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Luca Josi sull’affaire “Agrodolce”

Creato il 05 gennaio 2012 da Rita Charbonnier @ritacharbonnier
Ieri ho ricevuto la lettera che segue da Luca Josi, Chairman di Einstein Multimedia Group, in replica a questo mio articolo. Gli ho chiesto se era rivolta privatamente a me o doveva essere pubblicata sul blog e lui mi ha risposto via email: “non c’è alcun problema a pubblicare questo carteggio”. Non ero presente ai fatti che lui riferisce; mi sono ritrovata coinvolta nella vicenda mio malgrado, insieme ad altri. Delle affermazioni che seguono, dunque, lo stesso Josi si assume la paternità.
Luca Josi sull’affaire “Agrodolce” Gentile Signora Charbonnier,
ho letto nei giorni scorsi le Sue riflessioni e volevo provare a offrirLe qualche altro punto di osservazione rispetto alle vicende da Lei affrontate.
Intanto La ringrazio per i toni civili con i quali ha argomentato le Sue considerazioni. Lei si presenta come una dei “numerosi lavoratori (sceneggiatori, registi, attori, maestranze) che devono ancora essere pagati per il lavoro svolto mesi fa per Agrodolce (le mie fatture non saldate hanno data 1 Aprile 2011)”.
A questo proposito abbiamo inoltrato una risposta alla lettera che Lei cita pubblicata dal sito SACT, sottoscritta da attori, registi e vari operatori.
Le anticipo, o ripeto, alcuni punti.
RAI non paga Einstein da più di un anno e ha un debito verso Einstein di 5 milioni di fatture e di 6 milioni di extra costi non saldati (più di 11 milioni di euro).
Lei ha ragione a considerare centrale il diritto dei lavoratori. Vorrei però domandarmi, e non è un interrogativo retorico, se i diritti abbiano una diversa cittadinanza, non all’interno di una stessa nazione, ma addirittura all’interno dello stesso progetto. Capisco che noi siamo una delle centinaia di società del mercato mentre RAI rappresenta, da sola, più del 50 % di questo mercato e quindi sia più immediato rivendicare diritti nei nostri confronti e non chiedere, anche solo per solidarietà, esecuzione degli stessi per altri lavoratori.
Si tratterebbe, evidentemente, di mera solidarietà; ma porterebbe anche la sua utilità.
Lei, giustamente, indica Einstein come “produttrice del programma e quindi nostra debitrice”.
Non è difficile immaginare che se però a monte il debito rimane “ghiacciato” difficilmente a valle arriverà qualcosa. L’effetto domino è facilmente prevedibile. Noi non siamo una banca e non siamo nemmeno uno Stato (non stampiamo moneta). Senza queste entrate, di conseguenza, Einstein non è riuscita ad anticipare gli ultimi due mesi di retribuzioni (cosa che ha fatto fino a quella data continuando a indebitarsi).
E mi ha molto colpito come alcuni vertici RAI, da una parte, abbiano assistito apparentemente impotenti a questo soffocamento finanziario e, dall’altra, abbiano soffiato sul fuoco del disagio, strumentalizzando una sofferenza di cui erano causa cercando, contemporaneamente, di sfruttarne gli effetti (ma anche di questo troverà traccia nella lettera di risposta).
La ringrazio quindi del Suo riferimento a Wayne Doyle.
Non ne parla mai nessuno.
Vede, noi eravamo una bella azienda, la seconda in Italia per dimensione produttiva e finanziaria (solidità raggiunta con più di 5.000 ore di prodotti realizzati per il prime time dei principali broadcaster).
Avevamo, oggettivamente, il più qualificato direttore generale per la lunga serialità televisiva (parliamo spesso di meritocrazia: ecco, Doyle la incarnava).
Doyle, tra tanti padri di Un posto al sole ne è stato la madre.
