Magazine Società

Mangiar bene può far male….

Creato il 19 gennaio 2011 da Zero39

Mangiar bene può far male….Segnalazione e nota a cura della Dott.ssa Olga Ines Luppino, Segretario Generale dell’Associazione e Co-coordinatrice della Sezione “Salute”.

Nasce da un buon intento ed è apparentemente un atteggiamento del tutto sano, ma se portato all’eccesso può trasformarsi in un disturbo abbastanza insidioso…stiamo parlando dell’ortoressia nervosa, dell’ossessione cioè, oggi sempre più comune, per la “qualità” dei cibi.

La British Dietetic Association ha recentemente lanciato un allarme su questo nuovo atteggiamento alimentare che pare aver già fatto qualche vittima: Kate Finn, americana, primo caso ufficiale di morte per ortoressia.

Cerchiamo di capire un po’ meglio di che problema si tratti.

In una società ormai vittima di continui messaggi da parte dei mass medi su “cosa faccia bene e cosa no”, su quali siano gli ultimi allarmi alimentari  dopo la “mucca pazza” e l’influenza “aviaria”,  sulle nuove possibilità di scelta garantite dai cibi biologici, l’ortoressia, fenomeno descritto per la prima volta nel 1997 dal dottor Steven Bratman, egli stesso ortoressico, è un atteggiamento alimentare che punta alla scelta di cibi “sani”, genuini, naturali.

Il soggetto ortoressico si preoccupa in maniera eccessiva della qualità dei cibi che mangia, dei rischi di contaminazione degli alimenti e della loro eventuale tossicità; per questo motivo dedica molto tempo all’attenta lettura delle etichette, porge estrema attenzione alle proprietà nutritive dei singoli cibi iperselezionandoli, si documenta sui vari prodotti scegliendo solo quelli ritenuti “sani”, o perchè biologici o perchè magari coltivati personalmente, segue ricette o modalità particolari di cottura in modo da non intaccare le proprietà nutritive del prodotto, esclude dalla propria dieta alimenti potenzialmente “tossici”, trattati ad esempio con pesticidi chimici o con additivi artificiali. L’ingerire cibi sani fa sì che il soggetto si senta leggero, pulito, “interiormente puro” e le regole alimentari, sempre più rigide, cominciano a diventare per lui un dovere, la cui trasgressione provoca malesseri fisici (nausea, vomito, mal di testa) e profondi sensi di colpa gestiti, nei casi più seri, mediante il ricorso a “punizioni” (vomito autoindotto, uso di lassativi).

Passo dopo passo l’ortoressico inizia ad instaurare un rapporto distorto con il cibo, adottando criteri di esclusione sempre più selettivi che restringono drasticamente la gamma di prodotti “accettati” e che possono causare gravi danni sul piano nutrizionale con conseguenze fisiche non da sottovalutare (squilibri elettrolitici, avitaminosi, osteoporosi, atrofie muscolari). Per ovvii motivi l’ortoressico finisce per isolarsi, consuma i suoi pasti in totale solitudine, allontana chi non ha le sue stesse abitudini alimentari ed evita situazioni sociali che comportano la condivisione di cibo (pause caffè, uscite a cena, aperitivi); nelle rare volte in cui esce porta spesso con sé i propri cibi oppure consuma solo acqua.

L’integralismo alimentare fa sì che poco per volta il soggetto con ortoressia sviluppi un senso di superiorità rispetto a chi non mangia “bene come lui” ed arrivi a considerare le sue regole e le sue scelte alimentari come le uniche giuste. Vale la pena dire che al di là dell’apparente esclusiva ricerca di cibi che possano aiutare a mantenersi in salute, dietro le scelte dell’ortoressico sono riscontrabili timori ipocondriaci e ansie legate al trascorrere del tempo ed al deteriorarsi del corpo, da lui gestite mediante rituali compulsivi che gli danno l’ “illusione di controllo” sulla propria salute.

Come intervenire dunque?

Appare fin troppo evidente la difficoltà diagnostica, se si considera il fatto che il confine tra normalità e patologia, in questo caso probabilmente molto più che in altri, è davvero sottile. Per quanto l’ortoressia non sia ancora una patologia ufficialmente riconosciuta in ambito psichiatrico e sia quindi assente dall’attuale edizione del DSM, un percorso di tipo psicologico può innanzitutto prendere in esame adeguatamente il singolo caso e verificare l’effettiva alterazione nel rapporto con il cibo; per piccoli passi poi il lavoro sulle emozioni alla base dell’ossessione “salutistica” e la ristrutturazione delle credenze disfunzionali del soggetto possono portarlo ad una maggiore flessibilità alimentare ed al recupero del “piacere di mangiare” che ha probabilmente perso nel corso del tempo.

Dott.ssa Olga Ines Luppino

RIPRODUZIONE RISERVATA


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :