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Marchisio sul mercato  generazione in vendita

Creato il 17 giugno 2013 da Mbrignolo

Claudio-MarchisioL’OPINIONE. Marchisio proprio no.
Nei giorni in cui della separazione fra il “Principino” (così soprannominato dai tifosi della Juventus) e la Vecchia Signora si parla con insistenza, all’indomani di una prestazione, quella contro il Messico, tutt’altro che degna di nota da parte del numero 8 azzurro, la speranza di una sua permanenza in maglia bianconera ma, soprattutto, nel campionato italiano continua a essere ben salda nell’animo di chi vi scrive.

Potrei addurre a motivi tattici, con la Juve che, con uno straordinario Andrea Pirlo giunto agli ultimissimi anni della sua splendida carriera, ha già in casa il centrocampo del futuro formato da Vidal, Pogba e lo stesso Marchisio. Potremmo farne una questione anagrafica: nato nel gennaio del 1986, Claudio Marchisio ha solamente 27 anni  e ancora molte stagioni davanti a sé.

Ciò che però è necessario sottolineare è l’unicità della figura di Marchisio all’interno di un sistema quasi del tutto privo di figure educative in un calcio sempre più falcidiato da episodi che vanno nella direzione opposta. In questo scenario, il centrocampista torinese riveste il ruolo di ultimo baluardo di una generazione di icone positive, oltre a inserirsi come anello di congiunzione fra due epoche di calciatori mai così lontane.

Basta scorrere i nomi della formazione scesa in campo ieri sera contro il Messico. Buffon, Barzagli, Pirlo e De Rossi appartengono alla generazione dei “campioni del mondo 2006”, ancora sulla cresta dell’onda ma un pochino più lontani dai giovani che di quell’estate poco ricordano. A proposito di giovani, Balotelli incarna tutto, sì, fuorché valori positivi da trasmettere alle nuove leve. Il “baby” De Sciglio rappresenta il vero volto buono sul quale poggiare il meglio delle nostre aspettative per il futuro, ma ancora – giustamente – paga l’inesperienza e l’età, impossibile attribuirgli responsabilità più grandi di lui. C’è quindi quella “generazione di mezzo” formata da gente nata tra l’84 e l’88 nella quale si inseriscono i Chiellini, che è troppo poco tecnico per attrarre la fantasia dei giovani, Montolivo, poco personaggio e poche vittorie alle spalle, e, appunto, Marchisio, l’erede di Alessandro Del Piero non solo per militanza, ma anche e soprattutto per stile.
I colpi, a Marchisio, non sono mai mancati. La storia è dalla sua parte con una carriera che, a 27 anni, lo proietta già nel novero delle bandiere, in un momento in cui le bandiere le stanno ammainando un po’ tutti (vedasi la fine della love story fra Ambrosini e il Milan consumatasi di recente).

Dicono che per arrivare al top-player la Juve debba sacrificare Marchisio, guadagnando quei circa 28 milioni di euro immediatamente reinvestibili nel mercato. Ma, mi chiedo, qual è il valore economico di qualità come serietà, umiltà, attaccamento alla maglia, buone maniere, talento, storia? E’ vero, nel calcio attuale tutto questo minestrone di buoni sentimenti è spesso trascurato, messo alla mercè del russo o dell’arabo di turno che oramai tutto ingoia inducendo i tifosi a tradurre la propria passione in una forma, crudele, di adeguamento alle questioni di budget; ma non saranno, ne sono convinto, quei 30 milioni a fare la differenza per la Juventus, quantomeno non a medio-lungo termine. Può arrivare Jovetic? Sì, un bel giocatore che per essere ceduto ha consegnato al popolo fiorentino mezza stagione di prove inconsistenti condite da dichiarazioni dettate dal procuratore, altamente irriconoscenti verso chi l’ha coccolato lanciandolo nel grande calcio. Bella roba.
Se da qualche parte in Italia dobbiamo ripartire, in attesa di leggi sugli stadi, fair play finanziari, avvento di nuovi capitali stranieri, beh, facciamolo da chi siamo stati bravi a crescere in casa nostra e che oggi può  farci guardare al futuro con un pizzico di ottimismo in più, oltre che di umanità, questa oramai strana sconosciuta…
Dopo una prestazione da 5 in pagella (in un ruolo non suo), dopo che in tanti lo stanno etichettando come bollito, da queste righe il mio urlo è atto a ribaltare l’inerzia: Marchisio non si vende.
Prima, quantomeno, trovatemi un simbolo italiano al quale potermi aggrappare.


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