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Lost in translations. Umorismo da traduzione: ridere fra le lingue

Creato il 02 maggio 2014 da Temperamente

lost in translations

traduzione film
Luogo: il salotto di casa, più precisamente uno di quei bei divani comodi posizionati strategicamente davanti al televisore. Tempo: tardo pomeriggio o dopocena… insomma: un momento di relax. Cosa: una sit-com che in America sta spopolando fra adulti e bambini, uomini e donne; un successo internazionale, sicura garanzia di divertimento.

Allungando una mano verso la ciotola con le patatine, lo spettatore si gode il programma con un sorriso d’approvazione sulla faccia: adesso uno degli attori sullo schermo sta correndo per la strada, ma a un certo punto inciampa e capitombola, finendo fra un mucchio di sacchetti della spazzatura; quando si rialza, ricomincia a correre con una foglia di lattuga in bocca.
Lo spettatore ridacchia, accompagnato dalle risate registrate che hanno il compito di sottolineare la comicità del momento.

Trascorrono altri piacevoli minuti, la ciotola con le patatine è quasi vuota e uno dei personaggi dello show esclama qualcosa a voce alta; le risate registrate gracchiano in sottofondo, i loro proprietari esilarati dalla battuta.
Le dita che giocherellano con una patatina caduta sul divano, lo spettatore resta muto, un po’ disorientato; per quanto lo riguarda, la frase appena pronunciata dall’attore sullo schermo non ha senso, e se ce l’ha, non è certamente così divertente da indurre un nutrito gruppo di persone a sbellicarsi dalle risate.
Astuto e silenzioso come un predatore nella savana, lanciato a briglia sciolta nella landa della traduzione, lo humour ha mietuto un’altra vittima.

Questo esemplare di ostacolo interlinguistico è una creatura dalle pessime abitudini: si annida ovunque, in qualsiasi genere o contesto; a volte è così discreto da poter passare quasi inosservato, mimetizzandosi efficacemente con il tessuto circostante per confondere le prede; ma soprattutto, prova un gusto indescrivibile nel cibarsi di traduttori inermi.

Nato da equivoci semantici, pasciuto a incroci linguistici e giochi di parole, da libri a telefilm, prodotto inestirpabile della creatività umana, l’umorismo è quello che, in traduzione, si scontra con più ferocia contro la barriera che divide una lingua dall’altra: nel caso di questa rubrica, il muro fra inglese e italiano. Data la presenza variegata dello humour in aree molto differenti tra di loro, quali appunto il campo cinematografico e letterario, si è pensato di dividere quest’analisi in due puntate: la prima si concentrerà sull’umorismo in televisione, prendendo come esempio una delle sit-com più amate della storia delle sit-com, ovvero la statunitense Friends; la seconda, invece, sarà completamente dedicata alla letteratura, e al modo in cui lo humour trapela dalla pagina scritta di un romanzo.

 

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Umorismo da traduzione nei telefilm: il caso di Friends

L’importazione di programmi televisivi dagli Stati Uniti d’America è un fenomeno che riguarda non soltanto l’Italia ma il mondo intero: vuoi per l’accuratezza e i budget abbastanza consistenti che permettono la realizzazione di un prodotto di qualità, vuoi semplicemente per la risonanza mondiale che qualsiasi cosa fatta/detta/scritta/immaginata in casa Obama riesce a raggiungere data la supremazia economica e socio-politica dello zio Sam, i palinsesti televisivi di quasi tutto il mondo annoverano fra i programmi di punta caterve di prodotti “Made in USA”.

In questa parte della rubrica, come si è già detto, la nostra attenzione verrà rivolta alla sit-com Friends, andata in onda negli Stati Uniti dal 1994 al 2004, per dieci stagioni record che l’hanno resa un programma iconico e tuttora trasmesso in replica anche qui in Italia, in cui Friends è andato in onda dal 1997 al 2005, un po’ in ritardo sulla tabella di marcia americana.

