III
Rende la carne greve
quel pensiero
come sceso dalle fate
o dalle sagome caduche
in un freatico silenzio d’Acqua
la cellula che le compone il cuore
globuli di poesia delle domeniche
allegre fisarmoniche in ipossiemia di sensi.
Ma quando cede alla mezz’aria delle sue voci
si mette a girare nelle dighe
nelle secche, nelle mosche
è quella che appare
traspare
come la miseria frusta.
Ogni sogno è sgrezzato,
lavato, (ri)costruito,
come la prediletta figlia femmina della Luna
volante, fra le miglia delle piastrelle
dei fiori di limoni
un’essenza, decantata
un canto dall’altra riva
sebbene prenda a macete il primo quarto
- che quindi cala a fasce -.
Così è spoglia.
Le hanno asportato il male dei dubbi
incuneato il reale dei vivi
spezzandole il braccio, nella via dell’indulto.
IV
(Ah padrona)
spettro nero
diafana
con le fibbie slacciate nel fiato
finché si stende e si rialza
riordina le scarpe per uscire scalza
a guardare oltre il firmamento
e trova il Magreb
e la licantropia che le gualcisce l’anima
incomposta, allunata dei sospiri
rincorsi, (ri)corsi negli uomini al metilene
l’ansia chimica dei ricordi assimilata
all’essenza il nulla, l’attesa delle stelle
la testa inciucia pensieri
sottopancia, girata nel dorso,
fuori
nel cuneo soffocante della bassa marea.
(inciucia: racconta pettegolezzi, ndt)