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Margarita e il Gallo: l’Equivoco della Vita

Creato il 29 gennaio 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Alessandro Puglisi 29 gennaio 2014 teatro, vedere Nessun commento

Margarita e il gallo, testo di Edoardo Erba, portato in scena con la regia di Angelo Tosto e la produzione della Compagnia delle Isole, presso il Teatro Musco di Catania dal 24 al 26 gennaio scorsi, è opera in apparenza disimpegnata, leggera, finanche frivola. A ben vedere (o, per meglio dire, guardare), Margarita e il gallo (testo andato in scena per la prima volta nel 2006, con protagonista Maria Amelia Monti, moglie del drammaturgo pavese) è un divertente rondò postmoderno. Rondò perché Erba esercita il gusto della ripresa di temi e stilemi ormai ben consolidati, pressoché cristallizzati, anzi, della storia del teatro italiano; postmoderno nella misura in cui vicenda e tematiche portate alla ribalta sono pre-filtrate attraverso gli importanti crivelli del modernismo e di certa filosofia novecentesca, nonché di attualissime riflessioni sull’identità. Lo spunto narrativo, da commedia degli equivoci con tutti i crismi, vede la serva Margarita (Valentina Ferrante), figlia di una strega, “assunta” presso la casa dello squattrinato stampatore Annibale (Filippo Brazzaventre), il quale, per riuscire a portare a termine una pubblicazione chiede aiuto al visconte Morello (Giuseppe Bisicchia); quest’ultimo, però, si bea di preferenze erotiche poco “ortodosse”, per così dire. In questo scenario, gli ingredienti utili, vale a dire la prontezza d’ingegno che conduce all’equivoco, l’esaltazione della furberia, la sistematizzazione del motto di spirito, ci sono tutti.

Margarita e il Gallo: l’Equivoco della Vita

Angelo Tosto tiene in mano le redini della regia dei due atti con sicurezza e disinvoltura, aiutato da un testo piacevole, arguto, frizzante. Il “grammelot” originario di Margarita diventa un dialetto siciliano non privo di sgrammaticature e condotto con discutibile (e, proprio per questo, a tratti esilarante) competenza fonologica. Uno dei maggiori pregi, tuttavia, risiede proprio nelle strategie, quasi sempre riuscite e piuttosto eleganti, di “evitamento” del pecoreccio, tratto che, purtroppo, caratterizza spesso la messinscena di produzioni dialettali. Margarita e il gallo riesce a raggiungere con efficacia, e rapidità, una climax comica, oltre la quale si sarebbe, con tutta probabilità, scaduti, e invece si ferma proprio un attimo prima, quando sono già state gettate sul tavolo tutte le carte migliori; fra queste, numerose riflessioni, meno emergenti ma non meno “di emergenza”: la questione dell’identità (qui espressa attraverso la mediazione di una magarìa che permette una sorta di sostituzione di anime, o di corpi se si preferisce), la molteplicità dell’Io spezzettato novecentesco, l’androginia, l’omosessualità, il principio femminino.

Margarita e il Gallo: l’Equivoco della Vita

Tutti inneschi che possono con facilità, soprattutto agli occhi e alle orecchie dello spettatore meno smaliziato, passare sotto silenzio. E che, tuttavia, ci appaiono presenti, e produttivi, per quanto sottotraccia. Come annota lo stesso regista, ruolo centrale in questo Erba è la discendenza dalla tradizione della Commedia dell’Arte; non indifferente, però, si mostra la mediazione-contaminazione di quella tradizione con il più tardo teatro dei “caratteri”, il tutto ancora una volta aggiornato, almeno in parte, alle lezioni comiche di Scarpetta prima, e De Filippo poi. Il risultato è un pastiche ardito e coraggioso, in certa misura vertiginoso, eseguito con grande rapidità e versatilità dai bravi attori (su tutti, Brazzaventre); si ride, di certo, non viene risparmiato mai il dettaglio piccante, ma, a patto di possedere determinate coordinate culturali, si riflette anche, e non poco.


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