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Ludico e impudico

Da Marcoscataglini
Ludico e impudico
Lo dico che è ludico e impudico l'uso della fotografia come ortografia della nostalgia, così come è divertente per l'impenitente il dolce far niente o per il frettoloso cercare un grandioso soggetto favoloso. E via cazzeggiando. Non avete capito una cippa? Neanche io, figuriamoci. Era solo divertente mettere insieme parole con delle assonanze. Fate mai delle foto così? Ci sono diversi oggetti e voi li mettete insieme in una foto solo perché, in qualche modo, ci stanno bene, nella foto. Dobbiamo sempre spiegare tutto? Credo di no. Torno dunque sullo stesso argomento del post precedente, perché ci penso spesso in questi giorni, e mi sembra un argomento di un certo qual interesse. Almeno spero. Dunque il gioco. Da bambini giochiamo (se ce lo permettono) per il solo gusto di esplorare i confini della fantasia, per quel senso di liberazione e gioia che dà l'essere liberi di fare le cose perché ci va di farle e basta. Poi cresciamo (ffanculo!) e nel crescere la parte ludica del nostro io viene messa sempre più in disparte. Viene accantonata, dimenticata. Vi rendete conto? La parte più autentica di noi la mandiamo in esilio e ci teniamo ben stretti la parte stronza dell'ego che continua a ripeterci, come Paolo Panelli nel "Marchese del Grillo: "dovete annà a lavorà, annate a lavorà, dovete lavorà!" (grande!). E noi zitti zitti mandiamo al macero quello che di buono avevamo ed eravamo da regazzini, ci mettiamo in ghingheri e chiniamo la testa. Il mito del lavoro è il più inossidabile dei pur molti miti della società umana moderna. Il lavoro si riconosce da queste semplici caratteristiche:
  • non ci deve piacere: se un lavoro ci piace non è lavoro, ma un hobby;
  • dal lavoro bisogna trarre un guadagno (e questo è ovvio), e questo guadagno dovrebbe incrementarsi nel corso del tempo, altrimenti siamo dei falliti;
  • se si trae un guadagno da un lavoro che ci piace (quindi da un hobby, mica da un lavoro) è un colpo di culo, e di certo abbiamo fatto qualcosa di scorretto per meritarcelo;
  • il lavoro va conservato, perché tende a sfuggirci;
  • visto che in genere -dato che non ci deve piacere- non ce lo scegliamo del tutto liberamente, il lavoro ci viene dato da qualcun altro, che poi cerca di riprenderselo (bastardo!): si chiama licenziamento, e va molto di moda in questo periodo;
  • se qualcuno ci offre un lavoro che ci piace, dà per scontato che per noi sia solo un hobby, e dunque che cazzo vogliamo, pure un contratto? Ingrati! Si lavora al nero, oppure con contratti a termine o anche aprendo una (mitica) partita Iva. E guai a lamentarsi che c'è gente in giro che deve pagare per esercitare i proprio hobby, porcaputtanaeva!
Nel momento in cui si è creato il lavoro, quella-cosa-che-non-piace-ma-serve, si è anche dato vita al tempo libero, cioé a quelle ore o addirittura giornate (giornate! Incredibile) in cui il lavoratore non lavora ma spende tutto quello che ha guadagnato durante i giorni di lavoro (essendo frustrato, è normale). Televisore (piatto, retroilluminato a led, 500 pollici: poi che ci vedi? Il Grande Fratello? Ma vffncl!), lettore di Blue-Ray (almeno per quelli che detestano il Grande Fratello e sul televisore HD vogliono vederci un film: peccato che quelli belli davvero non li facciano uscire in Blue Ray, anzi a volte non escono nemmeno al cinema), iPad, iPhone, iPod, (iMortaccitua), automobilina, gita fuoriporta, pizzeria o ristorantino, insomma, si spende, si spende. Sono troppo acido? Vabbé, voi comunque rifletteteci su un attimo, poi mi direte. Comunque, arriviamo al punto, va, che ha smesso di piovere e mi sa che tolgo il culo da questa sedia e me ne vado a fare qualche foto: la fotografia può essere un hobby (aaaarghh!), una scelta di vita (ecco...) o una bruciante passione (wow!). Per come la vedo io, però, deve essere comunque un momento ludico, divertente (questa parola mi piace poco, ma rende l'idea: si devia dalla solita strada), piacevole, appassionante, creativo. Vedo troppi fotografi in giro che scattano immagini quasi come la mattina, preso il primo caffè dei 75 che trangugeranno (si dice?) durante la giornata, se ne vanno mogi mogi al lavoro (o magari contenti, perché la mattina si hanno ancora le energie per esserlo: è dopo mezzogiorno che si hanno i cosiddetti gonfi). C'è tutta questa categoria di fotografi sofferenti che mi ricordano tanto certi cantanti melodici italiani, quelli a cui ce ne fosse una che gliela dà, e se gliela dà, dieci minuti dopo se ne va col primo che passa (e pure lei si sarà rotta i cabbasisi di questi così mosci, no?). Naturalmente, il risultato della foto può anche essere impegnato e impegnativo, ma è durante il processo di ripresa che occorre essere più liberi dai legacci che quotidianamente ingombrano la nostra vita e limitano i nostri movimenti (specie quelli mentali). La vita è drammaticamente breve per sprecarla con le cose serie...

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