Dopo quasi due giorni di combattimenti in territorio macedone, nei pressi del confine con Serbia e Kosovo, il bilancio delle vittime è salito a 22 morti, 8 tra le forze di sicurezza macedoni e 14 tra i membri di un gruppo armato albanese; il ministero degli Interni di Skopje non ha però escluso la presenza di vittime tra i civili residenti nella zona, soprattutto nella città di Kumanovo, centro delle violenze.
I dati sono stati confermati dal portavoce della polizia macedone, Ivo Kotevski, il quale ha parlato, oltre che degli 8 morti, di altri 37 agenti feriti, mentre i 14 cadaveri apparterrebbero a membri di quello che ha definito “gruppo terrorista composto da circa 40 persone, ben addestrate, di cittadinanza kosovara, albanese e macedone”.
Questo gruppo, che nelle sue dichiarazioni dice di rifarsi all’Uck, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, il quale condusse la guerra per l’indipendenza di Pristina contro le forze serbe negli anni novanta, ha affermato di essere intenzionato a formare uno stato indipendente, la “Repubblica di Iliria”, minacciando di scatenare una guerra in tutta la regione se Skopje non dovesse riconoscerla.
Il presidente Gjorge Ivanov ed il premier Nikola Gruevski hanno preso subito provvedimenti per contrastare quello che hanno definito “uno dei più pericolosi gruppi armati attivi nei Balcani”, richiamando tutte le forze politiche all’unità.
Questa escalation di tensione si è però scatenata in un momento particolarmente difficile per il governo di Gruevski, sottoposto a pressioni da ogni lato: sia dalle manifestazioni studentesche che, quasi ogni giorno, portano migliaia di giovani in piazza a Skopje, sia da parte dello scandalo intercettazioni scatenato dai socialdemocratici di Zaev, situazione politica che ha spinto diversi stati Ue a chiedere le dimissioni del primo ministro per creare un esecutivo di unità nazionale.
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