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Manowar – “Into Glory Ride”

Creato il 01 luglio 2013 da Giacomo @giacomogbianco

Into Glory Ride, 1983Into Glory Ride è il secondo lavoro dei Manowar ed uscì nel luglio 1983. Dopo alcune vicende che portano alla defezione di Donnie Hamzik dal ruolo di batterista, i Manowar, destreggiandosi tra molteplici problemi, trovano subito un grande rimpiazzo con Scott Columbus, baffuto operaio metalmeccanico alle prime esperienze con un gruppo professionista. Scott tuttavia si presenta con le giuste credenziali, con una discreta tecnica di partenza, ma anche con tanta potenza in più (grazie anche ad una produzione migliore del disco precedente).

La prima traccia, Warlord, riprende i canoni heavy metal del primo album, ma rappresenterà l’unica eccezione nel sound dell’album – e dopo capirete il perché. Il brano apripista (dopo la simpatica introduzione, recitata dallo stesso Columbus, coadiuvato da Adams) parte con un ritmo incalzante e diretto, in cui si nota subito la batteria, in rilievo rispetto agli altri strumenti (il charleston copre quasi chitarra e basso, che qui sono maggiormente bilanciati rispetto a Battle Hymns). Warlord è un brano dinamico, energico e pieno di carica metal: il nuovo drummer Scott Columbus è un musicista diretto, che predilige un drumming più lineare di quello di Hamzik, ma anche decisamente più potente. Il secondo brano è uno dei capolavori dell’album, ma anche della loro discografia: Secret of Steel. E qua avviene la svolta. D’ora in poi l’album sarà solo più epic metal allo stato puro, dall’incedere perlopiù lento e solenne. Secret of Steel si apre con un verso dominato dal basso di DeMaio. Il verso cantato da Adams è molto solenne, dall’incedere quasi doomish, molto evocativo nella sua descrizione. Bellissimo il verso che precede il ritornello, anch’esso molto epico e maestoso. Il brano, comunque, rimane permeato da un senso di oscurità, malinconia e magia, che deflagra nel bellissimo assolo di Ross the Boss, per poi chiudersi in un epico finale, dove la voce allora cristallina di Adams raggiunge le “alte cime” da lui decantate nel testo. Il terzo brano è Gloves of Metal, che assieme al precedente ed al successivo costituisce un trittico eccezionale. Questa, dei tre, è la canzone più diretta. La chitarra, per una volta, è a tracciare il riff portante della canzone. Per il resto basta leggere il verso del ritornello “We wear leather, we wear spikes, we rule the night“, un altro manifesto di quello che sono i Manowar. Anche se le tematiche non sono fantasy in questa canzone, l’impianto rimane ben saldo ed ancorato agli stilemi dell’epic metal: lentezza dei riff sempre granitici, stacchi imperiosi, oltre che un tapping nell’assolo davvero ottantiano e fantastico. Il successivo brano è l’eccellente Gates of Valhalla, introdotto da un egregio, quanto evocativo arpeggio al basso a 8 corde di DeMaio. Dopo un primo momento di solo basso, timidamente s’introduce un tappeto di tastiere che esalta il cantato di Adams, molto particolare e melodico. Dopo un inizio in sorniona, batteria e chitarra irrompono prepotentemente. Il riffing si fa tanto lineare quanto metallico. La doppia cassa sorregge le plettrate di basso e chitarra, con tanto di stacchi sui tom che suonano come veri e propri tamburi dei vichinghi. Il testo è infatti ispirato alla mitologia norrena: inutile sottolineare quanto sia stupendo. Basta leggere questa parte:

Death’s chilling wind blows through my hair
I’m now immortal, I am there
I take my place by Odin’s side
Eternal army in the sky.

La parte centrale si fa più lenta, con il ritornello che riprende il cantato iniziale. Ross the Boss si prodiga in un altro assolo fiammante, ma è la chiusura ad introdurre una soluzione davvero buona, sempre più che mai epicheggiante. La quinta traccia è Hatred, il brano più particolare all’interno del lotto. La canzone è quella meno facilmente assimilabile tra tutte le altre, e questo va ricordato. Luciferina è l’atmosfera che si respira sin dall’inizio canzone: la chitarra compie dei voli dissonanti e lancinati, mentre Adams parla del cuore del protagonista, attraverso cui fluisce un sangue nero, rendendolo pieno di odio. Il ritornello è vagamente orientaleggiante, mentre un particolare stacco melodico spezza il ritmo, alternando versi marcati a parti decisamente più sognanti. L’assolo è decisamente votato al noise, per la melodia qua non c’è proprio spazio: pure Adams si sgola come un dannato. La sesta traccia è Revelation (Death’s Angel), introdotta dai tom di Columbus, prima che chitarra e basso incomincino una cavalcata devastante. La canzone è certamente uno degli episodi più riusciti dell’album, possedendo certe soluzioni molto ben architettate (come la parte che va sempre più accelerando). Il ritornello è melodico, ma non manca mai di potenza. Le tematiche non sono più nordiche ma parlano dell’apocalisse, evidenziando un nota “satanica” che si andrà perdendo nei Manowar che verranno. Chiude l’album March for Revenge (By the Soldiers of Death), canzone che ricalca molto la struttura di Battle Hymn, quasi come se i Manowar volessero ritentare la sorte del precedente album. I tamburi di guerra già suonano che irrompe un verso che ricorda molto Battle Hymn, specie nella ritmica del basso. Un po’ corto il ritornello che però ha il pregio di non spezzare il pathos che, leggendo pure il testo, si era venuto a creare fin dai primi versi. L’intermezzo è il solito con il basso a 8 corde, solenne ed epico, e segue la caratteristica struttura delle suite epiche dei Manowar. Molto bello Adams che canta:

Your sacrifice so great, rest now take thy sleep
For you shall not awake, let revenge be sweet.
For when we march, your sword rides with me.
For when we march, your sword rides with me.
For when we march, your sword rides with me.
For when we march, your sword rides with me.

La song si chiude poi dopo un assolo curato, con una grande escalation di emozioni, accompagnata dal crescendo dell’intera band, per poi collassare in un classico – e caotico – finale alla Manowar.

Per la critica si tratta di un album mediamente bello, ma per i fan si tratta dell’album più bello dell’intera discografia del combo di Auburn. La critica in questo caso è davvero inclemente, perché con molta probabilità Into Glory Ride si colloca davvero tra quanto di meglio prodotto dalla band. Non so dirvi se si tratta del migliore disco, ma di certo qua di fillers non ce ne sono affatto. Niente assoli di basso, niente fronzoli vari. I brani sono solo 7, per un minutaggio non esagerato, ma sono tutti ottimi, che mantengono altissima la caratura dell’album.

Consigliatissimo come uno dei primi album epic metal della storia.

Tracklist:

  1. Warlord – 4:13
  2. Secret of Steel – 5:48
  3. Gloves of Metal – 5:23
  4. Gates of Valhalla – 5:23
  5. Hatred – 7:11
  6. Revelation (Death’s Angel) – 6:28
  7. March for Revenge (By the Soldiers of Death) – 8:24

Line Up:

Joey DeMaio – 4 strings, 8 strings bass
Eric Adams – vocals
Ross the Boss – guitars, keyboards
Scott Columbus – drums

Voto:

5-stelle



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