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Lupiae. Duemiladiciannove

Creato il 23 ottobre 2014 da Cultura Salentina

Lupiae. Duemiladiciannove

23 ottobre 2014 di Titti De Simeis

©Gianfranco Budano: Lecce, Chiesa di S. Irene

©Gianfranco Budano: Lecce, Chiesa di S. Irene

Il Duemiladiciannove non ci vedrà affacciati sull’Europa. Ma ci affacceremo sull’orizzonte, stupendo e senza tempo, della Palascia o sul lungomare del nostro Adriatico di vite in transito. Sui banchi vuoti di scuole stinte di passioni o sui balconi cadenti di paesi dimenticati.

Sui silenzi forzati di mamme in fasce o sul pianto di nonni mai accolti. Nelle tasche vuote di giovani in partenza o sulle spiagge di ombrelloni odorosi al cocco. Sul porto di Gallipoli dondolante di vele in seta o tra i panni della periferia stesa ad asciugare.

Ci affacceremo nei luoghi in cui la Cultura si veste di minuscolo e si specchia in vetrine vuote, in cui le parole d’apparenza non conoscono sinonimi, in cui la smania di ‘arrivare’ non sente ragioni, in cui le porte delle ‘corti’ cigolano ancora di dolore.

Ci affacceremo sulle strade dei rifiuti, delle carte sporche, degli alberi estirpati alla loro storia e ai loro tratturi. Sugli occhi chiusi di promesse dai nasi lunghi e di ipocrisie siglate a ceralacca.

Sulla politica beffarda che riempie le piazze ma disperde le menti, su palchi dai riflettori accesi, su applausi pagati e volantini sotto i piedi, ideologie senza più pagine.

Ci affacceremo sugli ospedali a tempo determinato, con chiusura a sorpresa e senza preavviso. Sulle facciate dipinte e sciolte dalle piogge. Sulle viuzze inaridite di desolazione, sui ponti crollati per scogli deturpati, su battigie discarica che il mare ingoia di rabbia e scirocco.

Ci affacceremo su noi stessi. Con la coscienza a farci l’applauso.

Non siamo venditori né strilloni, non ci basta uno striscione per conquistare una vetta, non possiamo far credere ciò di cui non siamo capaci. Siamo eredi di una Storia mal riposta, mal cantata, mal voluta e mai abbracciata. Siamo gli occhi della vergogna di chi emigra e non vuol più tornare, di chi impara una lingua nuova per sentirsi parte del mondo, di chi dimentica il dialetto nell’oltralpe borghese, di chi non sa riconoscere la forza di una terra che il Passato ha stordito di Cultura, di Saggezza e di Bellezza. Preferiamo apparire. Ma, l’apparenza non sempre inganna.

Non bastano i ricami del Barocco, gli eventi ‘ad effetto’, i Castelli fatati per una sola stagione o i progetti last minute di giovani alle soglie della terza età. Non basta costruire un mondo senza una piattaforma che lo porti al decollo. Non basta e non serve.

Lo stesso Passato che ci ha messi al mondo ha tentato di spiegarcelo con l’esempio. Andare avanti non vuol dire cancellare. Non vuol dire dimenticare, né fingere.

Vuol dire costruire con autenticità, con onestà e con il silenzio dell’Umiltà. E’ questa la Capitale inespugnabile di ogni Cultura. E l’Europa intera le starebbe stretta.


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