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Marchionne e i sindacati ala resa dei conti

Creato il 19 ottobre 2010 da Madyur
MARCHIONNE E I SINDACATI ALA RESA DEI CONTI
Il 16 settembre Marchionne è stato accolto nella sede torinese della casa automobilistica dai picchietti dei sindacati. Quel giorno era importante per lui e per la società: dividere in due un gruppo industriale con 111 anni di storia alle spalle e cambiare per sempre l’attività dell’azienda.
Il jet aziendale lo aveva portato in Italia dal Brasile , dove la Fiat gestisce uno dei più grandi impianti di produzione di auto del mondo. IL suo intervento all’assemblea straordinaria degli azionisti della Fiat è stato interrotto più volte da alcuni lavoratori che continuavano a disturbare l’incontro.
La ragione della rabbia dei sindacati è anche la grande scommessa di Marchionne. Nel tentativo di ristrutturare le attività della Fiat in Italia , ha promesso di investire 20 miliardi di euro per raddoppiare la produzione di auto nel paese entro il 2014. In cambio chiede agli operai italiani di adottare orari flessibili simili a quelli statunitensi. Se la proposta sarà rifiutata Marchionne sposta la produzione della Fiat in Serbia o in Polonia , dove la manodopera costa meno.
La resa dei conti tra Marchionne e i sindacati italiani è seguita con interesse anche all’estero, perché s’inserisce su un dibattito più ampio su come ripristinare la competitività dell’industria europea. L’Italia sarà un banco di prova , in un momento in cui i sindacati di Gran Bretagna e la Francia si preparano a sfidare le misure di austerità imposte dallo stato e dalle aziende.
Finora tre sindacati hanno accettato condizioni di lavoro più flessibili all’interno dello stabilimento di Pomigliano d’Arco. Ma la Fiom resiste. Maurizio Landini , segretario della Fiom, sostine che la Fiat sta cercando di dividere il movimento sindacale e di indebolire il sistema della contrattazione collettiva tra i lavoratori , governo e Confindustria in vigore dal 1993.
“Non possiamo diventare tutti polacchi in termini di salari” dice Camusso “Marchionne è innamorato del modello americano, con un sindacato unico. Ma l’Italia è diversa”.
Marchionne tempo fa a Detroit disse “La crisi finanziaria non è la causa dei problemi che abbiamo di fronte , semmai li ha smascherati costringendoci a smettere di fingere”.
Negli Stati Uniti la crisi economica ha portato alla più grande ristrutturazione degli ultimi decenni delle tre case automobilistiche di Detroit, che hanno chiuso decine di impianti e tagliato migliaia di posti di lavoro. Il sindacato Uaw ha fatto concessioni storiche per mantenere in vita Chrysler, Gm e Ford, accettando salari più bassi per i nuovi assunti. Nell’acquisizione della Chrysler, Marchionne è riuscito ad ottenere la rinuncia agli scioperi fino al 2015.
In Europa i piani di rottamazione hanno tenuto in galla le case automobilistiche senza ristrutturazioni radicali.
Ad aprile Marchionne ha annunciato un piano strategico da realizzare in cinque anni. Il primo punto prevede la scissione della società in due parti. Secondo l’ad la Fiat italiana deve diventare più efficiente se vuole continuare a produrre veicoli che l’impresa può ottenere a prezzi bassi altrove. Il settore auto della Fiat ottiene grande profitto in Brasile dove è leader di mercato, ma perde punti in Europa.
I sindacati italiani giustamente rifiutano il confronto con la Polonia e il Brasile. Secondo la Fiom le proposte della Fiat sul diritto dello sciopero e della malattia violano la legge e la costituzione. A luglio la Fiat licenzia tre operai con l’accusa di aver sabotato la linea di produzione a Melfi. Un tribunale ha ordinato la Fiat di reintegrarli. L’azienda ha presentato ricorso. Gli operai sono stati costretti a rimanere lontani dalla produzione.
Mentre la rabbia dei sindacati ha richiamato i titoli dei giornali , alcuni imprenditori lodano Marchionne per aver stimolato le imprese ad affrontare un modo nuovo le relazioni industriali in un momento di difficoltà. “Ha aiutato la Confindustria e l’opinione pubblica a capire che il mondo non sta ad aspettare l’Italia” ha scritto Dario di Vico al Corriere della Sera.

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