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Logica della guerra: crimine e follia

Creato il 30 settembre 2014 da Indian

Lezioni condivise 92 – Le guerre turco-ungheresi

Quando inaugurai questo blog, il mio primo in assoluto, non avevo certezze riguardo a come lo avrei utilizzato… Certo è che sentivo il bisogno di dire la mia su quanto accadeva nel mondo, vicino o lontano da me e soprattutto di condividere con altri la mia indignazione per determinati fatti… Un tempo era più semplice associarsi, pubblicare giornali o fanzine, diffondere volantini o dazebao, ma da qualche anno la parola blog si faceva sentire sempre di più.

Inutile dire cosa fosse meglio, se si considera che anche solo socializzare è diventato un problema.

Il giornale elettronico ti porta dentro certi meccanismi in cui si finisce per cadere, soprattutto la conquista dei lettori, dunque il rispetto di una certa periodicità, e quando non si ha l’argomento giusto, si può finire per scrivere sciocchezze.

La svolta di Diary (for friends) arrivò quando decisi di mettere lo strumento web log a mia disposizione. Tenere un blog divenne semplicemente il pretesto per scrivere le idee che elaboravo, insomma, una lettera22 motivante. E partì allora il progetto lezioni condivise, che senza blog probabilmente sarebbero ancora nelle mie fantasie, come altre iniziative che porto avanti nello stesso modo.

Dico questo ora, forse perché mi sono imbattuto in una lezione particolare che si presta a utili divagazioni e mi è venuto naturale tornare al motivo ispiratore di tutto, cioè quella fatica, ma soprattutto gran piacere, che hanno rappresentato per me gli studi universitari, per una moltitudine di aspetti, anche indiretti, che meritano una qualche riconoscenza e il mio è un po’ un omaggio a questa esperienza, l’esigenza che nulla vada perduto, neppure una briciola, giacché amo anche le briciole.

Le lezioni sono certamente lo strumento più tangibile e diretto del racconto, il nucleo, la cellula, il seme, il cuore, ma la sacra rappresentazione studentesca ha dei momenti preparatori lunghi, apparentemente estranei, il sapore della vigilia, i preparativi, l’atmosfera, il viaggio, la facoltà, l’attesa e il dopo, la socializzazione, gli incontri, un mondo, una vita… Non pretendo di essere esaustivo, né ripetitivo, tento solo di rendere un’idea. Non è così per tutti, lo so, ma ammetto che esistano fortune migliori di questa.

Mi riproietto in quel mondo del terzo piano della facoltà di Lettere, dove anche la prof aveva i suoi riti, ci conosceva (e non è scontato nelle aule universitarie), ci chiamava per nome pur dandoci del lei… Anche tra di noi ci conoscevamo, c’era Rosa, c’erano Sabrina, Ambra, Serena, Annalisa… Sembrava di essere tornati sui banchi della scuola superiore. C’era anche una collega ungherese che proprio quel primo giorno di primavera doveva presentarci la sua tesina sulle guerre turco-asburgiche, che son dovuto andare a rivedere, non ho dimenticato invece alcuni suoi commenti.

Tenne a sottolineare come tra turchi e ungheresi, si fossero stabiliti nel presente rapporti di amicizia, di simpatia, contrariamente a quanto avveniva con gli austriaci. Una sorta di inversione delle parti rispetto a quanto accadeva in guerra. Aspetto che avrebbe meritato un’indagine più approfondita forse, senza scomodare la sindrome di Stoccolma, che pure venne evocata. Penso tuttavia che la questione sia legata a rapporti culturali recenti e che le guerre dell’epoca moderna c’entrino poco.

La storia che ci presentò, un po’ lontana, estranea, aveva tuttavia lo scopo di gettare un ponte tra noi e lei, farci in qualche modo conoscere il suo paese.

I magiari si insediarono nel bacino dei Carpazi fin dall’VIII secolo e per non soccombere contro i popoli germanici, dovettero allearsi con il Sacro Romano Impero – e siamo già nell’XI sec. Così in Ungheria si stabilizzò un regno cristiano. Alla fine del XV sec., sotto Vladislav, si ebbe un periodo di crisi e di guerra civile che a lungo andare indebolì politicamente lo stato.

L’Ungheria fu travolta dall’ondata ottomana all’inizio del Cinquecento. La prima città a cadere fu Belgrado nel 1521, allora parte del regno ungherese; la prima battaglia di Mohàcs nel 1526 segnò l’avvio dell’occupazione. Nel 1541 Sulimano II (1520-1566) occupò Buda (allora separata da Pest) e pian piano tutte le maggiori città, fino a Kanizsa nel 1600.

Gli ottomani dispiegarono un numeroso esercito in territorio ungherese, fu un’occupazione soprattutto militare, salvo che nelle grandi città, ove la popolazione musulmana divenne maggioritaria. Per la reggenza del territorio, a rappresentare il sultano, fu nominato un pascià, sorta di vicerè. L’unico pascià a lasciare il segno nella capitale con costruzioni di sapore orientale, come il bagno Rudas, fu Mustafa Sokoli.

Buda fu liberata nel 1686 con l’unità militare degli stati cristiani di tutto l’occidente.

Recentemente la storia del dominio turco in Ungheria ha subito una qualche revisione, si è iniziato a dar conto, oltre che delle guerre e della devastazione, anche di alcuni periodi di grande sviluppo, resta il fatto che alla fine la popolazione ungherese si era ridotta a meno della metà, rispetto alle altre etnie residenti.

