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Lo spread aumenta e Silvio è un vulcano pronto a eruttare. “Non è mia la colpa". Pronti per un nuovo italian-dream?

Creato il 25 novembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Chi lo conosce lo descrive come il vulcano della sua villa in Sardegna al quale basta premere il tastino “on” ed erutta. Silvio è offeso, incazzato, infuriato, disgustato, indignato dall’atteggiamento del nuovo presidente del consiglio che non lo degna di una telefonata, di una cartolina, di un segnale di fumo proprio come il gorilla lasciato solo dal cacciatore nella giungla. Ma non è una barzelletta. Dopo la momentanea dipartita politica, Silvio si aspettava che il suo nobile gesto avesse un'altra accoglienza, tutt’altro apprezzamento. Si attendeva, insomma, di essere considerato ancora come il vero capo dell’esecutivo, magari in aspettativa forzata, ma pronto a riprendere le sue funzioni nel momento il cui lo spread fosse sceso. E invece il Professore lo considera esattamente quello che è: l’ex presidente del consiglio. A Silvio essere  un ex non va proprio giù, soprattutto per il modo nel quale lo è diventato. Lui odia essere un ex. Egli “è” e nessuno potrà mai dire “è stato”, in primis perché si ritiene ancora Napoleone e in secundis perché, da boia, pensa di essere il padrone della morte, e della vita, dei suoi connazionali (prego segnalare il film dal quale l’ultima frase è tratta nello spazio commenti). Colpito nel superego più profondo dalla maleducazione del neo premier, Silvio sta pensando seriamente di tornare alle urne a primavera. I suoi più stretti collaboratori lo descrivono mentre gira vorticosamente intorno al tavolo del salotto buono di Palazzo Grazioli, con i dati degli ultimi sondaggi stretti in mano, intento a riflettere su quel 45 per cento degli elettori del Pdl che vorrebbe tornare a votare. I pasdaran più estremisti lo stanno spingendo in questa direzione. Da Giuliano Ferrara a Daniela Santanché, da Renatino Brunetta a Gnazio La Russa fino a Mimmuzzo Scilipoti, che non è andato a togliere il fango a Barcellona Pozzo di Gotto ma se n’è restato tranquillo a Roma, gli orfani di Berlusconi stanno cercando di convincere il Capo che l’unica soluzione per non finire nel dimenticatoio, è quella di ridare la parola agli elettori, magari dopo una campagna all’ultima sangue condotta sulle reti unificate, sui giornali padronali e sul web che Silvio sta tentando di occupare. Il discorso, soprattutto di Gnazio, è semplice: “Il premier si è dimesso a causa dello spread. Lo spread non è sceso. La colpa non è di Silvio, come tutti pensavano, ma della crisi internazionale. Quindi, il nostro governo ha operato benissimo e non è sua la colpa dello sfacelo dell’Italia”. La rabbia di Berlusconi ha raggiunto il livello di guardia quando, fonti autorevoli vicine al Professore, gli hanno riferito che Monti si è presentato a Bruxelles proponendo a Sarkò e alla Merkel, gli stessi provvedimenti pensati dal suo governo. “E allora – si è detto Silvio – per quale cazzo di motivo mi hanno fatto dimettere?” In linea generale non gli si può dar torto. Visto che il discredito che ha investito l’Italia a lui non fa né caldo né freddo, trova inconcepibile che il presidente Napolitano lo abbia costretto a dimettersi in assenza di un “progetto” alternativo al suo e senza considerare che sarà costretto a recarsi in tribunale non avendo più lo scudo del legittimo impedimento. Che Silvio si senta, e sia, ancora il premier lo si vede anche dalla scorta che lo segue, dagli alti ufficiali dei carabinieri che gli coprono le spalle, e fanno capolino nelle immagini televisive, dai funzionari della questura lo trattano ancora come fosse il “presidente” riservandogli attenzioni che un onorevole qualsiasi si sognerebbe. C’è anche da dire che stanotte si è tenuto a Palazzo Giustiniani il primo vertice (segreto) della nuova maggioranza. Bersani, Casini e Alfano sono entrati dalla porta di servizio e si sono intrattenuti con Mario Monti fin quasi mattino per discutere di vice-ministri e sottosegretari. Non sembra ci siano state fumate bianche. Contrariamente a quanto pensano, e desiderano, Casini e Bersani, Alfano non ha nessuna intenzione di piazzare politici-tecnici dentro l’esecutivo (anche perché sa benissimo che i suoi sono solo mezzeseghe) e per questa ragione sembra che, alla fine, saranno i ministri del nuovo governo a scegliersi i collaboratori, a prescindere dalle indicazioni dei leader politici. Ma l’impressione che ha dato il segretario del Pdl è quella di chi si appresta ad affrontare una lunga campagna elettorale e non la collaborazione con un governo che vuole reintrodurre l’Ici sulla prima casa, aumentare l’età pensionabile, introdurre la patrimoniale. D’altronde a disinnescare l’accusa che Berlusconi fosse il responsabile dell’insostenibile ascesa del differenziale spread-Btp hanno pensato gli stessi mercati, per cui non si capirebbe la ragione di continuare con un esecutivo di tecnici non eletti da popolo, ma nominati dal presidente della Repubblica, in presenza degli stessi problemi che hanno portato alla caduta di Berlusconi. C’è, ed è l’unico freno che resta all’Italia per non sprofondare definitivamente nel baratro, il referendum sulla legge elettorale chiesto da una parte non indifferente del corpo elettorale. Se si andasse a votarlo, la Porcellum finirebbe nel cestino e, con ogni probabilità, anche il bipolarismo tanto caro a Silvio ma che, ad esempio, Pierfy Casini vede come fumo negli occhi. Ma gli strateghi del Pdl hanno pensato anche a questo. Se Alfano riuscisse infatti a convincere Pierfy a dar vita al “cantiere dei moderati”, l’ostacolo del bipolarismo verrebbe saltato a piè pari e nulla potrebbe mettersi di traverso all’alleanza fra il Pdl e il Terzo Polo. Detto fra noi, Casini teme come la peste nera Corrado Passera. Mentre Silvio è abituato a giocarci, Casini non ci sembra un fulmine di guerra, per cui ritrovarsela di fronte nella corsa verso PalazzoChigi, per lui sarebbe una vera iattura. E questa è la ragione principale per la quale anche a Casini potrebbe star bene andare a votare in primavera. Nonostante nel Terzo Polo sia Fini che Rutelli si dicano contrari alle elezioni anticipate, la posizione dominante dell’Udc potrebbe avere la meglio (sviluppi tangenti Finmeccanica-Enav-Enac a parte) e portare l’Italia, ancora una volta, a essere governata da Mediaset e dal Vaticano. Qualche post fa scrivevamo che non abbiamo nessuna intenzione di morire casiniani ma, considerato che Casini si troverebbe a combattere contro Piergigi Bersani, l’impressione è che ci tocchi. Cosa ha fatto di male questo Paese non si sa, quello che è certo è che, ancora una volta, avremo i dirigenti che ci meritiamo. E Mario Monti? Ha sempre un posto da senatore a vita. E Bersani? Campa cavallo.

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