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Luciano Funetta, scrittore per caso

Creato il 03 febbraio 2016 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

di Emanuela D’Alessio

Intervista a Luciano Funetta, autore di Dalle rovine, romanzo di esordio nella collana Romanzi di Tunué, curata da Vanni Santoni.

«Ogni stanza aveva la sua finestra; l’unico ambiente cieco era la stanza delle teche, dove Rivera teneva la collezione. Anche quando se ne stava tranquillo in soggiorno a non fare niente, sapeva che dietro la porta della stanza c’erano trenta creature la cui sopravvivenza dipendeva da lui. Aveva cominciato a collezionarle quindici anni prima e ormai occupavano gran parte delle sue giornate. Le catturava in campagna, le ordinava nei negozi di animali esotici oppure se le procurava al mercato nero, tramite individui che all’inizio lo avevano spaventato ma che ben presto erano diventati i suoi unici contatti con l’esterno, fatta eccezione per la corrispondenza che Rivera teneva con altri collezionisti, uomini e donne che non aveva mai visto, ma che gli sembrava di conoscere dall’infanzia».

Rivera è il protagonista di Dalle rovine, stupefacente esordio di Luciano Funetta (Tunuè, 2015). È un collezionista di serpenti rari e velenosi, custoditi in teche di vetro in un appartamento «al terzo piano di uno dei condomini semicircolari della periferia nord» di Fortezza, la città immaginaria che «la sera si rintanava in se stessa, i portoni inghiottivano le sagome di quelli che tornavano a casa e le finestre si illuminavano per poi tornare buie nel giro di pochi secondi, come se la permanenza di quelle persone nei loro appartamenti fosse limitata a un brevissimo arco di tempo in seguito al quale c’era solo il nulla».
Rivera rinuncia al lavoro e alla famiglia per dedicarsi con la mente e con il corpo (è proprio il caso di dirlo) ai serpenti. Una passione che diventa ossessione e perversione, che lo sprofonda nell’abisso di una solitudine disperata, che lo accompagna sulla china di un nulla popolato da ombre e fantasmi, uomini e donne ai margini del tempo e della realtà e della loro stessa vita.

Dalle rovine è un romanzo stupefacente perché fin dalle prime pagine si avverte la potenza di una storia ipnotica, straordinaria nel senso letterale di fuori dall’ordinario. Una storia audace, raccapricciante e commovente. Una storia dove sono caduta dentro senza volerlo, perché i serpenti mi suscitano una certa repulsione e la pornografia, per quanto artistica, mi lascia un po’ perplessa. Ci sono rimasta fino alla fine, trattenuta da un ritmo incalzante, da una tensione sottile e costante, da una scrittura raffinata ed evocativa. Una storia da cui sono uscita con sollievo, come quando ci si risveglia finalmente da un incubo, ma anche con il desiderio di parlare con l’autore, di chiedergli: perché?

Ecco qualche domanda a Luciano Funetta.

Luciano Funetta

Da Gioia del Colle a Roma, passando per Bologna. Che cosa ti è successo strada facendo in questi ultimi trent’anni?
Un po’ di cose, ma nulla che credo possa interessare davvero i lettori di Via dei Serpenti. Ho camminato e letto molto, studiato quel che bastava, viaggiato poco. In compenso ho portato a buon fine un numero spaventoso di traslochi (uno dei quali a piedi, in una Bologna innevata e silenziosa); ho comprato molti libri, il che mi fa stare a posto con la coscienza per quelli che ho rubato. Ho imparato a cucinare discretamente, mi sono sposato, ho scritto nonostante qualsiasi condizione climatica, economica, sentimentale, familiare, geopolitica, astrologica.

Sei uno scrittore per vocazione, necessità o casualità?
Casualità, senza dubbio.

