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Lone Ranger – Recensione

Creato il 09 luglio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Lone Ranger è come una persona che si presenta bene, fa un sorriso smagliante e ti stringe la mano, poi pronuncia il suo nome: “piacere, the-lone-ranger-recensionedr.Frankenstein”. Il nome evoca subito ricordi agghiaccianti, sai che non può essere lui ma la paura ti viene lo stesso. Questa sensazione può esser dovuta ai nomi “Bruckheimer”, “Verbinski” e “Depp” sulla locandina, rispettivamente produttore, regista e protagonista di quel baraccone circense dei Pirati dei Caraibi, sfuggito ad ogni controllo dopo il primo, ottimo, episodio.

Basandosi su un popolare programma radiofonico statunitense, divenuto anche fumetto e cartone animato, Lone Ranger arriva al cinema inserendosi nel filone dei film d’avventura in salsa di commedia.

John Reid (Armie Hammer) è un impacciato avvocato di città che si trasferisce in un villaggio del Far West per aiutare il fratello Dan, uomo d’azione e sceriffo, abituato al gioco duro dei briganti di frontiera. Quando i due rimangono vittime di un agguato mentre inseguono il fuorilegge Butch Cavendish (William Fichtner), John viene riportato in vita da un cavallo bianco, che secondo l’indiano Tonto (Johnny Depp), manifesta il volere degli spiriti scegliendolo come campione della giustizia. Tonto si unisce al ranger solitario, anche lui per vendicarsi di Cavendish, dando il via al classico sviluppo da “buddy movie” (ovvero i film basati su due protagonisti che collaborano tra amicizia e litigi, come in Arma Letale, o 48 Ore).

I timori legati a questa pellicola erano tanti, temendo che finisse per incarnare i peggiori difetti degli ultimi Pirati dei Caraibi, ovvero “troppa” esagerazione, e troppa enfasi sul modo di fare strambo del personaggio di Depp. Timori fugati solo in parte dato che Lone Ranger, nella sostanza, è il primo “Pirati” in chiave western, pur mantenendosi più cauto, incoraggiando un pò di interazione tra i due protagonisti e senza strafare con l’indiano Depp.

Su questo aspetto ormai si gioca la carriera del buon Johnny, lontano dalla varietà di “Donnie Brasco”, “Nemico Pubblico” o “Dead Man”, e relegato nella parte del simpatico folle per l’ennesima volta (dopo 4 Pirati, un Willie Wonka, un Cappellaio Matto e un vampiro). Armie Hammer lo segue, ringraziando la sceneggiatura che gli lascia sufficente spazio, altrimenti grazie al suo solo carisma passerebbe troppo tempo in secondo piano. Questo squilibrio tra i due protagonisti ricorda un pò quello tra Depp e Orlando Bloom nei Pirati. In particolare stona parecchio l’idea che un protagonista uccida involontariamente, forse per adeguarsi ai clichet di buonismo Disney, in una pellicola dove, a ben vedere, c’è un conteggio morti notevole ma sempre per caso o per mano dei “cattivi”. Con un personaggio esageratamente superfluo, Helena Bonham Carter (sposata con Tim Burton) si conferma la regina delle raccomandate.

Trasportare il genere in una ambientazione Western non basta a rinfrescare il format, che ripropone senza innovazione la struttura dei film Pirateschi e la stessa caratterizzazione dei personaggi, pur mantenendone l’ottima carica e dinamismo. Due ore e mezza di film, in questo caso sono un pò troppe, facendo sentire lo spettatore come dopo un giro su una giostra, che per quanto bella, dura troppo a lungo. Consigliato solo a chi non ha sbadigliato neanche una volta nei precedenti quattro film pirateschi o a chi se ne è perso qualcuno.

Articolo di Francesco Dovis


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