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Lucia Marilena Ingranata: la quotidiana somministrazione di un dolore

Da Narcyso

Lucia Marilena Ingranata, IO E LUCIA, edizioni Noubs, 2014, Chieti

di Nino Iacovella

foto ingranata
L’esordio di Marilena Lucia Ingranata è sorprendente, perché è raro trovare un poeta che sappia mettere così a nudo la propria vita, con tale intensità ed equilibrio, dopo così tanti anni di silenzioso apprendistato nella scrittura. Il titolo allude al tema classico del doppio: la vita e la scrittura, l’io palese e quello nascosto. Lucia e Marilena: i due nomi della Ingranata.
La perfetta misura della parola, la grazia presente in ogni verso di questo libro mettono in empatia il lettore con una sostanziale “poematica diaristica” che racconta, in modo esemplare, un dolore quotidianamente somministrato, a basso dosaggio, come una medicina di segno contrario che richiede costanza e metodo di assunzione: una adeguata posologia. E’ la perdita la parte sostanziale di questo dolore. La perdita che la Ingranata metabolizza proprio attraverso la sublimazione in poesia, tenendo fieramente con sé quel senso di ineluttabilità che certe svolte della vita ci impongono: la fine di un amore, la morte dei propri cari, la crescita dei figli che comporterà una conseguente separazione.
La poetica della Ingranata sceglie soprattutto gli spazi interni per entrare in scena: la casa, il corpo, il grembo; tutti luoghi declinati in chiave protettiva, come sin dall’epigrafe del libro si vuole evidenziare con il verso “C’è un riparo nuovo, un posto per cani…”. Qui, nella sua casa dove il tempo si contrae e si dilata, si distribuiscono tane e ripari; si, proprio nel luogo dove l’autrice, da un “interno” comunque “doloroso”, in quanto scenario della lenta ed inesorabile consunzione di un amore, traccia proiezioni di un mondo esterno verso il quale non si sente di aprire la porta: “Ho avuto un dolore che mi teneva lontano dalla porta / le lettere ammucchiate hanno perso l’ordine d’arrivo / “io sto bene, come spero di te” /io ho smesso l’amore / come un vestito stretto / come un lutto dai termini scaduti, nel cuore / c’era un difetto di pronuncia e troppo blu di Prussia / ora vernicio tutto di amaranto massaggiandomi / il costato e invidio i cani, il loro tempo / malcontento.”
Dagli “interni”, dove si delimitano i propri territori affettivi, sono solo i figli, il proprio uomo, il cane a poterne uscire . Il cane è il riferimento simbolico più marcato della Ingranata, un tramite necessario per definire gli “interni caratteriali” più esposti dell’autrice: la fedeltà, la propria dedizione verso i referenti affettivi del proprio amore. Nei versi di Poeti e cani si svela questa natura con una ulteriore epifania: “… invece io ho speranza da cane, una coda immaginaria / punto il naso all’imbocco della strada /e lascio sempre fuori un piede, l’altro scrive / credendosi poeta.”
In un altro testo significativo si evidenzia un mondo pericoloso in quanto disattento, un esterno cinico : “Si appoggia sulle spalle la stanchezza di gennaio, / le carcasse dei gatti non avranno esequie / – scoloriranno – e l’ultimo a passare / se ne accorgerà di averle calpestate.” Ma la poesia serve a colmare quello spazio aperto tanto temuto, immaginato dall’interno della propria casa, oppure guardato dalla prospettiva di una finestra che ne determina la peculiarità dell’osservazione: “ Hanno tagliato il bosco, quello prima del mare / Anna dovremo cambiare le poesie /e posizione delle sedie. Ma sai, importa poco, / ho un figlio che sa piangere di gioia.
Ma prolungare il commento a “Io e Lucia” non rende giustizia alla causa . Ogni ulteriore chiosa, qui, è “ossimoricamente” una tacitazione (ostinata) della bellezza insita nel libro, che parla da sé: la sua poesia.

***

Nella foto

Io e mia sorella abbiamo i piedi uguali
e il cuore, bucato nello stesso punto

ci confondono spesso non si vede
che lei è buona, so mentire

come in quella foto dove rido
e accanto sono tutti morti.

***

Come stanno le cose

Ho un urlo nella gola, la vita a soqquadro.
Potrei dire che ho peccato ma non ricordo quando
e non ricordo dove, forse non ho capito

sono stata fuori di me cercando forte
non mi sono trovata – nemmeno lì-

Dovrò credere al vicino, anche la sua mucca
capisce piemontese e ha smesso di figliare,
lui è morto – sa le cose come stanno –

Tu entra di spalle, e chiudi
conosco bene solo la tua schiena.

***

Federico ha diciott’anni

Federico ha diciott’anni e spalle curve
ha trascorso le vite ad una ad una
e le ricorda tutte.

Porta negli occhi la fatica di dimensioni
eterne, senza riferimenti come i suoi piedi
che hanno direzioni opposte
uno ritorna sempre.

Federico mi tiene in altre stanze
ma sente la mia voce e sa
che quando dico “torna a casa”
non penso a costruzioni in muratura.

***

Senza una data

Conserviamo nelle curve degli armadi
decine di abiti irrisolti
aspettando ostinati che ci ritorni il tempo

eppure sappiamo la saggezza dei proverbi
e la semina incrociata con le lune
abbiamo imparato a far l’amore sottovoce

e per la strada rubiamo solo qualche bacio.
Scriviamo del dolore nelle pieghe
di poche poesie venute male, senza una data.
Facciamoci la pace lo adesso
un segno nel costato – bianco –
che non siamo felici possiamo dirlo dopo.

***

In punta di piedi

Oggi mi sono fermata
e ti ho guardato crescere.

Nel trascurato incedere
di esistenza in costruzione
mi è sfuggita all’improvviso
con gli anni, la tua età.


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