Da una parte le scuole di scrittura con costi di iscrizione anche elevati, dall’altra i forzati del self publishing, sempre più numerosi e incoraggiati dalla prospettiva di celebrità a costo zero e senza intermediari. In mezzo ci sono gli agenti letterari, ad esempio Oblique Studio che ti rappresenta, e in un angolo le centinaia di manoscritti nelle case editrici con l’unica prospettiva di prendere polvere. Che cosa c’è di giusto e sbagliato, necessario e superfluo in questo scenario?
Prima di conoscere Leonardo Luccone di Oblique ho inviato anch’io un paio manoscritti a qualche casa editrice. Immagino che quei manoscritti abbiano passato un po’ di tempo su una scrivania o in un armadio di ferro, poi siano stati trasferiti in una cantina o direttamente in un cassonetto della spazzatura. In tutto questo, in questo mistero avventuroso dei manoscritti che ogni giorno vengono spediti in ogni forma possibile, non vedo nulla di sbagliato e soprattutto nulla di superfluo. In quanto alle scuole di scrittura, non ne ho mai frequentata una. Di preciso non so neanche troppo bene di cosa si tratti. Detto questo, grazie al cielo il mio lavoro non è l’editoria e posso permettermi di guardare a tutto con un certo distacco, e vedere in lontananza pochi cavalieri senza macchia e senza fortuna, un numero spaventoso di giovani scudieri che portano in spalla le armi altrui, uno o due re, qualche amazzone, un esercito di mercanti e un’orda di mendicanti senza dignità, che sarebbero gli scrittori. C’è da dire che ci sono alcuni scrittori che in realtà sono cavalieri, scrittrici che sono amazzoni ed editori che sono ladri. Tutta questa confusione mi spingerà a restare sempre dalla parte dei lettori.

Illustrazione di Maurizio L'Altrella WATT 0

Illustrazione di Maurizio L’Altrella WATT 0

Dal racconto Noi stessi abbiamo dimenticato, pubblicato su «Watt», al romanzo Dalle rovine, uscito per Tunué, il percorso sembra lungo e forse accidentato. Come è nato il rapporto con l’editore, e che cosa significa esordire con una piccola casa editrice, per quanto agguerrita e intraprendente come Tunué?
Tunué è arrivata quando ormai si pensava che il romanzo non sarebbe più stato pubblicato. I miei rapporti e scambi sono stati, fino a ora, soprattutto con Vanni Santoni, editor della collana Romanzi, e Claudia Papaleo, ufficio stampa della narrativa. Entrambi hanno fatto un lavoro meraviglioso. In generale tutta la casa editrice mi sembra proceda in una direzione, con consapevolezza, e questo per un editore è solo un bene. Quando si pubblica con un piccolo editore agguerrito e intraprendente, bisogna adeguarsi ed essere agguerriti e intraprendenti per fare in modo che il libro abbia qualche possibilità.

Tra i primi aggettivi che mi sono venuti in mente leggendo Dalle rovine c’è ‘straordinario’, nel senso letterale di fuori dall’ordinario.  Così mi è parsa, innanzitutto, la scelta della voce narrante, un “noi” che lascia perplessi e un po’ inquieti. Si percorre l’intero libro rimbalzando da una domanda all’altra: sono fantasmi o demoni, voci interiori? Perché seguono il protagonista Rivera, osservandone ogni gesto senza mai cedere ad alcuna empatia? Tra “loro” e Rivera non sembra esserci alcuna reciproca consapevolezza. Forse puoi offrici una chiave di lettura più precisa?
No, non posso. Posso dire che non sono d’accordo sul fatto che tra Rivera e i narratori non vi sia consapevolezza reciproca. Penso anche di aver lasciato tracce del fatto che tra l’uomo e i suoi inseguitori/custodi esista un rapporto, una relazione di tipo spettrale, qualcosa che non ha corrispettivi nella gamma dei sentimenti umani, come un’accettazione naturale della sovrapposizione tra due mondi. L’empatia da parte dei narratori esiste e viene mostrata, anche dichiarata, a volte. Quello che è incomprensibile – e che per me è stato incomprensibile mentre scrivevo – è come questi fantasmi non umani possano esistere senza essere percepiti da nessuno se non da Rivera. In realtà tutta la vicenda del romanzo si svolge in luoghi di confine o in luoghi estremi dell’immaginazione e della fascinazione. Siamo nel regno che sta tra l’ultimo respiro e la morte, l’ultimo istante di percezione, la frazione inenarrabile. Tutto può avvenire in quel momento, anche che un coro greco prenda la parola e si metta a raccontare di un uomo chiamato Rivera.

