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LocarnoFestival2014: i 4 film che ho visto oggi, giovedì 14 agosto

Creato il 15 agosto 2014 da Luigilocatelli
'Pause'

‘Pause’

ore 9,oo. Nuits blanches sur la jetée di Paul Vecchiali. Francia. Concorso internazionale.
Il decano Paul Vecchiali (classe 1930) ci dà un’altra lezione di cinema, di quella da maestri veri. E la lezione è: bastano due attori e pochi soldi per fare bell cose, a patto di averci delle idee e il talento. Per questo film Vecchiali si ispira al Dostojevsky delle Notti bianche, da cui già Visconti e Bresson avevano tratto film. Notti bianche sul molo è fatto di buio, di acqua e di parole. Alcune fedeli a Dostojevsky, altre reinventate e attualizzate, e vi garantisco che miracolosamente l’amalgama funziona (e ci vuole classe per riuscirci, signori). Un uomo tormentato e insoddisfato di sé incontra sul molo (a Nizza? a Tolone?) una donna di cui a poco a poco verrà a conoscere la storia, ed è una storia d’amore infelice. Si rivedono ogni sera, e ogni sera non succede niente e succede tutto. Una meraviglia. Un piccolo film perfetto, che non si può non amare. Con la leggerezza che al cinema è solo dei grandi vecchi (vedi Resnais, vedi Bunuel).
ore 14,00: Gyeongju di Zhang Lu. Sud Corea. Concorso internazionale.
Il film che ha chiuso il concorso. Due ore e mezzo in cui sembra sempre stia per succedere qualcosa di clamoroso, e invece macché. Squisitamente girato, elegantissimo, ma basta? Un coreano da tempo emigrato a Pechino dove insegna all’università (è anche sposato con una cinese) torna in patria per il funerale di un amico. Passerà un giorno e una notte nella città d Gyeongju, sulle tracce di una gita fatta lì anni prima insieme all’amico scomparso e a un altro compagno di università. In questo ritorno ci saranno molti incontri, e molti incontri femminili. Il più importante con la proprietaria, bellissima, di una casa da tè. Aleggia il mistero, segnali inquietanti si susseguono (suicidi, morti misteriose, una stampa erotica scomparsa), ma invano aspettiamo un twist che dia la scossa al racconto, e a noi spettatori. Un’occasione mancata. Però si simpara che il tè migliore, da prendere assolutamente se si vuol passare da intenditori, è quello giallo, il preferito dai monaci buddisti, gente che ne capisce.
ore 18,00: Los enemigos del dolor di Arauco Hernandez. Uruguay-Brasile. Cineasti del presente.
Un uomo straconciato, anzi rovinato proprio (sarà tossico?), si aggira per una città latinoamericano imprecando in tedesco. Ce l’ha con la polizia, con chi passa, con tutti. Si ritroverà nei bassifondi, derubato e costretto a sua volta a rubare. Chi è? E perché è lì? Scopriremo che è un attore tedesco arrivato a Montevideo per convincere la moglie, tornata in Uruguay, a rimettersi con lui. Il film parte benissimo, e fino a quando mantiene il mistero sul suo personaggio e lo fa muovere in una scenario di assurdo, quasi surreale degrado, promette molto. Poi però cala di tono, introducendo cattivi sentimentalismi e cliché a mucchi (una setta religiosa che nasconde attività pedofile), con oltretutto erroracci e incongruenze di sceneggiatura da matita rossa. Peccato. Arauco Hernandez ha occhio e ha il dono di creare atmosfere sospese e inquietanti, dovrebbe però farsi dare una mano a scrivere i copioni.
ore 21,45: Pause di Mathieu Urfer. Svizzera. Piazza Grande.
Stasera son tornato in Piazza Grande a vedermi un film, ed è stata una gran bella serata. Dopo tanto pioggia, finalmente cielo stellato sopra Locarno, aria pulita e leggera che quasi te la sentivi scivolare dentro i polmoni, clima fresco fresco quasi freddo da doverti mettere qualcosa addosso. Piazza bellissima, as usual, piena di gente, migliaia e migliaia, ed è uno spettacolo che mi stupisce sempre, la gente, intendo. È stata la serata Polanski senza Polanski, che avrebbe dovuto ritirare un premio e domani tenere un masterclass, invece non è venuto per imotivi che sappiamo. È stata anche la serata in cui l’attrice danese Connie Nielsen, qui a Locarno come giurata, ha rievocato Robin Williams con cui aveva girato One Hour Photo di Mark Romanek (film che vien proiettato proprio adesso, mentre scrivo, in omaggio all’attore). Ed è stata pure la serata del premio a Garrett Brown, inventore della steadycam, qualcosa che ha cambiato il cinema. Un omone alto come son alti gli americani, un armadio con la faccia da star hollywoodiana di una volta, che quando è salito sul palco a ritirare il premio ha conquistato subito la platea rivelando un talento da entertainer. Bene, dopo tanto rievocare e premiare alle 22,50 è partito il film svizzero Pause, introdotto dal suo regista Mathieu Urfer, dai due protagonisti, dai produttori. Una rom-com in francese, e molto simile a quelle made in Paris, davvero assai carina. Convenzionale, certo, ma santo cielo mica si vive solo di Lav Diaz, Pedro Costa e film sull’hip-hop colombiano. Sarà stata anche la bella serata, il clima ideale, il pubblico così partecipe, ma Pause mi è piaciuto proprio, mi ha fatto sorridere parecchie volte e alla fine mi sono alzato leggero e soddisfatto. La pausa del titolo è quella, famigerata, di riflessione. Se la prende Julia dopo quattro anni di storia con Sami, ragazzo di ottimo carattere, musicista country-folk dotato anche se di scarso successo, solo inconcludente e pasticcione. Lui teme che lei si sia messo col suo boss Lionel, uno di quelli cui van bene tutto, è giovane, bello, imprenditore di successo e pure ecologista. Per riconquistarla si fa consigliare da Fernand, vecchio musicista alcolista con cui fa coppia nelle sue esibizioni live. Non vi dico come andrà a finire, ma qualcosa potete immaginarvelo, giusto? Dialoghi scintillanti che in Italia ce li sogniamo, alcune battute davvero riuscite, quache trovata brillante (lui appassionato lettore di Elle; il rocker isterico che nelle trasferte del tour per rilassarsi lavora a maglia). Cosa volere di più dal cinema in una sera d’agosto all’aperto con aria fresca di lago?


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