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Mafia: Giornata della memoria, intervista esclusiva a Giovanna Raiti “Incontro con Garozzo per capire da che parte sta”

Creato il 21 marzo 2014 da Giornalesiracusa

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Oggi Siracusa: ogni 21 marzo è il primo giorno di primavera e, dal 1996, ogni 21 marzo è la Giornata della Memoria e dell’Impegno per ricordare le vittime innocenti delle mafie di Libera associazioni, nomi e numeri contro le mafie.
La coincidenza della data non è una mera casualità, ma è dovuta all’intenzione di imparare dalla primavera a coltivare una speranza sempre rinnovata.
Molti dei familiari delle vittime hanno saputo trasformare il loro dolore in strumento concreto per un impegno radicato.
Fra questi c’è Giovanna Raiti, che è l’antimafia con l’argento vivo addosso!

Intervista esclusiva per GiornaleSiracusa.com

Cara Giovanna, dietro l’elenco delle vittime innocenti di tutte le mafie non ci sono solo nomi e numeri, ma anche volti e storie. Ci racconteresti brevemente i volti e le storie che ti toccano più da vicino?

La storia che mi riguarda in prima persona è quella della strage della Circonvallazione, l’attentato mafioso messo in atto il 16 giugno del 1982 sulla circonvallazione di Palermo. Era diretto contro il boss catanese Alfio Ferlito che veniva trasferito da Enna al carcere di Trapani.
I volti che voglio raccontare sono quattro: quello di Giuseppe Di Lavore, un ragazzo di 29 anni, autista della ditta privata che aveva in appalto il trasporto dei detenuti e che, quel giorno, lavorava in sostituzione del padre che era temporaneamente allettato per un male di stagione. Un altro volto è quello dell’appuntato Silvano Franzolin, 43 anni, sposato e padre di due figli. Poi quello del carabiniere scelto Luigi Di Barca che si era sposato da poco tempo, tanto che la moglie portava ancora in grembo il loro figlio che nascerà, poi, senza mai conoscere il padre. E, ancora, il volto del carabiniere Salvatore Raiti, un ragazzo di soli 19 anni, che è mio fratello.

In quanto familiare di vittima di mafia, come vivi il tuo lutto fra pubblico e privato?

Portare alla memoria pubblica quei volti e quelle storie è stata un’impresa.
Anche privatamente è stata dura perché le istituzioni si dimenticarono, prima, delle persone coinvolte nella strage e, poi, anche dei loro familiari. Io e i miei cari ci sentivamo come buttati dentro un fosso all’interno del quale dovevamo cavarcela da soli e quando qualcuno scivolava tutti tornavamo giù per andare a riprenderlo per poi ricominciare la risalita tutti insieme.
In quelle condizioni, ci si sente soltanto vittima di tutti, sia della mafia che dello Stato; non si accetta nulla, né interviste, né intitolazioni di scuole o nessun altro tipo di riconoscimento pubblico perché si ha il forte presentimento che, con quei gesti, qualcuno si voglia semplicemente lavare la faccia o abbia chissà quale altro doppio fine.
Erano stati dimenticati gli uomini dentro le divise.
E io non potevo permetterlo, perché dentro una di quelle divise c’era mio fratello.
Dovevo fare i conti con il mio privato e con la situazione della mia famiglia.
Da quel giorno, mia madre non ha più fatto un passo verso la vita sia in senso metaforico che in senso fisico: si è seduta su una sedia a rotelle e non si è più alzata; pensava continuamente al suo picciriddo dimenticato da tutti.
Ma io non potevo permettere che nessuno desse voce a mio fratello e che nessuno raccontasse la cruenta strage nella quale era stato ammazzato.

Cosa significa per te coniugare la memoria e l’impegno nella quotidianità?

