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Lucrezia Lante della Rovere porta Misia Sert al Festival dei Due Mondi di Spoleto

Creato il 04 luglio 2015 da Berenice @beneagnese

Arrivo in sala poco prima dell'inizio dello spettacolo, in prima fila ci sono Carla Fendi e il principe Ruspoli, appena dietro siede Marina Ripa di Meana, madre della protagonista.

In cartellone l'atto unico di 'Io sono Misia. L'ape regina dei geni'. La storia è quella di Misia Sert, regina dei salotti di Parigi, portata sul palco da Lucrezia Lante della Rovere.

Mi trovo al San Nicolò a Spoleto per la cinquantottesima edizione del Festival dei Due Mondi, diretto da Giorgio Ferrara.

Le luci si spengono e il sipario si apre su un'imponente poltrona-trono damascata posta al centro della scena. In basso, sul pavimento, un cerchio di lampadine delimita lo spazio. Su di un lato la scena essenziale è completata da uno sgabello slanciato che sostiene un calice e una bottiglia di champagne. Un eccellente impatto visivo.

Lucrezia-Misia, raccolta sul trono, inizia il monologo: brava, carismatica, nella sala regna il silenzio assoluto.

Parole che cambiano voce, gesti ed espressioni messi in risalto dagli straordinari effetti cangianti delle luci, un salire e ridiscendere dell'attrice dal trono, fruscii di seta e le note di un piano. Dentro c'è la storia di Misia Sert, nata in Russia nel tardo Ottocento e vissuta a Parigi in piena Belle Epoque. Padrona di casa dei salotti frequentati da Marcel Proust, Toulouse-Lautrec, Ravel, Renoir ( che la ritrasse più volte), Coco Chanel, Debussy, Mallarmé, Picasso, solo per citare i più grandi.

"Dicono che il mio talento sia saper annusare il talento. Dove tutti vedono un nano, io vedo un Toulouse-Lautrec. Se c'è una tizia a occhi bassi, contro il muro, io sento profumo di Cocò, nel senso che avrà per le donne, Chanel. Sono una cercatrice di geni. Una cercatrice di meraviglie umane".

La storia di una donna importante, avida di vita, che non si arrende ai cambiamenti e ai dolori e guarda continuamente avanti. Ma inevitabilmente il tempo passa e la grande poltrona dello spettacolo diventa lo spazio circoscritto dei ricordi dai quali Misia non riesce a tenersi lontana, incapace di reinventare una nuova esistenza, appagante quanto la precedente. Fino a quando Cocò torna per porgerle un cappellino e l'ultimo vestito da indossare sopra un lunghissimo filo di perle bianche.

Una Lucrezia Lante della Rovere molto brava e applaudita. Testo di Vittorio Cielo, regia di Francesco Zecca con l'assistenza di Arcangelo Iannace, luci di Pasquale Mari, scene di Gianluca Amodio, costumi Alessandro Lai, musiche Diego Buongiorno, produzione Compagnia Stabile del Molise, promosso da Fondazione Devlata.


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