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lui prega, noi leggiamo il giornale

Da Dallomoantonella

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Sto andando a farmi la solita terapia giornaliera, o quasi; nulla di preoccupante, solo un fastidiosissimo catarro che mi ha occluso l’orecchio sinistro con tutte le debite conseguenze (colpa di questa influenza devastante).

Mi siedo in metropolitana, che alle sette del mattino è ancora molto scorrevole, per lo meno da dove la devo prendere io.

Ce ne sono di fermate e quindi mi metto tranquilla a guardarmi in giro  i miei compagni di viaggio.

Nulla di particolare attira la mia attenzione, fino a  che non sale sul vagone un giovane di colore, forse proveniente  dall’Africa centrale, a giudicare dalla pelle molto scura.

E’  normalmente vestito, direi all’occidentale, potrebbe sembrare uno dei nostri studenti come ce ne sono centinaia, che vediamo tutti i giorni,  e fin qui tutto ok; ma appena si sistema nell’angolo che si sceglie per il suo tragitto, estrae dallo zaino un piccolo libretto rivestito di pelle di cuoio marrone, con davanti incastrata  come una stella, o qualcosa del genere.

Capisco subito che deve essere il suo libro delle preghiere.

Dunque è un giovane musulmano che sta per adempiere al dovere della preghiera quotidiana, rito che ogni islamico  ripete per cinque volte durante la sua giornata.

Se  a fare quel gesto fosse un giovane dei nostri, non ci si potrebbe credere, ovviamente; subito penseremmo a uno squilibrato, a un pervertito, o  quanto meno a uno che vive fuori dal mondo, con qualche problema di socializzazione.

Ma siccome sappiamo che per loro è un dovere, e sappiamo che per loro è una abitudine, e sappiamo che per loro è una cosa del  tutto ordinaria, allora nessuno dei presenti si stupisce più di tanto.

Mi viene però da osservarlo; lui non sa che lo sto guardando, o sembra non volerlo sapere, perchè nonostante sta davanti a me, non alza lo sguardo dal suo libretto dove con lo sguardo fa scorrere le pagine, una dopo l’altra.

Mentre che legge le sue labbra si muovono alla recita dei versi, come facevano le nostre nonne che recitavano il rosario a bassa voce, senza disturbare il silenzio delle stanze che le avvolgeva e le custodiva.

Lui invece  sta pregando in mezzo a un mare di estranei, in pieno giorno, anzi, di mattina appena inoltrata, senza preoccuparsi di nulla, nè di chi lo guarda, nè di chi gli sta accanto.

Ad un certo punto si libera un posto, allora smette un attimo di pregare, si allontana per sedersi, il tempo di risistemarsi e riprendere la recita della sue preghiere.

Mi rendo conto della sua fortuna, come della nostra, ossia di potere manifestare il proprio credo religioso senza preoccupazione, cosa che noi non possiamo fare nei loro paesi, non senza qualche angoscia.

Accanto a lui sta una giovane donna che probabilmente sta  per recarsi al lavoro; lei non sta leggendo nessuna preghiera, ma naturalmente il giornale, quello appena ricevuto o ritirato all’ingresso della metro. Ne approfitto per fotografarlo, in modo da non essere notata, perchè  non vorrei che poi lui se ne abbia a male, visto che non ho cattive intenzioni su come utilizzerò la sua immagine (una volta feci lo stesso in Giordania ma con conseguenze non esattamente pacifiche).

A questo punto   mi viene spontaneo fare questa riflessione:  ma noi siamo mai stati in un tempo remoto, quando la modernità non era ancora imperante come ora,  in qualcosa simili a questa gente, che  nonostante la modernità dominante   si occupa normalmente  delle faccende di Dio tra gli obblighi e le necessità quotidiane?

Certo, abbiamo subìto un periodo in cui ci veniva imposto di essere credenti, e di essere osservanti, e di essere come una certa etichetta ben pensante ci obbligava a mascherarci.

Non voglio nemmeno entrare nel triste ed obsoleto capitolo della Chiesa che addirittura ha commesso delitti orribili nel nome della stessa fede, o infangando la tonaca che in modo indegno certi preti hanno indossato e a volte continuano ad indossare.

Non è di  questo che ora vorrei  discutere con voi.

Quello che io mi chiedo, e vi chiedo, cari amici che mi leggete,  è perchè abbiamo smesso di pregare.

Certo, mi si risponderà che non è vero che abbiamo smesso di farlo; che lo facciamo quando nessuno ci vede e nel privato della nostra vita. Che andiamo in Chiesa solo quando ne sentiamo il bisogno e che comunque anche se non lo facciamo vedere, noi sappiamo che dentro di noi un pò di fede c’è, un pò di fede è rimasta (ma quanto un pò? cosa vuol dire che ci è rimasta un pò di fede? forse che la fede si può misurare in grammi? facciamo ricette del tipo “Mi dia un etto di misericordia e due etti di coraggio, mescolati a centocinquanta grammi  di speranza, per favore…)

E mi si risponderebbe  che loro sono antiquati a continuare a fare  quello che noi abbiamo capito non essere più necessario (ma che cosa non sarebbe più necessario? pregare o pregare in quel modo??  ma poi che ognuno preghi pure come meglio crede, magari anche bestemmiando, se è la sola preghiera che la vita gli ha dato di conoscere)

Qualcuno potrebbe osservare:  ”  Abbiamo visto quanto serve questo rito ripetuto e ostentato  a conservare queste persone migliori di noi, visto che l’unica  vera preoccupante paura terroristica attuale proviene proprio da questa religione.”

Ma ne siamo proprio sicuri?

Premesso che loro non stanno ostentando nulla,  ma solo  ricordando a se stessi quello che sono, mentre noi ce lo siamo dimenticato,   non è forse  proprio  l’esercito terroristico islamico che  tutto ampiamente mostra di sè, armi e terrore,  ben  guardandosi    dal mostrarsi  inerme ed intento alla preghiera?

E’ solo la sua bocca piena di farneticanti esclamazioni ad evocare la figura di Dio,   mentre che non si cura di conservare nulla di umano, e di conseguenza nulla di divino (ed infatti questo presunto esercito jihadistico  non ha nulla a che spartire con l’Islam).

Nulla da paragonare con quanto sto vedendo:  davanti ai miei occhi c’è  solo un giovane uomo, del tutto pacifico, del tutto perfettamente inserito nel contesto che lo circonda.

Nulla di lui mi fa pensare ad una presenza  pericolosa, o ad un  individuo  fuori dal mondo, o ad un giovane che potrebbe andare ad arruolarsi domani  con quei folli che si mascherano   di nero,  kalashnikov  in  spalla.

Sono certa che se mi mettessi a ragionare con lui, potrei scoprire una bella persona, con le sue credenze e le sue aspirazioni del tutto simili alle mie.

Allora mi chiedo dove stiamo sbagliando, nessuno escluso, in questa faccenda dello scontro tra civiltà, che invece il terrore vuole farci temere.

Io credo piuttosto che qualche cosa abbiamo perso che invece merita d’essere recuperato; e credo che  c’è qualcosa in questa gente   che merita d’essere condiviso, a condizione che si possa incontrare in essa quella stessa curiosità verso l’altro che fa abbattere ogni diversità.

Vuote e retoriche parole?  Non credo proprio. Non sto parlando di come meglio apparire o di come aumentare il nostro giro d’affari (pratiche oltremodo nobili se ben finalizzate); sto banalmente dicendo di come dovremmo preoccuparci di tenere  il cervello acceso, ed insieme al cervello, anche il cuore.


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