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Lo sport più duro del mondo

Creato il 03 maggio 2012 da Motherbrave
Si avvicinano le olimpiadi di Londra e iniziano a fiorire le iniziative di comunicazione delle aziende. C'è uno spot in particolare che mi ha colpito, perché non parla di sudore, muscoli, concentrazione e voglia di vincere, per metterci sopra il logo dell'azienda. O meglio, si trattano questi argomenti, ma non come ci si aspetterebbe. Ve lo faccio vedere:

L'incipit di questo post è lo stesso di un mio guest post sul blog di Stefania Boleso, che però analizza il caso dal punto di vista del marketing e della comunicazione. In questa sede invece lo svolgimento sarà diverso. Ora vi chiedo, che cosa vi suscita questo spot?Commozione.Bene, poi?Amore per la mamma.Ok, poi?Voglia di andare ad allenarmi.Io, in quanto madre, non ho potuto fare a meno di immedesimarmi nelle protagoniste di questo spot. Mi è piaciuta la tenerezza con cui queste madri svegliano i propri figli la mattina. Mi sono detta: "Anche io faccio così". Beh, almeno quando non sono in ritardo e grido mentre sto contemporaneamente scaldando il latte e spalmando il fondotinta: "VUOI SCENDERE DA QUEL LETTO SI' O NO?!?" Ma i parallelismi finiscono qui. Infatti io poi vado a lavorare e se c'è uno dei miei figli da accompagnare in piscina, magari ci va il loro legittimo padre. Oppure i nonni.Oddio, dite che i miei figli non diventeranno mai degli atleti perché non sono io ad accompagnarli agli allenamenti? Ecco, vedete? Sempre il solito stupido senso di colpa.Comunque, quello che volevo sottolineare è che nella vita degli atleti, come in quella di tutti i bambini del mondo, c'è una madre e c'è un padre. Insomma, ci sono due genitori. DUE. Uno più uno, capite? E magari il padre ha anche piacere a stare con il proprio figlio, a fargli da mangiare, a vestirlo, a portarlo in piscina e a fare il tifo per lui. Magari quel padre stende anche la biancheria, oppure va a fare la spesa. Tutto questo senza rinunciare al proprio lavoro. Proprio come fa la madre.Ma, come al solito, la realtà sembra essere un'altra. In questo spot, i figli li fanno solo le mamme. Mi ha veramente colpito la chirurgica assenza dei padri. Come sotto il fascismo, quando oltre alle persone, sparivano anche le parole straniere e i cognomi venivano italianizzati. Così ti viene subito da pensare: "Che stronzi questi padri, che non accompagnano mai i figli agli allenamenti e non fanno il tifo per loro durante le gare". E pensi che magari questi ragazzi si concentrano così tanto nello sport per superare il trauma di un padre assente. Insomma, ti fai delle domande, ti chiedi cosa c'è che non va.Ma l'unica cosa che non va è l'approccio dell'azienda che decide di fare comunicazione in modo molto vecchio. E qual è l'azienda? La Procter & Gamble, multinazionale dei detersivi, dei dentifrici e dei prodotti di bellezza. E a chi venderò mai il mio Dash durante le olimpiadi? Ma è ovvio! Alle mamme! Cioè alle donne. Cioè a quegli esseri umani creati per far compagnia agli uomini, fare il bucato e accudire i figli. Questa è la realtà. Questo è il mercato e questo è quindi il marketing.E allora faccio uno spot per le olimpiadi, e dico W la mamma. E apro una pagina su facebook. E dico a tutti che io sostengo le mamme, perché io alle mamme ci tengo, perché fanno il bucato e comprano il Dash. Per la Procter & Gamble i padri non esistono e ci rimanda l'immagine della sua visione della società. E a noi piace: condividiamo questo spot su facebook piene di lacrime e di emozione e contribuiamo a diffondere un modello che non esiste o che non dovrebbe esistere. E come al solito ci diamo da sole la zappa sui piedi. Siamo così concentrate a celebrare il nostro eroismo quotidiano che non ci accorgiamo che così legittimiamo uno status quo in cui ogni cambiamento diventa molto difficile. Diffondiamo una visione in cui l'uomo non c'è e poi ci lamentiamo perché non c'è. E il tutto, compiacendo anche il marketing dei detersivi.Non vi sembra eccessivo?

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