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Luca Leone, Infinito Edizioni: i nostri libri un modo di essere cittadini attivi e critici

Creato il 23 luglio 2015 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

di Elena Refraschini

Infinito edizioni è una casa editrice indipendente fondata nel 2004 da Luca Leone e Maria Cecilia Castagna e si occupa prevalentemente di saggistica e reportage giornalistici. Un’attenzione particolare è dedicata alla storia della Bosnia e dei Balcani.

Conobbi questo editore modenese quasi per caso: stavo organizzando un viaggio in Iran tre anni fa e, come per ogni viaggio, ero in cerca di libri sia di narrativa sia di saggistica su questo affascinante Paese; fu così che conobbi Antonello Sacchetti, che si occupa di Iran da diversi anni (per chi fosse interessato, ecco il suo blog) e ha pubblicato proprio con la casa editrice di Leone quattro titoli. Quando ci fu l’occasione, io e Sacchetti ci incontrammo a Milano per presentare il suo ultimo libro Trans-Iran alla bellissima libreria di viaggi e culture Azalai.

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Ho avuto poi occasione di conoscere Leone alla fiera dell’editoria indipendente Book Pride, ai Frigoriferi Milanesi a marzo. L’incontro ha confermato l’immagine che mi ero fatta di lui: un editore combattivo, tenace, di progetto. Gli abbiamo rivolto qualche domanda per conoscere meglio la missione di Infinito editore.

Eserciti la professione di giornalista, e avevi scritto alcuni libri prima di fondare la tua casa editrice nel 2004. Da cosa è nata l’esigenza di creare Infinito edizioni?

Da un sogno: poter vivere del mio lavoro facendo cultura e informazione in modo libero e indipendente. Un sogno, appunto. Almeno in Italia, dove il settore è in profonda crisi: nonostante questo noi non molliamo e continuiamo a mettercela tutta per fare informazione libera e indipendente.

Ad oggi, dieci anni dalla fondazione, la vostra produzione vanta diverse centinaia di titoli suddivisi in dieci collane. Un risultato ammirevole, per una casa editrice indipendente. Chi ti affianca nel lavoro quotidiano?

I titoli sono poco più di duecento, a cui si aggiungono diversi e-book inediti. Per una piccola casa editrice non a pagamento e indipendente ventidue libri l’anno di media sono veramente molti. Pensa che siamo partiti, il primo anno, con sette titoli, tre dei quali subito ristampati, uno più volte. Nel 2015 pubblicheremo trentuno titoli inediti sia in formato cartaceo sia in e-book, più quattro o cinque e-book inediti. Uno sforzo enorme, soprattutto in tempi durissimi di crisi come quelli che stiamo vivendo in Italia almeno dal 2012. Nel 2016 è probabile che ci assesteremo tra i ventotto e i trentadue titoli.

In casa editrice lavorano fisse tre persone, più alcuni collaboratori, per ora. I costi crescono e complessivamente le copie vendute diminuiscono, in questo 2015 da vivere in trincea.

Arriverà forse il momento in cui dovremo rivedere quei numeri. Speriamo di no. E in ogni caso, se non si possono pagare gli stipendi, i primi a non essere pagati sono del pazzo che ha buttato giù piano editoriale e piano industriale di questa avventura, ovvero il sottoscritto.

Nessuno tra chi gestisce il Paese sembra rendersene conto, ma nel settore da anni è in corso un’emorragia di professionalità, che molto spesso non riesce a ritrovare collocazione. È uno spreco immenso in termini oggettivi, e una tragedia per molte persone e famiglie in termini soggettivi. Però nessuno fa nulla e il ministero preposto all’uopo naviga per ora nel buio.

Luca Leone

Luca Leone

Quali sono le difficoltà maggiori che vi trovate ad affrontare come editori indipendenti, e quali le maggiori soddisfazioni?

Il nostro è un lavoro difficile anche perché non ci sono politiche a favore della cultura, in questo nostro Paese. Il governo è completamente disinteressato al mondo dei libri e i grandi editori sono riusciti a sprecare la grande occasione che arrivava dalla crisi, per poter finalmente rinnovare un po’ un ambiente stantio e ammuffito, in molti aspetti fermo agli anni Settanta del Novecento. Invece la crisi finirà – se e quando finirà, almeno in editoria – con una concentrazione oligopolistica che mette seriamente in crisi la bibliodiversità e con una serie infinita di editori falliti o sull’orlo del baratro.

