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Mangiatori di Morte di M. Crichton

Creato il 13 ottobre 2010 da Elgraeco @HellGraeco

Mangiatori di Morte (1976) di Michael Crichton è introdotto da due antichi proverbi che io giudico meravigliosi:

“Non dir bene del giorno finché non è venuta sera; di una donna finché non è stata bruciata; di una spada finché non è stata provata; di una ragazza finché non si è sposata; del ghiaccio finché non è stato attraversato, della birra finché non è stata bevuta”

proverbio vichingo

e

“Il male è di antica data”

proverbio arabo

Che siano essi testimonianza di saggezza e insieme di una visione particolarmente cinica dell’esistenza, non so dirvi. Allo stesso modo, non mi interessa come possano essere percepiti, soprattutto il primo, oggi. Se risultino offensivi, discriminatori o quant’altro. Non mi importa. Resta il fatto che queste semplici frasi riescono a evocare miti e leggende dei secoli bui. E tanto basta.
Ne aggiungerei un altro:

“All work and no play makes Jack a dull boy”

proverbio inglese

Quest’ultimo è arcinoto.
Il fatto è che il mattino non ha, per quel che mi riguarda, sempre l’oro in bocca. E che le polemiche di questi giorni, sacrosante per carità, portate avanti col mio e con gli altri rispettivi blog, me le sono godute, è vero, ma mi hanno anche lasciato un senso di insoddisfazione.
Io sono Jack. E ora ho bisogno di divertirmi.
“Mangiatori di Morte” è un romanzo che mi ha sempre divertito, come quei proverbi e come il film che da esso è tratto.
Non sono un ammiratore di Michael Crichton (1942-2008). Alla luce delle citate polemiche non so neppure se sia stato considerato uno scrittorE con la E maiuscola o un perdigiorno. Forse, nel suo caso, il metro di giudizio sono i milioni di dollari che ha ricavato dai suoi scritti. Tanti e tali da fare un baffo al signor Patrick Bateman.
Milioni di dollari = scrittore con le palle. In barba agli argomenti leggeri che possa aver trattato. Io non sono tra quelli che condividono questa visione semplicistica, ma non è fondamentale. Non sarà mai stato da premio Nobél, questo no. Ormai è chiaro. Ma è godibile in ogni caso.
Di lui ho letto, oltre a quello in esame, solo “Sfera”. Libri stilisticamente diversi che hanno, però, una costante, sono superiori ai rispettivi adattamenti per il grande schermo.
Crichton patisce, come tanti altri, la trasposizione cinematografica.

***

Mangiatori di Morte di M. Crichton

“Mangiatori di Morte” prende le mosse da un vero personaggio storico, il diplomatico arabo Ahmad ibn Fadlan e dal suo vero manoscritto, datato 922 d.C., nel quale egli narra del suo viaggio, occorso nel 920-921 d.C., verso i territori dei Bulgari del Volga sotto il regno di Almış, loro sovrano, per conto del califfo di Baghdad al-Muqtadir della dinastia Abbaside.
Nella regione dei laghi del Volga, Ahmad ibn Fadlan potè assistere da osservatore a scambi commerciali e culturali tra i bulgari e popolazioni di origine normanna.
Di fatto, la sua cronaca, della quale non è sopravvissuto nessun manoscritto originale, ma solo versioni posteriori rimaneggiate e frammentarie, resta un’importante testimonianza degli usi e dei costumi delle popolazioni scandinave antecedente l’anno Mille.
Da questi eventi e da una scommessa fatta con un suo amico, circa l’usufruibilità contemporanea del “Beowulf” [negata dalla controparte], se sottoposto a un ammodernamento del testo, Crichton trasse lo spunto per redigere una sorta di espansione del manoscritto dell’arabo ibn Fadlan immaginando il viaggio di quest’ultimo nel lontano nord e fornendo, parimenti, un affresco ben documentato della civiltà normanna coeva.
Come tutti gli pseudobiblia, la presunta veridicità di questa parte del manoscritto dell’arabo, denominato “Manoscritto di Tusi”, è supportata da richiami bibliografici, veri o presunti, da interventi del curatore e adattatore del testo, si presume lo stesso Crichton, atti a spiegare di volta in volta e a giustificare la preferenza per l’una o l’altra traduzione, per l’utilizzo di un particolare termine, piuttosto anacronistico, in luogo di un altro più adatto al contesto storico.

Mangiatori di Morte di M. Crichton

Accorgimenti che, uniti alla reale documentazione circa la civiltà nordica, non hanno mancato di suscitare sospetti, leggende e quant’altro è solito accadere in casi come questi.
Crichton si è poi divertito a gettare altro fumo negli occhi segnalando nella bibliografia, tra le fonti consultate, il “Necronomicon”, datato 1934, a cura di H.P. Lovecraft, di Abdul Alhazred, l’arabo pazzo.
Sia come sia, questo velo di finzione riesce nel tentativo di rendere intrigante un romanzo dalla trama classica, il viaggio in terra straniera, la formazione del protagonista, lo scambio tra culture aliene che, se scritto in forma consueta, da romanzo d’avventura, non sarebbe risultato altrettanto avvincente.
In sostanza, la parvenza di storicità, supportata dalla particolare scelta stilistica che ricalca lo stile e gli errori, soprattutto le ripetizioni, tipici di una cronaca medievale, dona al romanzo quell’aura fiabesco-leggendaria che ne ha decretato il successo.