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Ambientata nella New York dei nostri giorni, la serie vede come protagonisti sei giovani sui venticinque anni (alias gli immortali personaggi di Rachel, Ross, Monica, Chandler, Phoebe e Joey) e ne segue le esilaranti avventure sentimentali e lavorative lungo un arco di dieci anni; ovviamente, a farla da padrone è un umorismo travolgente, intelligente la maggior parte delle volte, poco elegante solo in alcune, rare, occasioni.

Prima di addentrarci nel vivo della questione, bisogna premettere che la traduzione nuda e cruda di qualsiasi frase i protagonisti pronuncino è ulteriormente complicata dal sincronismo labiale: le bocche degli attori si aprono e si chiudono sullo schermo, davanti agli occhi dello spettatore, articolando parole che non corrisponderanno affatto a quelle che il televisore manderà dagli altoparlanti; e l’obiettivo di ciascun traduttore/dialoghista è quello di rendere la discrepanza il meno evidente possibile, donando allo spettatore l’illusione che sì, gli attori stiano recitando proprio nella lingua da lui parlata e capita, e non in un idioma straniero.

Ovviamente, se un personaggio dice: «Oh yeah», il corrispettivo italiano non potrà mai essere «Supercalifragilistichespiralidoso», perché la bocca dell’attore si chiuderà dopo che il doppiatore avrà detto: «Super», e resterà sigillata mentre  il doppiatore insiste con: «califragilistichespiralidoso». A livello microscopico, diremo anche che sarebbe meglio che una frase pronunciata in inglese con le labbra semichiuse venisse resa con una, in italiano, che eviti vocali particolarmente aperte, sempre per non generare un senso di straniamento che potrebbe cogliere lo spettatore. Con queste premesse, si capisce bene come tradurre i dialoghi di una sit-com, con l’aggravante di un contenuto umoristico che spesso si avvale di giochi di parole o espressioni prive di corrispettivo nella lingua d’arrivo, sia un’impresa non da poco. Ma lasciamo che gli esempi parlino da soli.

Stagione 10 episodio 3. Due delle protagoniste dello show, Monica e Phoebe, sono sedute a chiacchierare nella solita caffetteria, e la conversazione cade su un’amica comune, Amanda, appena ritornata in America dopo un lungo soggiorno in Inghilterra.

Amanda, che si deduce sia un’insopportabile presuntuosa, vorrebbe incontrare Monica e Phoebe, ma le due, naturalmente, non ne vogliono proprio sapere; anche perché – racconta Monica – in Inghilterra Amanda ha assunto un “finto accento britannico” con cui ama rivolgersi ad amici e parenti americani, titolari di tutt’altro accento. E a riprova di ciò, la ragazza imita il messaggio che Amanda le ha lasciato in segreteria: «Monica, daaarling, it’s Amanda caaaalling!» («Monica, tesoro, sono Amanda!»; si tenga presente che “darling” è un appellativo tipicamente britannico); lo scimmiottamento di Monica è accompagnato da smorfie inequivocabili, che il traduttore non potrà ignorare.

Monica

Non contenta, Phoebe rincara la dose, esclamando: «So you know what Amanda said to me when she got me on the phone? “Oh, so sorry to catch you on your mobile!” If you don’t wanna get me on my mobile, then don’t call me on my mobile!», ovvero: «Sai che cosa mi ha detto Amanda quando mi ha chiamata sul cellulare? “Oh, mi dispiace tanto di averti beccata sul cellulare!” Se non vuoi beccarmi sul cellulare, allora non chiamarmi sul cellulare!». Il siparietto è reso molto divertente dal fatto che, oltre a continuare a imitare l’accento britannico, Phoebe sottolinei il termine “mobile”, appunto “cellulare”; ma “mobile” è il termine con cui gli inglesi chiamano il cellulare, mentre gli americani usano la parola “phone”. Ancora una volta, Amanda fa sfoggio di una “britannicità” che è tutto frutto di una posa.

Trovandosi a fare i conti con questo guazzabuglio linguistico, il traduttore ha tratto un profondo respiro e cercato una via alternativa: tutte le smorfie di Monica e di Phoebe sono davvero difficili da non notare, e gran parte della storia, senza la questione del nuovo accento di Amanda, perderebbe di senso. Nella versione italiana, allora, Amanda avrà assunto un “ridicolo accento snob”.

