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Los Saicos, quei quattro peruviani che nel 1964 inventarono il punk

Creato il 07 ottobre 2014 da Eldorado

Nel luglio 1963 il Perù elegge come presidente Fernando Belaúnde Terry, un architetto dalla chiara traiettoria democratica. È un’elezione mirata, che congela gli estremismi che l’anno precedente avevano portato la sinistra al governo e quindi provocato il conseguente colpo di stato militare. In piazza erano volate botte da orbi, c’erano stati morti e l’elezione di Belaúnde ha la chiara intenzione di calmare le acque con un’amministrazione dichiaratamente centrista ed aperta agli investimenti stranieri. Detto, fatto. Il Perù, a partire da quell’anno, si apre al resto del mondo. Sarà per una breve stagione –almeno fino al golpe di Velasco, nell’ottobre 1968- ma che sarà sufficiente per una generazione di adolescenti di riconoscersi con una rivoluzione nei costumi e nelle arti, i cui influssi provengono dall’Europa e dagli Stati Uniti. Nella musica, per i ragazzi, arrivano quei 45 e 33 giri che segneranno un’epoca. Tra i più amati e seguiti dai peruviani c’è Elvis, naturalmente, ma anche i Beatles ed i Rolling Stones, che sembrano provenire non dall’Inghilterra ma dallo spazio siderale in un paese abituato alla musica criolla, ma anche i Beach Boys e i Byrds. Con i dischi a 45 giri arrivano anche le chitarre elettriche e nel 1964 a Lince, quartiere popoloso della capitale, quattro ragazzi ci provano. Sulle prime si chiamano Los Sádicos, i sadici, poi a qualcuno viene in mente di togliere la d e rimane così Los Saicos. Una coincidenza, per assonanza fonetica in lingua spagnola, con quella ¨Psycho¨ dei Sonics, gruppo a cui i peruviani sembrano essere legati da un filo invisibile attraverso il continente americano. Perché i Saicos non fanno beat, come la maggior parte dei gruppi di allora, ma vanno oltre e forse senza sapere neanche loro verso quale direzione.
Loro sono quattro: Rolando Carpio, il Chino (chitarra), César Castrillón (basso), Pancho Guevara (batteria) ed Erwin Flores (voce e chitarra). Flores in un paese abituato ai bei fraseggi melodici della canción criolla, fa subito colpo. Non canta, infatti, ma urla, ed il suo screaming viene incitato dal fratello Harry, che si improvvisa manager e riesce a far suonare il gruppo al concerto annuale della Cadena de Comentaristas de Discos del Perù. Ambiente da canzone romantica, bigottoni in platea, qualche pezzo di gruppi popolari dell’epoca e poi i Saicos che suonano ¨Come On¨ (una canzone originale, non quella di Chuck Berry). È come passare un’unghia su una lavagna, ma dopo i primi secondi di silenzio, la platea è in piedi ad applaudirli. Da quella serata i Saicos ne escono con un contratto discografico ed uno televisivo. ¨Come On¨ diventa il primo di sei singoli –usciti tra il 1965 ed il 1966-, tra cui ¨Demolición¨, che diventerà il loro hit: surf, proto punk, garage ed Erwin Flores che anticipa Lux Interior di una buona decada con un urlo –il tatatata yaya in riverbero- che diventa il tormentone di quella stagione.
I giornali peruviani parlano di ‘vandalismo sonoro’, ma intanto i Saicos riempiono i teatri e passano una volta alla settimana in televisione, con il loro programma ¨La Hora de los Saicos¨. Dopo ¨Come On¨ il grupo snocciola una serie di hit, tutti rigorosamente in spagnolo e su 45 giri: ¨Cementerio¨, ¨Camisa de Fuerza¨, ¨Salvaje¨, ¨El entierro de los gatos¨, ¨Fugitivo de Alcatraz¨, ¨Besando a otra¨. I dischi sono rigorosamente senza copertina, venduti in busta plastica con una semplice fascia che riporta il nome della casa discografica. Li si può trovare non solo nei negozi, ma anche nei mercati popolari, il vero emporio della capitale, dove si vendono assieme alla frutta e alle spezie. Los Saicos suonano dal vivo a ritmo stakanovista, a volte perfino cinque volte in cinque posti differenti al giorno, facendo il giro dei cinema e dei teatri di Lima. Il successo sembra debba durare in eterno, ma come il clima politico prossimo a cambiare, anche l’entusiasmo per i Saicos si raffredda e quando il generale Velasco rovescia il governo democratico, restringendo le libertà individuali e le importazioni, il gruppo si scioglie. I Saicos sono logori: bisticciano tra di loro, non compongono più e non riescono a rispondere alle esigenze della compagnia discografica che gli chiede materiale nuovo per un LP. Insomma, mancano le idee. Erwin Flores, la voce demenziale, prova prima la carriera solista in patria ed in Argentina (senza fortuna) e poi se ne va negli Stati Uniti, dove si laurea in fisica e lavora prima alla Nasa e quindi in una multinazionale farmaceutica. Castrillón lo segue a ruota. A Lima rimane solo il batterista, Pancho Guevara. Storie normali per chi conosce la musica e la sua quotidianità.
Passano gli anni e, alla fine dei Novanta, qualcuno in Spagna si ricorda di loro ed assembla i 45 giri dei Saicos in un cd, ¨Wild Teen Punk from Perù¨ per la Electro Harmonix. È l’inizio della Saicomanía, un’onda inarrestabile che si propaga prima sulle fanzine, poi sui siti internet ed arriva quindi sulle pagine dei giornali specializzati e dei quotidiani. Quotidiani che, naturalmente, fiutata la notizia ed attingendo dalle poche fonti a loro disposizione attribuiscono la primigenia del punk al quartetto di Lince. Nessuno dei membri originali dei Saicos è al corrente dell’operazione ed il primo a rendersene conto è Erwin Flores, che trova il disco in un negozio. I giornalisti lo cercano e lui, fedele al personaggio dell’urlatore di ¨Demolición¨ di 35 anni prima si comporta da vero punkster quando gli chiedono la relazione tra Saicos e punk: ¨il punk è una musica di merda, per gente che non sa una merda di musica¨ dichiara. Più punk di così, non si può, altro che fisico della Nasa. Nel frattempo il Chino Carpio è morto, ma Flores ritrova l’amico Castrillón -per caso vivono entrambi nella zona di Washington DC- ed insieme prendono la palla al balzo e ricostituiscono il gruppo. Nel 2010 li rivogliono a Lima, nel quartiere Lince dove sono nati e cresciuti, a ridosso dell’oceano Pacifico. Suonano in Perù dopo 45 anni dai loro esordi e per l’occasione, proprio a Lince, viene scoperta una targa che ne ricorda le gesta, mentre il Comune gli dedica una via. La Saicomanía non si placa ed il film-maker Héctor Chávez realizza il documentario ¨The World Should Know¨: il segreto meglio conservato dei Sixties è infine rivelato al mondo intero. Il punk, insomma, è nato in Perù.


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