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Marco Bellini: Tocca a voi l’ascolto

Da Narcyso

Introduzione all’ultimo libro di Marco Bellini, LA DISTANZA DELLE ORME, La Vita Felice 2015

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Tocca a voi l’ascolto

Rileggendo i precedenti libri di Marco Bellini, si ha l’impressione di una scarnificazione stilistica ottenuta per semplificazioni successive, per approfondimento di una poetica vicina alla cosa, al dato bruciante e umanissimo dell’esperienza.
Assai bene, del resto, si adatta il termine “scarnificazione” a questo ultimo libro, sicuramente il più maturo, sia per la suggestione del tema trattato – Hai una carne fatta trasparente / il ricordo sostiene – sia per la ricerca di una maggiore essenzialità della lingua, capace di scartare il dato spicciolo della cronaca, e di adottare, invece, una riflessione più alta sul mistero della vita.
Qui la cronaca è trattata nella forma dell’indagine antropologica – il reperto è “scarnificato” della sua storia, appunto, e bloccato nell’eternità dell’ attimo – .
È il caso, per esempio, delle orme ritrovate a Laetoli e giunte fino a noi come prova dell’esistenza di antenati biologicamente assai prossimi, occasione di poetica e di interrogazione sulle ragioni dell’umano.
Le tracce della nostra umanità risultano così innestate nelle stratificazioni delle cavità naturali, come a voler accomunare tutte le cose a una sola interrogazione.
Il non vivente si fa culla del vivente – si vedano, per esempio, i “bambini apocrifi” sepolti nella cavità di un albero, o l’enfant sauvage catturato nella foresta che lo custodisce – ma si fa anche geografia del primitivo e del possibile: la meteorite caduta ad Albareto, l’esopianeta che potrebbe accogliere la vita, la faglia di Thingveller dove i vichinghi si riunivano per discutere delle loro leggi.
Sembra proprio di cogliere in quest’ultima immagine, il passaggio da una condizione di “bruta naturalezza”, a una di condizionata e regolare communio, ma sempre nello sfondo di una memoria tutelare, quella del fuoco primitivo e del sacrificio dovuto agli dei dell’origine.
L’anima mundi evocata in questo libro, dunque, non è l’anima eterea e sfuggente che si libera del corpo, ma quella che si nutre delle sostanze naturali, del loro soffio e della loro durezza. È l’anima dell’ancora possibile che non si è staccata del tutto dai corpi ma che continua a mandare messaggi da decriptare come una vecchia sonda perduta nello spazio.
I testi di Marco Bellini si nutrono di un sostanziale ottimismo verso la vita degli uomini e delle loro ragioni, di un universale spiritualismo che impregna ogni cosa della vita e della non vita; eppure la risposta è solo un’eco di ciò che fu la vita, vibrante per un attimo come gli epigrammi delle lapidi greche del quinto secolo, i ritratti delle mummie del Fayum, il coro dei morti di Federico Ruysch, le voci dei trapassati nel cimitero di Spoon River.
Queste presenze decalcificate da un lontano passato, ci parlano dal loro tempo ma potrebbero starsene mute, silenziose come la roccia che li abita; sono evocate per scelta del lettore, per desiderio di consegnare la scrittura al suo senso più profondo, e cioè non il monologo, la riflessione melanconica, l’esaltazione epica ma la dimensione dello specchio, dell’essere nell’altro per destino:

“Chiedo di essere accolto
in questa forma lenta.
*
Percorsi senza voce mi hanno segnata.
Vi porto riflessi, consistenze instabili
rimbalzi lontani di una tensione primaria.
*
“Proprio non vi riconoscevate?
Un ponte proteso nel buio
nei suoni gutturali di una caverna…
*
“Qui dove tutto si presta alla storia
e la terra ha il suo calendario
la nostra parte si è compiuta.
Tocca a voi l’ascolto.”

La poesia, dunque, non ci restituisce la cronaca del fatto, il suo palpitare senza domande, ma la domanda ultima dell’essere, del nostro essere qui e contemporaneamente assenti, consegnati a un futuro senza risposte – poi basterà / evitare il tuo nome -.

Sebastiano Aglieco

una lettura del libro di Paolo Pistoletti


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