Il dominio turco si protrasse per oltre 170 anni, tra XVI e il XVII sec., prolungandosi nelle campagne fino al Settecento. La guerra ottomano-asburgica durò invece 265 anni, dal 1526 al 1791. Gli Asburgo iniziarono a mutare la situazione in loro favore nella seconda metà del Seicento, quando ripresero le ostilità dopo un periodo di guerra fredda e iniziò la grande guerra Austro-Turca (1683-1699).

Il sultano Mehmet IV (arrori ddu tirit!) intendeva occupare Vienna per aver accesso all’Europa centrale, ma da lì cominciò la sua disfatta, e prima nella seconda battaglia di Mohàcs nel 1687 (detta anche del monte Harsány), poi con quella di Zenta, dieci anni dopo, l’Ungheria fu liberata dai turchi e divenne nuovamente austriaco/asburgica (pace di Carlowitz, 1699).

Alcune di queste battaglie vengono definite epiche, la loro descrizione abbonda di strategia militare che tiene conto di tutto tranne dei morti. Esse sono descritte dagli “storici” con sufficiente distacco, come una sorta di evento sportivo ove ali sinistre e ali destre avanzano o si ritirano, accerchiano o temporeggiano, mentre sul terreno rimasero migliaia di uomini morti, benché di cervelli pensanti e pacifisti ne fossero già nati. Dopo ogni partita persa, si chiedeva la testa dei capi, del gran visir, ma anche del sultano. Fu proprio con la sconfitta di Mohàcs che iniziò l’era di Sulimano II. Cose che ancora oggi si insegnano a scuola dimenticando la sostanza delle cose, la vera ragione delle guerre e a chi giovano.

Peraltro in oriente sotto certe forme e in occidente in maniera differente, ma equivalente, dal seicento ad oggi, non sembra che alcuni cervelli abbiamo fatto molta strada, come dimostrano i fautori del califfato islamico o i signori della guerra occidentali.

Come accennato, la fine dell’occupazione non significò fine della guerra. Gli Ottomani venivano sollecitati dal regime assolutista francese a scendere in campo contro il comune nemico austriaco, e nel 1711 si risolsero ad attaccare Venezia, ma finirono per perdere diversi possedimenti europei nei Balcani. La guerra seguì per gran parte del Settecento con alterne vicende, condizionate anche dai conflitti intereuropei e infine dallo scoppio della Rivoluzione francese. La pace di Sistova del 4 agosto 1791, segno anche la fine delle guerre tra magiari e ottomani, senza che fosse mutato granché.

Il ritorno all’assolutismo illuminato asburgico, coincise con la crescita di sentimenti nazionalistici che portarono ad aspri contrasti con l’Austria, fino alla nascita di due entità statuali (impero austriaco e regno ungherese) sotto lo stesso monarca (1867).

I mutamenti avvenuti nell’Ottocento ebbero origini diverse: guerra d’indipendenza greca, occupazione di Bosnia e Erzegovina – 1878 – da parte dell’Austria, anch’essa alle prese con diverse guerre d’indipendenza. Le due grandi guerre del Novecento videro l’Ungheria in una situazione di forte instabilità e sempre dalla parte degli sconfitti, fino all’ingresso nell’orbita “sovietica” da cui si affrancò nel 1989 e al recente ingresso nell’Unione Europea.

Mi chiedo, trascurando le ragioni etiche che da sole darebbero la risposta, quale sia la logica di risolvere le questioni internazionali con guerre o prove di forza che alla fine, a parte i morti ammazzati, lasciano tutto come prima o peggio di prima (e mi riferisco anche alle guerre austro-turche del Settecento), invece che con la pubblica discussione, o se volete, la diplomazia, ove sarebbero chiare o meno le ragioni dei contendenti. Penso all’insensata avanzata barbara del califfo islamico, gemello nella sua logica aberrante di un Alessandro VI – occorre pure individuare le trasversalità interreligiose perverse, come bene ha fatto il film Agorà -, o alla posizione del governo spagnolo sul referendum in Catalogna, nonché alla posizione europea sulle minoranze ucraino/russe, e naturalmente al silenzio di tomba di secoli e secoli sull’olocausto dei nativi americani, che gli USA affrontano ignorandolo.

La verità è che ancora nel II decennio del 2000 la civiltà è un optional e ciascuno vuole imporre la sua barbaramente, altrimenti questioni come quella Palestinese, per dirne una, sarebbero risolte da tempo.

Mi viene in mente anche la strana discrepanza con cui viene trattato l’indipendentismo veneto, agitato in maniera guittesca dalla Lega e consideratissimo da Roma e la persistente condizione di colonia dell’ex impero romano da parte della Sardegna, dove per essere arrestati, la parola “indipendenza” basta pronunciarla. Insomma, alla fine gli USA concessero giustamente l’emancipazione agli afroamericani, continuando tuttavia a sterminare gli indiani o al meglio tenerli nelle riserve.

Secondo la logica renziana di questi giorni, dovrebbero essere arrestati anche i veneti e riportati in schiavitù i neri, in modo che noi e gli indiani continuiamo a non esistere. Ergo: per non far lamentare i poveri, aumentiamo i poveri.

(Storia moderna  – 21.3.1997) MP

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