Inoltre, la filiera dovrebbe essere completamente ristrutturata e invece nulla va in questa direzione. Anzi, i costi per gli editori crescono e ormai le percentuali che lasciamo a librerie e distributori sono così alte – probabilmente le più alte in Europa – che sarà sempre più difficile saltarci fuori. Mancano politiche intelligenti di riforma del settore: fin qui abbiamo solo avuto la riduzione dell’IVA sugli e-book, che rappresentano una percentuale infima del fatturato complessivo (siamo intorno al 3 per cento) e che si trova sub judice in sede di Commissione europea. Nulla di più. Solo concentrazione editoriale, mentre i distributori sono in difficoltà coi pagamenti e gli stessi grandi gruppi che stanno concentrandosi spesso sono in drammatico ritardo coi pagamenti delle fatture.

Altra difficoltà non indifferente è data dalla percezione del libro che si ha in questo Paese. Gli italiani non leggono, gli uomini in particolare. Ed è inquietante sentire persone di quaranta o cinquant’anni di sesso maschile vantarsi del fatto che non leggono, che non sono interessate, che “la vita è già abbastanza difficile così, se mi metto pure a leggere…”. Questa auto-esaltazione del “sono ignorante e ne sono fiero” è figlia delle scelte politiche degli ultimi decenni, di una scuola in cui troppo spesso tanti insegnanti interpretano la loro missione come semplicemente orientata al giorno di “San Paganino”, ma anche di molte scelte sbagliate di noi editori, di ogni grandezza.

L’editoria italiana sta vivendo una crisi strutturale, e per uscirne è necessario uno sforzo condiviso da parte di noi editori, del governo, del mondo della scuola, che deve insegnare ai ragazzi che i libri sono amici per la vita, e dei librai, che devono coltivare l’amore per la lettura dei propri clienti.

All’estero si parla ciclicamente della morte della saggistica. Sicura che eviterai termini tanto catastrofici, puoi darci il tuo punto di vista riguardo la lettura di saggistica in Italia?

I dati della saggistica in Italia sono in calo, ma lo stesso vale anche per gli altri generi. In Italia le lettrici per antonomasia, e cioè le donne, continuano a leggere saggistica e a voler essere aggiornate. Sono gli uomini il dato drammatico del Paese. Non direi che la saggistica stia morendo. Giustamente i lettori vogliono ottima saggistica e ottimi reportage giornalistici, e hanno ragione. Noi lavoriamo costantemente per questo e i risultati non sono così sconfortanti, nonostante il fisiologico calo delle vendite indotto dalla crisi economica, civile e sociale del Paese.

Nella produzione di Infinito edizioni, un’attenzione privilegiata è dedicata ai Balcani, in particolare alla Bosnia. Prima di partire per un viaggio in quelle zone avevo letto, tra gli altri, Sarajevo mon amour di Jovan Divjak, ex militare serbo che ha dedicato la vita ad aiutare gli orfani di guerra. Si tratta di una lettura illuminante per capire la situazione del Paese. Puoi raccontarci da cosa è nato questo interesse?

La Bosnia Erzegovina è un Paese stupendo, abitato da persone speciali, distrutto da una guerra voluta da poteri nazionalisti e mafiosi con la connivenza europea e di altri Paesi extraeuropei. La Bosnia è stata un laboratorio dell’orrore tra i più spaventosi, a due passi da casa nostra, e continua a essere un luogo di dolore, d’incomprensione e di conflitto perché chi avrebbe potuto e dovuto farlo non ha voluto risolvere i problemi che hanno provocato il conflitto e anzi li ha lasciati solidificare, come nella pietra. Oggi il Paese è in mano a cosche nazionaliste tra le più agguerrite e cattive e deve essere raccontato. Se non altro perché la Bosnia è lo specchio del nostro Paese e dalla Bosnia potremmo imparare molto di noi, se lo volessimo, per essere se non migliori, almeno un po’ meno peggio di quanto siamo.

