2005); e poche settimane fa l’ipotesi è stata di nuovo avanzata in Israele per evitare la propaganda degli accoltellamenti. Altrettanto rituale è la tentazione di procedere a controlli digitali di massa, sul modello di quelli messi in atto dalla Nsa americana. Dopo il 13 novembre di Parigi il dibattito è stato arricchito da alcune presunte modalità i contatto fra i terroristi jihadisti in Europa i quali, secondo il ministro belga Jean Jambon, userebbero la Playstation4, «più dificile da tracciare».

L’opzione di controllare di più Internet e di censurare i siti o le pagine social che invitano al terrorismo è immediata e intuitiva, quasi la prima cosa che viene in mente nell’emozione dopo ogni strage. Nel discuterne si potrebbe però tenere conto di alcuni elementi di rilessione che forse sono meno immediati:

1. È STATO PROVATO che il controllo digitale di massa non presenta un rapporto conveniente tra costo e beneficio. In altre parole, è come sparare migliaia di rafiche di cannone in cielo per abbattere un canarino. Lo spionaggio  digitale funziona invece se e quando è mirato e se viene collegato a forme di intelligence di altro tipo. E questo al netto di tutte le questioni etiche e le dichiarazioni politiche (Onu compresa) contro la sorveglianza diffusa e il suo costo in termini di diritti civili. Tra l’altro, in Francia era appena stata varata una legge sul controllo digitale di massa tra le più severe del mondo, di cui i terroristi si sono fatti beffe.

2. BUONA PARTE degli spionaggi mirati (cioè su possibili terroristi, all’interno di inchieste della magistratura) avvengono proprio a partire dai siti e dagli account social che ora si ipotizza di oscurare. È possibile che chiudere alcuni speciici siti jihadisti in termini di sicurezza possa determinare un maggior vantaggio (grazie alla riduzione della propaganda) anziché un maggior danno (per la conseguente impossibilità di tracciare chi li frequenta e immette contenuti), ma è utile avere contezza anche della minor fattibilità delle indagini.

3. PER QUANTO RIGUARDA le comunicazioni dirette tra i terroristi, oggi è nel mirino la Playstation, ieri lo era Telegram, l’altro ieri Skype, domani chissà. La verità è che è praticamente impossibile, nella quantità ininita di potenzialità comunicative proposte da Internet, che si riesca a impedire a una o più persone di scambiarsi messaggi, a meno che non si decida di chiudere tutta la Rete. E, per quanto riguarda l’intercettabilità delle conversazioni, non si può ignorare che rendere accessibili alle intelligence i vari sistemi crittograici crea negli stessi una vulnerabilità poi sfruttabile anche per motivi politici e di repressione del dissenso; o da parte di altri soggetti, inclusi i pirati di dati.  «Premesso che anche nel volto del nemico vedo rilessa l’immagine di Dio, chi viene a uccidermi deve sapere che saprò difendermi». Ma davvero sapremo e sappiamo difenderci? Il presidente francese Hollande a mezzanotte tra venerdì e sabato sembrava ispirarsi al generale De Gaulle, che però aveva letto Tacito e Giulio Cesare, prima di diventare leader: sapeva quindi cosa fossero la Storia e la Guerra. E Hollande? Dice Dan Diner, professore a Lipsia e Gerusalemme: «Oggi siamo capaci di oscillare tra lutto e bombardamenti dal cielo, ma non sappiamo prendere decisioni vere». Spiega: «Alla generazione dei nostri leader manca quella che possiamo chiamare “esperienza di vita e di storia”. Sono tutti il prodotto di una cultura che non contempla un conlitto vero». E ancora, «sembrano non aver esperienze esistenziali, non aver la capacità di discernimento: inteso come discernimento kantiano o alla Hannah Arendt, cioè nel senso di saper prendere decisioni pur sapendo di sbagliare. Questa mancanza fa sì che non siano capaci di capire che la scelta è sempre e soltanto tra il male assoluto e il male minore». Insomma, Diner, studioso anche della Shoah (e qui una lezione fondamentale per sapere che mai la scelta è tra il Bene e il Male) dice: per poter combattere bisogna avere un rapporto intimo con la storia. Ed è solo a partire da quel rapporto che è possibile assumersi delle responsabilità.

E allora, che fare con l’Is? «Prima di tutto dobbiamo capire che hanno qualcosa di autentico. Non in  trmini teologici, ma perché le primavere arabe, cominciate con le barricate e il popolo che voleva decidere e partecipare, hanno inito per trasformare le barricate in conini identitari. L’Is è un esempio». E con questo il problema si riapre. Perché i conini identitari in genere prediligono la morte allo champagne.

(Alessandro Gilioli - l'Espresso)


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