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Quando le corporazioni si mobilitano in difesa dei propri privilegi, d’istinto mi schiero in favore di chi li ha messi in discussione, chiunque sia, senza star troppo a sceverare sulla ratio che lo anima, anzi, talvolta mi sorprendo addirittura ad incitarlo come se lui stesse sul ring e io di sotto: «Daje! – urlo in cuor mio – Faje usci’ er sangue dalle orecchie!». L’istinto, tuttavia, non mi fa perdere del tutto il comprendonio, sicché, dinanzi alla notizia che la Rai scende in sciopero per gli annunciati tagli che il Governo pare intenzionato a infliggerle, mi chiedo innanzitutto: è una corporazione, la Rai?Direi che non lo sia. Corporazione sarà quella dei tassisti, dinanzi alla quale questo Governo si è calato le braghe, come d’altronde in altre occasioni hanno fatto anche quelli precedenti. In quanto ai privilegi che andrebbero tagliati, in questo caso parrebbe assommino a 150 milioni di euro: una bazzecola se comparata a tutto quello che ci costano i privilegi accordati alla corporazione dei preti, che forse non sarà corporazione in senso stretto, ma in senso lato pure troppo.
Ma la Rai? Non direi. Corporazione sarà quella degli operatori nel campo dell’informazione e dell’intrattenimento televisivi, mentre la Rai ne incardina solo una fetta. E ancora: nel toglierle quei 150 milioni di euro le si toglie un privilegio? Si tratta di un’azienda pubblica, dunque direi che quanto le si è dato finora fosse quello che serviva per mandare avanti il carrozzone, troppo o poco che fosse. Direi, quindi, che i tagli annunciati dal Governo, più un «basta con la Rai corporazione», come titolava giorni fa Il Foglio, siano poco più d’una mezza scorreggina di spending review. Senza dubbio necessaria, visti gli sperperi che praticamente tutti imputano alla tv pubblica, tanto più se a fare sacrifici sono già in tanti.Tanti ma non tutti, a dire il vero, perché i partiti, per esempio, continuano a ricevere rimborsi elettorali, e i giornali continuano a intascare finanziamenti dallo Stato, e le sagre del caciocavallo continuano ad essere possibili all’ombra di questo o quel campanilesolo grazie a una generosa pioggerellina di denaro pubblico. Insomma, sarà un pensiero malizioso, e speriamo che Dio ci chiuda un occhio sopra, ma che alla Rai si voglia far pagare qualche sgarro, che si intenda fare un favore alla concorrenza, il sospetto viene. Non si ha neanche il tempo di scacciarlo perché sconveniente, tuttavia, che l’ineffabile Presidente del Consiglio dice: «Se avessero indetto lo sciopero prima del voto, invece del 40,8 per cento avrei preso il 42,8»Mica è per fare un piacere a Mediaset, come insinuano a Viale Mazzini. Mica è per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, come pensa qualche coda di paglia. No, si tratta dell’ennesima furbata promozionale: mettere all’asta due auto blu per far credere di aver lasciato a piedi la casta, dare una mancia da 80 euro a qualche milione di statali per poter dire che le tasse scendono, sparare le solite palle da ghepensimì ma con supporto di slides perché gli annunci sembrino anticipi. Se avessero indetto lo sciopero prima del voto,l’ennesima trovata per atteggiarsi a inesorabile nemico delle corporazioni avrebbe fatto tutt’altro effetto, mannaggia.Perché, diciamocela tutta, la Rai, così com’è, è un insulto alla povera gente che annaspa nei gorghi della crisi economica. Quei fatui varietà mangiasoldi, quello sconcio del gioco dei pacchi che dà via milioni di euro a dei perfetti coglioni sorteggiati tra gli abbonati al canone... Mica la serietà di programmi come Amici della De Filippi, mica i soldi sudati a La Ruota della Fortuna...
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