Cos’è successo allora? Anche su questo argomento non ho nessuna intenzione di dilungarmi. Le anticipo solo che la storia è assai più squallida e vergognosa di quanto fino ad ora si è percepito (e il motivo per cui ad oggi nulla è stato raccontato rientra nelle scelte, insindacabili, dello stesso Wayne, del suo pudore e del suo orgoglio. Wayne preferisce lasciare le persone alle loro miserie anziché contestarle. E ognuno ha il sacrosanto diritto di scegliere come difendere la propria vita).
Comunque, la vicenda, la vicenda intera, contiene profili civili e penali rilevanti e Lei, dei primi, ne ha colto uno dei più leggeri. La fattispecie che Lei indica, nel caso di Wayne, quella delle curiosa coincidenza tra controllore e controllato – RAI che controlla RAI – si definisce infatti “Appalto con regia”. Questo si configura quando i due ruoli, quello di appaltante e appaltatore, si sovrappongono. L’appaltatore, in questo caso la Einstein, è così diventato un mero esecutore, un bancomat delle scelte dell’editore, senza libertà economica ma con obbligo contrattuale a pagare le conseguenze delle condotte dell’appaltante.
Veniamo al sottoscritto “ex delfino di Bettino Craxi negli anni difficili di Mani Pulite e della latitanza ad Hammamet (difficili?)” che verrei “sostanzialmente presentato come un onesto lavoratore vittima di un sistema corrotto e persino mafioso. Il che può apparire un tantino semplicistico”.
Ecco qui La risparmio. Potrei scriverLe per ore ma anche poche righe, L’assicuro, Le consegnerebbero una sintesi generica e semplicistica.
Esistono, provo a raccontarLe, socialisti dei tempi grassi e socialisti dei tempi magri. Quando vorrà, se fosse mai di Suo interesse, avrò il piacere di spiegarLe quanto sopra.
Le dico solamente che io avevo 25 anni e sono diventato “craxiano” nel pieno della deflagrazione del PSI difendendo, da segretario dei giovani, una storia d’altri. E, se ne avessi occasione, Glielo assicuro, ripeterei ogni cosa fatta.
In effetti col Minoli, condividiamo un’appartenenza delle origini (anche se non ci siamo conosciuti in quegli anni).
Lui, nell’87, nel pieno trionfo dei socialisti, interpretava gli spot per Craxi, quelli ambientati all’interno di un supermercato (Minoli stava seduto alla cassa).
Io, che ho conosciuto Craxi nel ‘91, ero seduto accanto a lui nella macchina sotto le monetine del Raphael.
Dirà: entrambe situazioni con ricadute valutarie. Valuti però Lei le differenze.
Ora vorrei invece perdermi un poco in questa Sua frase: “Colpisce poi che Josi si sia portato alle riunioni di lavoro l’occorrente per registrare, in segreto, le medesime. Il tono usato da Minoli nelle intercettazioni fa spavento; ma non meno ne fa, mi sembra, l’atto di programmare in silenzio, e da lungo tempo, un’uscita come questa”.
Io ho cominciato a registrare – non intercettare; e basta un telefonino – quando le proposte e le azioni che si palesavano stridevano, fortemente, col codice civile e penale.
E Le garantisco: meno male che l’ho fatto!
Vede, ad ascoltare le reazioni di totale indifferenza, quasi di sfottò, che a oggi si segnalano di fronte a quelle registrazioni, immagino l’ironia e lo scherno con cui sarebbero state accolte queste denunce se supportate solo da una memoria orale: “mi ricordo che tizio mi disse ….”.
Un esempio: nell’intervista del 3 dicembre a Il Fatto Quotidiano, alla domanda: “Lei ha detto a Saccà di entrare nel progetto con una sua società una volta uscito dalla Rai?” Minoli ha risposto: “Mai ho prospettato a Saccà una cosa del genere, non avevo il potere per farlo”.