Procedendo per aggettivi, la tua storia è anche (per me s’intende), audace, raccapricciante e commovente. Per te invece com’è e perché?
Scriverla è stato commovente anche per me. Nonostante l’ossessione, la fatica, la certezza di essere perseguitato dai fantasmi dei personaggi e da decine di altri fantasmi sconosciuti, nonostante l’inquietudine, direi che la commozione è rimasta sempre il sentimento più insistente, insieme alla malinconia. Non mi sono commosso, invece, quando ho visto per la prima volta il libro stampato, e sono felice che non mi abbia fatto granché effetto.

Dalle_rovine
L’ambientazione oscilla tra luoghi immaginari come Fortezza, la città in cui vive il protagonista Rivera, e reali come Barcellona, dove Rivera e i suoi “amici” conquistano la celebrità. I confini tra realtà e immaginazione sono molto labili, e alla fine si precipita in un sogno-incubo da cui nessuno sembra riuscire a risvegliarsi. Era questo il tuo intento?
A dire il vero sono convinto che un’opera letteraria non dovrebbe mai proporsi un intento, se non quello di raccontare qualcosa nell’unico modo possibile. La storia di Dalle rovine si è generata da sé, con le sue caratteristiche peculiari, che nascono da fattori molteplici. Innanzitutto la mia formazione, il mio interesse per certi temi che con il tempo si è trasformato in ossessione, le letture che sono state il terreno che mi si è incollato sotto le suole dopo aver passeggiato a lungo nel giardino dell’infanzia e dell’adolescenza, il rapporto di empatia che ho sviluppato nei confronti dei personaggi, anche dei più miserabili e diabolici. A conti fatti, se quello che mi riporti è l’effetto che il romanzo ha sortito su di te, posso dire che molto di quello che ho provato io scrivendolo ha avuto la forza di riproporsi anche a un lettore sconosciuto.

La storia predilige i tempi della notte e le tonalità del nero e del grigio, i personaggi si aggirano per lo più in luoghi chiusi e bui, fumano e bevono molto, dormono poco e male, respirano i loro afrori, l’odore della paura e della morte. La luce, la speranza, il sollievo risultano banditi dal tuo romanzo. Perché?
La speranza in qualche misura è presente. È uno sguardo lanciato verso il passato, verso precisi momenti del passato che restano nella memoria come iconostasi, visioni di santità riportate sul legno ed esposte in una chiesa bombardata. Dalle rovine viene fuori un canto, e nonostante il passato sia perduto e il futuro viaggi verso una nuova rovina, quel canto può essere ascoltato. «Chi è per le statue deve essere anche per le macerie» scriveva Gottfried Benn.

Alla domanda se la pornografia possa diventare una forma d’arte non mi pare che Dalle rovine abbia trovato una risposta. I tuoi personaggi, per quanto anelino a realizzare “il film” dopo il quale nulla sarà più necessario e possibile, non sembrano riuscirsi, né trovare qualche traccia di sollievo. Al contrario, tutto sembra irrimediabilmente perduto. Che ne pensi?
Questo perché “il film” non è propriamente un film, ma una condanna, il coronamento di una condanna, anche se la condanna dell’uomo è proseguire nella sua eterna cecità. Anche il finale, che alcuni considerano mozzo, ha per me un valore in questo senso. Una delle domande che il libro si pone è se l’arte possa considerarsi una forma di tortura e se la tortura, come prodotto dell’ingegno, possa essere chiamata arte. C’è un personaggio che pensa che la risposta a tutto questo sia affermativa. Allo stesso tempo, un altro personaggio che porta il nome tedesco del sogno afferma che produrre arte sia la manifestazione più ignobile della presenza umana sulla terra. Forse le teorie dei due coincidono, o per lo meno si sfiorano. Quel che è certo è che nonostante tutto proceda, nei secoli, precipitando in voragini concentriche, niente è mai davvero perduto, o meglio è legittimo illudersi che non lo sia.