Proprio in questi giorni si sta ricordando il genocidio di Srebrenica, avvenuto vent’anni fa davanti agli occhi della comunità internazionale quasi inerme. Uno dei long-seller di Infinito edizioni è proprio il tuo Srebrenica. La giustizia negata, che stai presentando di nuovo in questi giorni. Vuoi raccontarci la genesi di questo importante libro?

Srebrenica. I giorni della vergogna è stato il primo libro pubblicato dalla nostra casa editrice. Avrei dovuto farlo uscire con un’altra casa editrice ma ne ritardai l’uscita perché avvertivo l’esigenza di mettermi in gioco completamente, diventando io stesso editore e pubblicandolo con Infinito. La scelta è stata giusta. A oggi ne abbiamo vendute oltre diecimila copie ed è considerato in termini assoluti un punto di riferimento sull’argomento. Il che è molto importante, perché nel corso degli anni in Italia è uscita la traduzione di un paio di libri negazionisti, offensivi e vergognosi che danno agli italiani informazioni del tutto fuorvianti, come peraltro si è affrettata a fare certa stampa anche in questo luglio del 2015, purtroppo. Il libro è uscito per il decennale del genocidio e ancora oggi rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per chiunque si interessi a questo argomento.

Per il ventennale del genocidio ho proposto al mio amico Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, di scrivere un nuovo testo, diverso in tutto: contenuti, taglio, stile. È nato così Srebrenica. La giustizia negata, che sta andando molto bene e che dal 29 aprile stiamo presentando in tutta Italia, con date già fissate fino a dicembre. È un omaggio in più a un popolo che ha bisogno di essere sostenuto e di non essere dimenticato, è un lavoro che vuole continuare a fare memoria in modo corretto ed è anche un libro scaturito dal bisogno profondo di non rischiare di essere cittadini passivi, ma di voler essere a tutti i costi e sempre cittadini attivi e critici. Perché la strada, l’unica, per un futuro e un Paese migliori è questa, soprattutto in momenti difficili come quello che stiamo vivendo.

In occasione della fiera milanese dedicata all’editoria indipendente Book Pride ho conosciuto il tuo I bastardi di Sarajevo: ti sei cimentato in un’opera di narrativa “in presa diretta”, raccontando un affresco di Sarajevo grazie alle voci dei tanti personaggi che la vivono. In quali casi e in che modo, secondo te, può la narrativa offrire uno spaccato di un Paese che arriva talvolta più in profondo rispetto alla saggistica?

Noi da anni diamo spazio al romanzo storico che, se ben scritto, può dare al lettore due grandi valori: un’informazione storica corretta e approfondita e la possibilità di sognare.

Io credo molto nel mio I bastardi di Sarajevo e sogno un giorno di poterlo vedere trasposto in teatro. Ho avuto ottimi riscontri, non solo di vendite ma anche di critica. È stato un libro che mi è costato oltre tre anni di lavoro e che mi ha fatto mettere in gioco come non mai. Scrivendolo, poi, ho potuto sperimentare la libertà espressiva della narrativa, nel mio caso il noir storico contemporaneo, rispetto alla saggistica e al reportage. La narrativa sa darti molta più libertà, in particolare nel linguaggio. È quello che ho provato a fare io, a cominciare dallo stile che ho deciso di usare: presa diretta, nessun narratore, dialoghi senza alcuna censura. Ho in mente da tempo un altro romanzo, sempre ambientato in Bosnia, e magari tra qualche mese troverò il coraggio di cominciare a metterlo su carta. Per ora i personaggi vivono nella mia testa e i dialoghi, giorno dopo giorno, si fanno sempre più netti.

copertina+I+bastardi+di+Sarajevo

Fare narrativa in Italia è un rischio, soprattutto per gli esordienti. E comunque, che nessuno pensi di poter vivere facendo lo scrittore: scrivere oggi non deve essere un modo per fare soldi, ma una strada, forse la principale, per esprimersi, raccontarsi, fare positivamente politica attiva. La scrittura ha da sempre un ruolo sociale e politico. Bisogna battersi affinché tutto questo non venga distrutto, insieme all’intera filiera.

Nell’immagine di copertina: Potočari: 600 bare contententi le vittime del massacro Srebrenica, che attendono una sepoltura. Tarik Samarah/War Photo Limited. In mostra a Dubrovnik, Srebrenica – genocide 11/07/95

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