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Mammut nel 2011

Da Brunougolini
"Mammut" è il titolo di un romanzo su una fabbrica della pianura pontina raccontata con grande abilità da Antonio Pennacchi, operaio-scrittore, nonché fascio-comunista. Quella storia è servita a pretesto a Pietro Ichino, tempo fa, per scrivere che il protagonista di Pennacchi, Benassa, "riporta alla luce le radici di un modo vecchio di intendere e praticare il sindacalismo". 
Quando il leader sindacale "con un cenno faceva fermare come d'incanto tutti i reparti". Come dire che quel capopopolo che guida la lotta oggi assomiglia a Landini, il segretario Fiom. E che le lotte di oggi sono come quelle degli anni 70 ma non più valide perché tutto è cambiato e c'e la globalizzazione che obbliga sopratutto  i salariati a cambiar  registro. Un'epoca nuova, insomma, dove gli scioperi non servono a nulla, servono solo le comparsate televisive.
"Nell'era della globalizzazione, scrive Ichino, all'imprenditore che può andare a cercarsi la manodopera di livello medio-basso nei Paesi emergenti non ha più alcun senso rispondere con lo sciopero... Occorre un sindacato intelligenza collettiva dei lavoratori, capace di valutare i piani industriali piů innovativi...". Come non avveniva nel passato fatto di sola conflittualità permanente.
Le cose stanno proprio così? Io ho molti ricordi degli anni 70. Ma non tutti combaciano con quelli del professor Ichino.  Io i Benassa li ho incontrati semmai, più spesso negli anni 50, all'epoca delle commissioni interne. Negli anni settanta ho trovato tanti Cesare Così, il metalmeccanico Fiom che a Mirafiori studiava e sapeva quasi tutto sull'organizzazione del lavoro.   Conoscevo tanti consigli di fabbrica che non erano certo covi di estremisti dissennati. Conoscevo gente come Guido Rossa e molti affollavano le Conferenze di produzione volute dal Pci di Fernando Di Giulio, Gerardo Chiaromonte, Giorgio Napolitano. 
È stata, a me pare, una grande esperienza di democrazia e di partecipazione dove si lottava anche per il trentiniano "piano d'imprese" o per la sabattiniana "codeterminazione". E quel che manca oggi, semmai, è quella cultura diffusa, la voglia di essere protagonisti davvero, e prevale la logica della delega agli stati maggiori o del referendum come rito purificatorio e delegante esso stesso.
Non so, comunque, se Pennacchi nel suo volume volesse celebrare le idee, spesso acute, di Pietro Ichino. So però che nella prefazione al suo "Mammut" accenna al sindacato unitario del passato con un po' di amarezza: "Cgil, Cisl e Uil non si sarebbero mai sognati di andare a firmare un contratto o un accordo, ognuno per conto suo". E avverte "Prima Marchionne e i suoi compagni capiscono queste elementari cose, e meglio è per tutti. Non si può stravincere, non si può tirare la corda. Prima o poi la gente si incazza".  

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