Tanti anni fa, ho iniziato ad andare nelle scuole, ma ero arrabbiata e mi sentivo ancora soltanto vittima perché nessuno aveva protetto mio fratello e, poi, nessuno lo aveva più nemmeno ricordato. Ero piena di rabbia perché, innanzitutto, non avevo fatto pace con me stessa e non avevo imparato a declinare in nessuna forma il mio dolore. Quando mi chiedevano con chi fossi così arrabbiata veramente non lo sapevo nemmeno dire con esattezza, forse con me stessa, forse con le istituzioni e lo Stato, forse con il caso.
Mi ci è voluto un ventennio per metabolizzare.
Durante il mio percorso ho incontrato Libera, la rete di associazioni che mi ha fatto da culla.
Finalmente non mi sono più sentita sola, ho ricominciato a fidarmi delle altre persone e ho iniziato ad accettare quella mano tesa perché nei loro gesti e nelle loro intenzioni sapevo che non c’era alcun secondo fine.
Oggi continuo a testimoniare nelle scuole, ma in modo del tutto nuovo: lo faccio come atto di amore nei confronti della società. So che lo devo a mio fratello, a tutta la mia famiglia, al mio dolore e, poi, soprattutto lo devo ai giusti che sono terapia, quella stessa terapia che io spero di poter essere per i giovani che possano poi, a loro volta, esserlo per altri coetanei.
Oggi ho fatto pace con me stessa e anche con le istituzioni: non si può stare nel rancore a vita.
Finalmente riesco ad accogliere qualche carezza che mi arriva e le mani tese che mi aiutano ad andare avanti per confrontarmi con i ragazzi che, quotidiamente, incontro nelle scuole.
Proprio l’altro giorno, per strada, una ragazza mi ha riconosciuta nonostante fossero passati davvero tanti anni – circa una ventina – dalla mia testimonianza nella sua classe di scuola elementare. Adesso che sta per sposarsi, mi ha raccontato che quelle lacrime silenziose che le avevano rigato il viso, in effetti, le avevano scolpito anche la coscienza e che, negli anni, in alcuni momenti particolari hanno tuonato come una cannonata.
Il mio calendario è sempre ricco di appuntamenti per incontri di testimonianza nelle varie classi e scuole e io non so dire mai di no! Il messaggio che porto ai ragazzi è nudo e crudo, so che all’inizio magari fa un po’ male, ma so anche che poi rimane dentro di loro e magari si trasformerà, prima o poi, in impegno attivo che li condurrà a scegliere di stare dalla parte giusta.
Ho sempre la speranza che i ragazzi che incontro faranno memoria e impegno di questa testimonianza.

Oggi qual è il tuo rapporto con le istituzioni locali?

Le istituzioni talvolta sono compagni di strada.
Per esempio, penso al Prefetto Armando Gradone che ha avuto anche la premura di telefonarmi dopo la spiacevole vicenda della scuola intitolata a mio fratello; e penso anche al colonnello dei carabinieri Mauro Perdichizzi che non è uno di quelli tutti impettiti e non se ne sta comodamente seduto nel suo ufficio, ma si espone sempre e vuole toccare con mano la vita quotidiana sulla strada.
Per quanto riguarda il sindaco Giancarlo Garozzo, personalmente non lo conosco ma noi come coordinamento di Libera gli abbiamo chiesto un appuntamento per discutere soprattutto di una questione che ci sta molto a cuore e che è quella dei terreni confiscati alle mafie in attesa di essere assegnati alla collettività tramite delle cooperative sociali in grado di creare possibilità di lavoro. Ma, il primo cittadino non ci ha ancora ricevuti forse perché è un po’ debole il suo impegno su queste tematiche, mentre dovrebbe essere di primaria importanza anche alla luce del fatto che Siracusa sta morendo a causa della crisi, molti negozi chiudono e l’economia locale ne soffre.
E, allora, non si può rimanere a guardare dalle finestre di palazzo Vermexio!
Noi, comunque, continuiamo ad attendere e sperare in un appuntamento nel futuro il più prossimo possibile per capire che parte vuole scegliere di stare il nostro sindaco.

Quale immagine ti viene in mente quando fra tutti i 900 e più nomi delle vittime innocenti delle mafie, senti pronunciare quello di tuo fratello?

Tendo l’orecchio quando so che nell’elenco – che è in ordine cronologico – ci si avvicina al nome di mio fratello.
Non mi viene in mente nessuna immagine, ma il suono di quel nome e cognome ogni volta mi trafigge improvvisamente come una pugnalata, sento una fitta al petto e mi scopro sempre debole. E’ come se, ogni volta, mi rendessi nuovamente conto del fatto che davvero lui non c’è più. Però, da questo ricordo sempre nuovo, nasce per me la possibilità di conciliare memoria e impegno.
Volevo cogliere l’occasione anche per dire che il 25 marzo nei comuni di Floridia e Solarino ci sarà la Giornata della Memoria e dell’Impegno organizzata dal coordinamente provinciale di Siracusa. Come ogni anno, sarà una giornata in cui decidiamo di portare un messaggio a tutta la collettività rendendo pubblico anche il nome di tutte le vittime innocenti.
In realtà, il terreno va preparato nei 364 giorni precedenti per affrontare il ’21 marzo’ con consapevolezza. E noi qui ci proviamo andando tutto l’anno nelle scuole, incontrando i ragazzi anche nelle varie associazioni e in numerose altre iniziative sul territorio.
In questa giornata, però, è bello anche poter coinvolgere tutta la cittadinanza in quella che per noi è una missione quotidiana.
Per concludere, volevo dire che domani 22 marzo, si terrà a Latina la Giornata della Memoria e dell’Impegno a livello nazionale e io sono molto felice del fatto che l’Istituto Comprensivo Nino Martoglio abbia decido di adottare Salvatore Raiti come vittima. Abbiamo cercato di coinvolgere i ragazzi, non semplicemente con la preparazione di un cartellone arrangiato all’ultimo momento che li farebbe andare là allo sbaraglio, ma raccontando loro la storia in modo che la loro partecipazione sia quanto più possibile consapevole.


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