Phoebe
«“Monica, tesooovo, è Amanda che pavla!”» scimmiotta la Monica italiana.
«ʻOh, scusa se ti ho chiamata sul cellulave!”» imita la Phoebe nostrana. «Ma se non volevi allova pevché mi hai chiamato sul cellulave?!»
Da notare anche che, mentre nella versione originale Amanda si era trasferita in Inghilterra, e non veniva specificato dove, in quella italiana Amanda ha vissuto a Londra, la capitale; chissà, forse perché l’euforia di trovarsi in una grande metropoli può indurre qualcuno ad assumere un accento snob? Ai posteri l’ardua sentenza.

Stagione 5 episodio 19. Un altro esempio ci si offre nell’episodio in cui Joey, di origini italo-americane, presenta ai suoi friends la nonna paterna, che, ahitraduttore, non capisce una parola d’inglese e parla solamente in italiano.

Le incomprensioni fra la nonna e i suoi giovani ospiti caratterizzano ovviamente gran parte dell’episodio, con buona pace del dialoghista italiano che, alla fine, decide di trasformare la simpatica nonnina in una vecchietta dura d’orecchi.

Ma, a rendere la situazione improvvisamente drammatica, ci pensa Phoebe, personaggio noto per essere il più bislacco e sorprendente del gruppo. Rivolgendosi improvvisamente alla nonna di Joey, infatti, la ragazza chiede, in un italiano quasi perfetto: «Scusa, signora…vuole bere qualche cosa?»

Joey
La domanda, ovviamente, a cui la nonna risponde: «No, grazie», suscita immediatamente la sorpresa di Joey, che esclama: «Wow, Phoebe, you speak Italian?» («Wow, Phoebe, parli italiano?»), a cui la strampalata friend risponde, con aria di sufficienza: «I guess so!» («Così pare!»).

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Per il traduttore è un duro colpo. E non c’è sordità fittizia che tenga, il botta e risposta è sotto gli occhi di tutti, così come l’alzata di sopracciglia di Phoebe e la meraviglia sul volto di Joey. Urge una soluzione. Che diviene la seguente:

«Scusi, signora…vuole bere qualche cosa?»
«No, grazie».
«Hai conquistato mia nonna! Come hai fatto?»
«Che ne so».

Eh, sì: come Phoebe abbia fatto a conquistare la nonna di Joey è decisamente un mistero; e come abbia fatto a farsi sentire senza urlare dalla vecchietta sorda, be’, quello è un mistero ancora più insondabile.

Stagione 4 episodio 17. Un ultimo esempio, sempre giocato sull’antitesi inglese-americano, vede protagonisti l’americano Ross e la sua fiamma britannica, Emily, tornata a Londra all’improvviso; la gag, nell’originale, gioca sul fatto che molti vocaboli possiedano significati diversi nell’inglese britannico e in quello americano.

Nel corso di una telefonata, Emily rivela a Ross: «There’s someone else» («C’è un’altra persona»). E dopo un po’ Ross domanda: «Does it mean the same thing in England that it does in America?» («Ha lo stesso significato sia in Inghilterra che in America?»). Naturalmente, una frase così limpida come questa non può che significare la stessa identica cosa sia nella varietà britannica che in quella americana dell’inglese, pertanto la battuta di Ross suscita le risate del pubblico.

Curiosamente, questo scambio di battute è stato tradotto letteralmente in italiano, lasciando un po’ perplesso lo spettatore, visto che gli Emily e Ross italiani parlano nello stesso modo senza alcuna differenza di accento o di lessico.

Gli esempi sarebbero ancora moltissimi, disseminati ovunque nel corso degli oltre duecento episodi della serie; ma questo piccolo ventaglio di proposte avrà certamente reso l’idea di quali insidie il malefico humour tenda al traduttore.

Alla prossima puntata, allora, interamente dedicata all’umorismo nei libri! Nel frattempo, è bene tenere alta la guardia: lo humour ci osserva e aspetta solo l’occasione per coglierci di sorpresa.

Mariachiara Eredia


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