Perdonami, ma non posso evitare una domanda sui serpenti. Li hai scelti perché ti attraggono realmente o per esorcizzare una fobia?
Nessuna delle due. Ho scelto i serpenti, che considero animali magici, per capovolgere un simbolo di infamia.

Che tipo di lettore sei (compulsivo o rilassato) e che cosa hai letto fino ad ora?
Non ho letto neanche un quarto di quello che vorrei riuscire a leggere prima di morire. Questo, suppongo, mi porterà in punto di morte a considerare la possibilità di non aver vissuto che un terzo di quanto avrei sperato. C’è poco da essere rilassati.

Che cosa c’è da leggere sul tuo comodino in questo momento?
Europe central di Vollmann, Fervore di Emanuele Tonon, il primo volume delle Dionisiache di Nonno di Panopoli, L’uomo in rivolta di Camus e un’antologia Einaudi di lirici greci.

Grigorys Kapsomenos

Grigorys Kapsomenos

Come deve essere la tua libreria ideale? Ti è capitato di entrarci?
La mia libreria ideale è stata per anni quella di Grigorys Kapsomenos a Bologna. Si tratta del posto in cui, intorno ai vent’anni, ho comprato i libri che hanno segnato quel periodo della mia vita (e grazie ai quali quel momento rifulge nel passato come una cicatrice fluorescente). Molti di quei libri non sarebbero finiti in mio possesso se non fosse stato per Grigorys, il vecchio libraio greco. È stato lui, per esempio, a costringermi a leggere L’enciclopedia dei morti. Riconosco i libri che ho preso lì da un piccolo adesivo con impresso un labirinto bianco in campo rosso. Adesso quella libreria ha chiuso, Grigorys è morto e io non sono mai andato sulla sua tomba.

Ci puoi anticipare qualcosa dei tuoi progetti?
Finire di scrivere quello a cui sto lavorando da un anno e mezzo, anche se l’idea di non finirlo e di lavorarci in eterno mi piace ancora di più.

Che cosa fai quando non scrivi e non leggi?
Vivo con Francesca, mia moglie, passo il tempo con i miei amici di TerraNullius, a volte mi capita di rivedere amici lontani e ciò mi rende felice; guardo film, lavoro da qualche mese come libraio, prendo i mezzi pubblici, cucino, fumo, dormo.

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Luciano Funetta è nato nel 1986 a Gioia del Colle. Dopo sette anni a Bologna, nel 2012 si è trasferito a Roma dove è entrato a far parte di TerraNullius e della direzione artistica del Flep! – Festival delle letterature popolari. Finora ha pubblicato: Noi stessi abbiamo dimenticato, «Watt» 0; Certe informazioni, «Costola» 1; Gli occhi della montagna su Cosa si scrive quando si scrive in Italia, Granta Italia; Strappacuore su «Prospektiva» 55; alcuni contributi per archiviobolano.it oltre a numerosi racconti e saggi su TerraNullius.

Vanni Santoni, scrittore e giornalista, autore pubblicato da Feltrinelli, Mondadori e Voland tra gli altri, e creatore – insieme a Gregorio Magini – del metodo Scrittura Industriale Collettiva (qui  l’intervista a Santoni e Magini in occasione dell’uscita di In territorio nemico, primo romanzo scritto con il metodo SIC e pubblicato da minimum fax nel 2013), dal 2014 dirige la collana di narrativa di Tunué. Qui la nostra intervista a Vanni Santoni del 30 aprile 2014.

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