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Lo stile dell’età del jazz e dei ruggenti anni venti: l’Art Déco

Da Rita Charbonnier @ritacharbonnier
Tiziana Daga per non solo Mozart

Lo stile dell’età del jazz e dei ruggenti anni venti: l’Art Déco

Disegno di Erté

Alla fine degli anni ‘60 il termine Déco, nato dall’abbreviazione di “Décoratifs” dal titolo dell’ esposizione internazionale tenutasi a Parigi nel 1925 (Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes), entrò nell’uso comune per definire le molteplici tendenze dello stile e del gusto che si diffusero negli anni Venti e Trenta in Europa e in America, nel pieno di quell’euforico ottimismo che caratterizzò la fine della prima Guerra mondiale e che non lasciava presagire né la crisi del ‘29, né la catastrofe di una seconda guerra mondiale.
In realtà l’Expò del ‘25 più che segnare l’inizio dell’Art Déco ne rappresentò l’epilogo, evidenziando l’implicita contraddizione tra l’idea di modernità nata con l’Art Nouveau e quella che, a quella data, era già stata espressa dalla sperimentazione artistica delle Avanguardie - dal Fauvismo al Cubismo - così come nello spettacolo, dalla novità costituita dai Ballets Russes dell’impresario e coreografo russo Sergej Diaghilev.

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Ruhlmann, toeletta

Infatti la manifestazione, immaginata prima dello scoppio della guerra e poi a causa di questa e delle sue conseguenze economiche rimandata fino al 1925, finì con accogliere in sé quelle che al tempo erano ormai le due principali tendenze del moderno: da una parte quella che, nel confermare il ruolo guida di Parigi, negli anni Venti si espresse ancora prevalentemente con le forme eleganti e le linee morbide “femminili” di un raffinatissimo artigianato d’élite (come quelle dei mobili del grande ebanista francese Ruhlmann o dei vestiti e degli arredi creati da Poiret); dall’altra espresse l’Esprit Nouveau di chi, come Le Corbusier, nel ridicolizzare con il termine déco il contenuto frivolo della maggior parte delle opere esposte, opponeva a quel gusto le geometrie e i nuovi materiali del Razionalismo e del socialmente utile.
In quello stesso anno, luogo emblematico di questa modernità e vero paradigma del gusto déco è la casa del sarto e collezionista francese Jacques Doucet (1853-1929) a Neuilly. Appassionato cultore d’arte, collezionò sia preziosi oggetti del ‘700 che opere di maestri come Modigliani, Matisse, Picasso (fu lui ad acquistare Les Demoiselles d’Avignon), nonché oggetti d’arte orientale e africana. A quest’ultima s’ispirò il primitivismo dei mobili che per l’arredo della casa realizzò Pierre Legrain insieme a Rosa Adler e Eileen Gray, oggi considerati tra gli esponenti più significativi della tendenza geometrica dell’Art Déco. E così, a metà degli anni Venti, nello studio di uno dei padri della moda e del gusto chic distintivo della Belle Époque, avremmo potuto ammirare contemporaneamente le innovative geometrie dei mobili déco, cimeli africani e opere d’arte orientali, sculture di Brancusi e dipinti dei maggiori padri dell’arte del ‘900.

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Goulden, orologio, 1928

Con Déco quindi oggi intendiamo, più che uno stile unitario, una tendenza del gusto del mondo occidentale tra le due guerre che, con un fare meno utopistico rispetto all’Art Nouveau e più pragmatico, cercò in tutti i campi la modernità e che, nell’abbracciare molteplici influenze, interessò non solamente le arti applicate ma tutti i campi artistici: dall’architettura, alla pittura, alla scultura, al design industriale, alla moda, alla fotografia.
Uno stile “perentoriamente moderno”- secondo la felice definizione dello storico Hillier che negli anni Trenta, parallelamente all’ascesa e all’affermazione dei totalitarismi in Europa e dell’opulenza americana, avrebbe preferito alle linee “femminili” degli anni Venti quelle “maschili” delle forme geometriche e meccaniche, emblematiche espressioni del gusto di una società nutrita dal mito futurista della macchina e dei suoi ingranaggi ed esaltata dalle vertiginose altezze degli avveniristici grattacieli delle metropoli americane.

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Chrysler Building, guglia, 1930

E proprio dall’America - alla metà degli anni Venti - sarebbe arrivato uno dei contributi più originali al Déco, con la costruzione dei nuovi grattacieli di New York e di Chicago, le cui tradizionali guglie goticheggianti saranno ridisegnate, ispirandosi ai modelli delle civiltà maya e azteca, con le linee futuriste e cubiste e i ritmi zigzaganti del Déco. Nascono così il Chrysler Buldilding e l’Empire State Bulding, mentre la fabbrica dei sogni dell’industria cinematografica, Hollywood, produceva Metropolis di Fritz Lang. Nei decenni successivi saranno proprio i giganti della nuova industria hollywoodiana – come la Paramount o la Metro Goldwyn Mayer – a creare con le le Star le nuove icone del nostro tempo. Accanto a Charlot di Charlie Chaplin e Topolino, l’italiano Rodolfo Valentino, la svedese Greta Garbo e la tedesca Marlene Dietrich saranno destinati a incarnare nell’immaginario collettivo i nuovi ideali di bellezza.