Nell’intervista del 9 dicembre 2011 a La Repubblica, sei giorni dopo, la risposta di Minoli alla stessa domanda, sopracitata, de Il Fatto diventava: “ne abbiamo solo parlato ma – Saccà – non ne aveva alcun interesse”.
Cos’era accaduto nel mentre? A cosa era dovuto questo rinsavimento di Minoli? Semplicemente alla riproduzione, online, dell’audio in cui Saccà affermava: “io ti dico la cosa dalla mia parte, allora, ee, ee è semplicissima, Giovanni in un paio di occasioni mi fa Agostino guarda che lì quelli non ce la fanno etc. etc., è una grande opportunità per te ... c’è li quella roba lì che la Rai ti potrebbe dare senza colpo ferire … (gli) dico ma scusa lì ci sono quelli, quelli – la Einstein – sono i titolari... si si ma tu tanto so che hai dei soci importanti che vorrebbero … ma a questi – ai soci di Saccà – cosa vuoi che gli costi se lui conosce, dare due o tre milioni di euro e liquidarli a questi – la Einstein – no no non esiste per me ‘sta cosa dico, ci sono loro, dopo di che mi chiama Bistolfi un giorno e mi dice guarda che in una riunione Giovanni Minoli ha detto a coso a aaa, del Noce … perché non la date a Saccà la società, alla società di Saccà ‘sta cosa così ve la fa bene etc. etc., poi si mette d’accordo con quelli e poi ma Giovanni lascia stare non è che se ci fosse se fosse libera a me non piacerebbe a chiunque piacerebbe ma non è libera è occupata”.
Comprenderà che trattandosi di una “offerta” del direttore editoriale del progetto, Minoli, all’ex direttore di RAI Fiction, Saccà – quindi due signori competenti in materia, non il mio lattaio o il mio veterinario – di liquidare un contratto di 42 milioni di euro, che aveva già dato luogo ad altri 10 d’investimenti e che ne avrebbe sviluppato altri 210 ogni 10 anni, per “due o tre milioni” (2 o 3 milioni, di euro, per 262 milioni, di euro) lascio a Lei scegliere in quale contesto del codice inquadrare tale proposta se proveniente dal giudice–esecutore del tuo contratto: colui che può definirne successo o fallimento.
Quindi, so solo che ho provato in ogni modo a segnalare tutto questo, e in ogni forma, agli organi competenti (che non sono gli autori, gli attori, i registi, la troupe e quanti altri hanno contributo a realizzare Agrodolce ma l’editore committente). In risposta a queste mie azioni, dovute, ho ricevuto solo silenzi dai vertici e sempre più insofferenza, e molto altro, dai responsabili esecutivi.
Alla fine, in uno Stato di diritto, abbiamo quindi dovuto produrre una causa civile conoscendone le ricadute (la RAI, per sua politica, chiude ogni rapporto con chi le fa causa e così è avvenuto per Top of the Pops nonostante fossimo in palinsesto e, anche lì, non pagati da un anno).
Infine abbiamo depositato una causa penale.
Lei crede che avrei dovuto agire in altro modo? Possibile. Quale?
Lei sostiene che le parole di Minoli facciano “spavento” ma non meno i miei metodi. Bene: ma Lei crede che quelle parole “spaventose” siano le uniche raccolte e non una riduttiva sintesi di una prassi inaccettabile subita dai più per convenienza? E crede che se io non fossi riuscito a testimoniarle con il mio telefonino Lei avrebbe potuto averne coscienza e conoscenza? E pensa che in questo caso, un presunto vizio di forma, ma Lei mi deve specificare un metodo alternativo con il quale avrei dovuto agire, disarmi la gravità dei fatti (che, ribadisco, se non raccolti non sarebbero alle Sue orecchie mai esistiti)?
Ma Le chiedo ancora un attimo di pazienza. Lei mi fa vittima “di un sistema corrotto e persino mafioso”.