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[contiene anticipazioni]

Ahmad ibn Fadlan è così protagonista e testimone degli eventi sanguinosi che vedono impegnati Buliwyf, un capo nordico, e undici dei suoi guerrieri, al servizio di Re Rothgar, nella lotta mortale contro i Wendol, una popolazione primitiva e selvaggia sita nell’entroterra scandinavo occasionalmente dedita al saccheggio e al massacro indiscriminato dei contadini e che, negli ultimi tempi, tramite incursioni sempre più cruente è giunta a minacciare direttamente la dimora del Re.
L’idea [non condivisa nel film] alla base è quella che i Wendol siano Neanderthal sopravvissuti all’estinzione di circa 35000 anni fa e vissuti indisturbati sino a quel tempo perseguendo propri culti tribali primitivi incentrati sulla fertilità, incarnata dalla figura femminile prosperosa, rappresentata incessantemente attraverso statue di ogni misura, sul cannibalismo, praticato per mero nutrimento, ma anche per assimilare la forza e le virtù dei propri avversari mangiandone, letteralmente, l’essenza e strutturati secondo un modello sociale matriarcale avendo come leader una madre, spesso la più anziana e saggia della comunità, alla quale, solitamente, venivano riconosciute doti sovrannaturali e/o magiche.

Mangiatori di Morte di M. Crichton

Ibn Fadlan è la voce, gli occhi e a un certo livello superficiale la coscienza religiosa del testo che, fondante sulla dottrina islamica, si dedica alla descrizione della barbara civiltà nordica comparandola con la propria senza pregiudizio.
Il ritratto di Buliwyf, l’eroe protagonista e soprattutto di Herger, il normanno che sa parlare latino e che introduce Ahmad alla comprensione degli eventi è sorprendentemente oggettivo e estremamente folkloristico. I normanni sono un popolo sporco, che cura poco l’igiene e per nulla dotato di buone maniere, dedito a soddisfare in qualunque momento, che non sia la battaglia, i propri impulsi primari, cibo e sesso, estremamente superstizioso e che vive, letteralmente, per combattere.
Ossessionati dalla guerra e dagli scontri fisici a tal punto da immaginarsi un aldilà, il Valhalla, fatto di battaglie quotidiane, dall’alba al tramonto, quando i guerrieri caduti risorgono e insieme a quelli vittoriosi si recano nella grande sala per festeggiare fino all’alba della mattina successiva, per poi ricominciare a combattere, e così via per tutta l’eternità.

***

Mangiatori di Morte di M. Crichton

Testi come “Mangiatori di Morte”, per la loro stessa natura, non dovrebbero prestarsi a riletture atte a stabilire la presenza di sottotesti più o meno velati. Non credo fosse intenzione di Crichton una critica implicita dell’Islam, visto che la cultura nordica è ormai verità storica più che attualità, di contro alla contemporaneità della prima.
Particolare, forse intenzionale, forse contenente una critica, è la scelta di mostrare un Ahmad ibn Fadlan, in chiusura di racconto, particolarmente sensibile al processo di acculturazione. Sempre più, con lo scorrere delle pagine, vediamo infatti il narratore coinvolto in quegli stessi rituali e abitudini che all’inizio egli riteneva barbarici, accoppiarsi con le schiave, bere idromele fino allo stordimento, condividere una visione fatalista della propria esistenza. Sempre meno egli ricorre alla preghiera o alle scuse verso Allah per le mancanze di fede alle quali egli è costretto dalle circostanze, fino a che non partecipa egli stesso, da esecutore, alla complicata e suggestiva cerimonia funebre in onore di Buliwyf, caduto in battaglia contro i Wendol, dove lo vediamo congiungersi carnalmente, secondo tradizione, con la ragazza che avrebbe sacrificato la vita per viaggiare con il proprio padrone Buliwyf nell’aldilà, e addirittura toglierle la vita, insieme a Herger, strozzandola con l’ausilio di robuste corde.
Non credo sia una critica implicita, ma semplice gestione [sapiente] del racconto. Proprio a causa di questa mutazione nella percezione di Ahmad ibn Fadlan la narrazione riesce godibile e appassionante. Scopo, forse, del libro, è stato sì vincere una scommessa, rendere avvincente un testo scritto alla maniera antica, ma, alla fin fine, importa davvero, lo scopo?. Regole delle scrittura tutte, o per la maggior parte, disattese, ma con consapevolezza. Difficile definire questo romanzo “il più inquietante di Crichton”, com’è dichiarato nelle frasi “da copertina”. Per una volta, invece, un tentativo di narrazione non banale e quel che più conta, coinvolgente.

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