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Mamà, sbarcamu

Creato il 21 luglio 2014 da Abattoir

Si parla tanto di sbarchi in queste settimane. Normale amministrazione, in realtà, ma la percezione è quella di un’invasione senza fine.
Un’emorragia umana che viene fuori da una ferita mai rimarginata.
Il mare accoglie i suoi figli nelle profondità, mentre gli altri si tengono stretti in un delicato equilibrio: se cadi giù nessuno verrà a riprenderti.
Anni fa anche noi salpavamo per approdare nel porto sicuro di Ellis Island, in America.
Traversate di mesi per sfuggire alla miseria.
Questa poesia è dedicata a chi ha creduto in un sogno ed è partito. La dedico ai miei fratelli africani, ai miei antenati siciliani, con il loro carico di nostalgie, sofferenze e speranze.

 

Mamà, sbarcamu.
Ni spugghiaru tutti e ni talìano comu fussimu iaddine
Mamà, sbarcamu.
Lu pani cunzato finìu, ora n’attocca na cosa cavura ca un sapi di niente.
Mamà, sbarcamu.
Dicinu ca aiu i pirocchi, ma si avi un misi ca un mi lavo, macari puru i scrafagghi aiu ntesta.
Mamà, sbarcamu.
Mi dettiru un documento ma sbagliarono a scriverci u nome giusto.
Domenico Pecorella addivintò Domenico Perella.
Mamà, sbarcamu.
M’arricordo che ora astura nisceva l’ogghio nostro, verde e punciusu.
I nichi s’addivertono a cogghiri alivi n’terra?
Io quannu era nicu era la cosa ca mi piaceva chiossà.
Mamà, sbarcamu.
Semu in deci in una stanza, un gabinetto, i vestiti lordi e tutti spunnati.
Ci vulissiru i to manu d’oro, ca cusinu tutti cuosi, puru li pinsera.
Mamà, cusimi li pinsera, picchi si nun penso ma passo megghiu.
Mamà, sbarcamu.
Mamà, io arritorno, un ti prioccupari c’arritorno.


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