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Louis Armstrong

In America sono gli anni dell’età d’oro del Jazz, la musica degli schiavi neri liberati che trasformano il Blues dei campi di cotone nel Jazz dei ghetti di Harlem, per poi conquistare il successo in tutto il mondo. Con la crisi del ‘29 molti di questi musicisti sarebbero emigrarti in Europa e il Cotton Club di New York sarebbe rimasto una delle poche grandi vetrine americane per “grandi miti” come Duke Ellington.

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Flappers

Con la grande crisi del 1929 finivano i ruggenti anni Venti e con loro l’epoca del charleston, il ballo che per un decennio rappresentò il modo di vivere di una gioventù trasgressiva e piena di voglia di divertirsi, fiduciosa in un futuro di pace e di ricchezza. Una gioventù che fu animata dalle flappers, giovani ragazze disinibite dai capelli corti alla garçonne. Nei loro atteggiamenti provocatori e ribelli – escono da sole la sera, praticano gli sport, fumano in pubblico e cominciano a conoscere la libertà sessuale – c’è il riflesso di un decennio di emancipazione femminile che vede la donne ottenere il diritto di voto in Gran Bretagna, in Svezia e negli Stati Uniti. Con l’emancipazione politica si emanciparono anche i costumi. Non solo i capelli, anche le gonne si accorciano fino a sotto il ginocchio. E’ il momento delle calze a rete e di nylon, dei cappellini a cloche alla maniera di Greta Garbo e dei vestiti con più ampie scollature e di più audaci costumi da bagno. Alle linee tondeggianti del Liberty si sostituiscono le “fogge maschili” che premiano la donna longilinea. A dettare le regole della nuova moda ancora una volta è Parigi con l’eccentrico P. Poiret, antenato di tutti gli stilisti, al quale spettò il merito di liberare le donne da corsetti e crinoline, ma soprattutto Coco Chanel che rivoluzionerà per sempre il concetto di femminilità imponendosi come figura fondamentale della moda del XX secolo.

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Coco Chanel

Parigi rimane, come già detto, uno dei maggiori centri non solo della moda ma anche del design Art Déco, con le creazioni del già citato Jacques Emile Ruhlmann, che rinnova i fasti dell’ebanisteria parigina fra Rococò e Stile Impero, con l’azienda di Süe et Mare, con le creazioni di Eileen Gray, con i raffinati decori in ferro battuto di Edgar Brandt, gli oggetti in metallo e le lacche di Jean Dunand, i lavori in vetro di René Lalique e Maurice Marinot, con gli orologi e la gioielleria di Cartier e di Fouquet, la grafica a pochoir del grande decoratore, illustratore, scenografo e creatore di tessuti e gioielli George Barbier, e la presenza nella capitale francese della pittrice polacca Tamara de Lempicka, brillante interprete anche della vita mondana del tempo. Sono gli anni in cui ad animare le folli notti parigine c’è la venere nera Joséphine Baker, coperta solo di un gonnellino di banane.

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Joséphine Baker

Il gusto Déco ebbe anche in Italia un’ampia e precoce affermazione fin dalla Biennale di Monza del 1923 e conobbe una grande diffusione grazie all’instancabile attività di rinnovamento promossa dai futuristi in tutti i campi e al ruolo, non meno importante, svolto da riviste come Casa bella di Marangoni del 1928 e Domus di Giò Ponti, che proponevano oggetti e arredi funzionali di linea semplificata e compatta. Lo stesso Ponti negli anni Venti realizzerà – in qualità di direttore artistico della manifattura ceramica Doccia della Ginori – una serie di ceramiche intitolate Le mie donne, in cui eleganti nudi femminili si stagliano sullo sfondo di stilizzate architetture classicheggianti. Con lui molti altri contribuirono in modo originale e nuovo all’affermazione di questo gusto e tra questi Umberto Brunelleschi, Duilio Cambellotti, Galileo Chini, Fortunato Depero.
Sulle note dei grandi solisti del jazz e di quel charleston che animò la gioia di vivere di tante giovani e disinibite ragazze dai capelli corti si chiuse una delle stagioni più felici del gusto e del costume del ‘900. E mentre con l’avvento del sonoro brillano sul grande schermo le stelle di Hollywood, in Europa – con l’avvento di Hitler – la musica cambia e si preparano ben più foschi scenari.
Articolo di Tiziana Daga, storica dell’arte, tra i fondatori de La Serliana.

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