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Ma cosa leggi?! - Perchè facciamo i meravijosi

Creato il 21 ottobre 2014 da Nonchiamatemiborgia @nonsonoBorgia
A volte capita che ci siano persone che mi rivolgono domande-accuse sullo stato in cui riversa il giornalismo italiano, perché non informa, perché ha poche pagine, perché… Di base, si tratta delle stesse persone che poi si rincojoniscono a leggere articoli di calcio prima categoria o dei risultati di moto Gp (che non c’è nulla di male, ma capirai che non c’è storia).Partiamo dal presupposto che io sono l’ultima ruota del carro: sono una collaboratrice esterna e, per di più, sono ancora praticante (ma sta per finire, comincio a vedere la luce in fondo al tunnel). Teniamo anche conto che non sono un oracolo, per cui sebbene scriva dei pezzi non ho il potere di influencer incontrastato nel mondo editoriale. Se poi consideriamo che sì, ci sono molti ideali ma che no, non si può procedere nella vita solo con questi, abbiamo dato il colpo di grazia finale.Una volta ammesse queste banalissime verità dei fatti, la risposta più vera e ancor più banale sul perché il giornalismo italiano, in certi casi, glissa sugli approfondimenti per lasciare spazio a sensazionalismi e scandali gossippari, è una. Perché questa è la richiesta di mercato. Con questa affermazione mi tiro addosso insulti e “Ma che stai a dì?!” senza troppo ritegno, lo riconosco, perché nessuno ammetterà che lo scandalo piace, MA… Vorreste per caso dimostrare il contrario? Chè siamo tutti meravigliosi e filosofi sul prodotto della comunicazione, MA (a ridaje):Finchè la Gazzetta dello Sport rimane il terzo quotidiano più venduto in Italia (la tiratura media di agosto ammontava a 398752 copie), solo dopo i mostri sacri de Il Corriere della Sera e La Repubblica – e vorrei ben dire -, ma che cosa cercate dal giornalismo? E comunque il quarto quotidiano più venduto è il Corriere dello Sport. Il Sole 24 ore, sempre nel mese di agosto, ha misurato una tiratura media di 238745 copie, quindi 150mila in meno del giornale rosato: e dire che il Sole ti spiega vita, morte e miracoli delle leggi italiane, delle tasse che dovrai pagare e di come (con schemi a prova di imbecille), di cosa sta succedendo nelle aziende e di quello che ti trovi in busta paga. Come dire, cose utili.Finchè Barbara d’Urso rimane in circolazione occupando salotti e divanetti dei pomeriggi televisivi, possiamo facilmente supporre che gli ascolti li fa. Sebbene passi da argomenti-disgrazia a interviste imbecilli all’ultima showgirl di turno con nonchalance, lo share c’è. Nonostante le faccine. Finchè gli articoli più cliccati in rete riguardano le baby squillo dei Parioli e il delitto di Yara, che bisogno c’è di fare inchieste superimpegnate sui prodotti Doc-Dop-Docg (a proposito, per fortuna che c’è Report!)?Finchè si condivide sui social l’ultima boiata che Balotelli combina, perché mai spararci giorni di lavoro, interviste, articoli e grafici che nessuno promuoverà sulla propria pagina?Infine è utile ricordare che un editore è, in primis, un imprenditore: se un barista vende 100 coca cola e giusto un paio di cedrate in un mese, per quale assurdo motivo dovrebbe riempirsi il magazzino di scatoloni della mitica Tassoni e comprarsi una misera cassa di lattine di coca cola? Mi pare superfluo dire che sarebbe una follia investire così tanto in qualcosa che non vendi.
Detto questo, sia chiaro che anch’io reputo necessaria una virata nelle linee editoriali italiane. Rivedere i prodotti e prendere ad esempio il modello inglese: da una parte i tabloid pieni zeppi di storie sanguinolente e di intrighi alla Beautiful, dall’altra i colossi che informano, ti piazzano inchieste che Ciao!, ti scrivono articoli puliti e descrittivi. Ed entrambi sopravvivono.Qui siamo a un bivio: possediamo una tradizione letteraria e linguistica unica, abbiamo fatto le meraviglie, ma ci siamo seduti, forse, sugli allori. Ogni cosa al suo posto, però. Tutti ora possono accedere a ogni tipo di informazione, spot, aggiornamenti flash in tempo reale, perché il potere e la bellezza della rete sta proprio in questo. Il compito del giornalismo SU CARTA, ad oggi, è quello di approfondire, fare luce su determinati argomenti, porre domande per dar vita a riflessioni. Il suo compito è anche quello di spiegare ciò che molto spesso sembra inaccessibile. La carta deve essere sfruttata così, perché sappiamo benissimo che gli schermi, ormai, battono le rotative sul tempo.Ma se sembra così facile definire gli obiettivi del giornalismo cartaceo, un po’ più complicata è la rieducazione informativa. Perché un editore può rischiare di mettere in campo un prodotto di approfondimento, ma sarebbe altrettanto utile che i lettori si prestino ad assorbire tale novità. In poche parole: finchè noi siamo i primi a leggere (ma soprattutto, ad ANDARE A CERCARE) futilità, non possiamo aspettarci che ci venga offerto qualcosa di diverso.In extremis, mi preme far presente che coloro che stanno dietro gli articoli dei quotidiani non sono per forza dei paraculi. Quelli che mi rivolgono le suddette domande-accuse, infatti, non faticano a dire che se il giornalismo è così è perché non c’è più etica e professionalità. Forse, ognuno dovrebbe fare i conti con se stesso prima di tutto, perché la domanda più spontanea da farsi è: ma io, quando apro un quotidiano, cosa cerco? E soprattutto, su quali articoli mi soffermo?
L’informazione non potrà mai cambiare se alla lettura c’è un disinteressato.

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