Io non sono una vittima, non sono un piagnone e non sfrutto le disgrazie altrui per incassarne vantaggi. Anzi, se avessi il talento dell’opportunità e dell’opportunismo la mia storia personale forse avrebbe vestito scelte più convenienti, appaganti e ruffiane.
Nel video che Lei avrà visto – in cui Il Fatto ha solo raccolto, con anticipo rispetto ad altri concorrenti, i materiali di una denuncia (testo, audio e video), pubblicandone, purtroppo, solo una risicata sintesi – Lei può ascoltare e riascoltare le parole dei protagonisti e leggere i documenti da loro prodotti verso la nostra società o altre istituzioni pubbliche. Nient’altro. E’ Lei, dopo questo ascolto che può decidere, liberamente, di come aggettivare quelle situazioni.
Le confesso, però, che rimango incredulo dal silenzio assordante intorno alle dichiarazioni del più stretto collaboratore di Giovanni Minoli, Ruggero Miti: “quando le produzioni vanno in Sicilia, devi sottostare alle regole legate alle tradizioni dell’isola: non puoi sceglierti liberamente le comparse che vuoi tu, c’è qualcuno che te le porta” e che “ho chiamato Josi e lui mi fatto una scenata incredibile, dicendo che lui rapporti con mafiosi non li voleva avere, mai e poi mai”.
Vede, pochi giorni dopo la loro esternazione, queste parole venivano confermate nella loro reale pericolosità dai Carabinieri del Comando di Palermo con gli arresti per infiltrazione mafiosa all’interno della produzione Squadra Antimafia – un vero ossimoro – le cui riprese si svolgevano a pochi chilometri dalla nostra serie.
Allora Le domando: come imprenditore ho 5.000 mq di studi sulle colline di Termini Imerese in una zona isolata, molto isolata, diciamo a 20’ dalla prima stazione, utile, dei pompieri. Se qualcuno dicesse, pubblicamente: “fosse per noi non ci sarebbe stato problema, riconosciamo le ‘tradizioni’ della Sicilia, ma è l’imprenditore che si è messo in mezzo” lei che penserebbe?
E se a dirlo fosse un dirigente dell’azienda che ti fa firmare fior fiore di codici etici e di codice antimafia, che ha prodotto La Piovra 1, 2 …48 e che rappresenta la principale azienda culturale pubblica italiana, addirittura all’interno di una produzione Educational. Ecco: lei, al mio posto, che direbbe?
Tutto questo le sembra normale?
E’ normale il silenzio su questa vicenda?
O forse vale il concetto che essendo sempre stato così, così deve continuare ad essere?
E Le assicuro, che per non abusare del Suo tempo e della Sua attenzione ho solo sfiorato il velo di questa putrida storia (anch’io, comunque, sto scrivendo un libro dove rappresenterò tutto questo spaccato umano confortato dalla documentazione acquisita e, Le garantisco, abbondantemente esaustiva).
Non mi attendevo nessuna solidarietà o vibranti disconoscimenti e condanne di tanti inqualificabili comportamenti.
Ma nemmeno tanta viscosa omertà.
Lei, infine, chiude la sua bella lettera parlando di Wayne Doyle e del merito. Le vorrei ribadire ancora che Doyle era proprio il nostro socio e direttore generale della Einstein Fiction. RipeterLe che Doyle ha “lasciato” il progetto nauseato per quanto, insieme a noi, ha dovuto subire su questa produzione (e lui, a differenza nostra, aveva un altro Paese in cui riparare).
E’ singolare però che in mezzo a quest’orgia di relazioni nepotistiche e di promozioni sentimentali, esterne alla nostra produzione, nessuno abbia, anche in questo caso, provato un benché minimo disagio prima della nostra denuncia intorno a questi fatti, squallidi, abbondantemente noti.
E non risulta, ad ora, neanche dopo.
La ringrazio per il Suo tempo,
Luca Josi

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