Magazine Libri

Maria Chiara, Angelica e la fava cottora dell’Amerino

Creato il 23 gennaio 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

Il loro sogno – dimostrare che l’autosufficienza alimentare è possibile – lo coltivano in Umbria, nel Ternano.

Le tipe toste questa volta sono Maria Chiara Flugy (37) e Angelica Tartamelli (33). La prima, di Palermo, si è trasferita nel polmone verde d’Italia dodici anni fa, quando ha conosciuto Alessandro con cui è sposata da dieci e con il quale nel 2009 ha inaugurato il PeR www.per.umbria.it.

La seconda è nata e vive a Frattuccia, una frazione di duecento anime del Comune di Guardea.

Maria Chiara, Angelica e la fava cottora dell’Amerino
Insieme nel 2010 hanno fondato l’Associazione dei produttori della fava di cottora dell’Amerino. Venti in tutto, concentrati nelle zone di Frattuccia e Collicello, frazione del Comune di Amelia.

“Galeotta fu – scherza Maria Chiara –la tesi di Angelica. E’ stata lei che, da laureanda in Agraria, con la sua tesi, ha riscoperto l’alto valore proteico di questo tipo di fava e mi ha coinvolta nel progetto. Abbiamo iniziato senza avere esperienza, ma solo curiosità e passione per la natura. Saranno stati i nostri genitori a trasmettercele. Ricordo che nel tempo libero amavano coltivare il loro piccolo orto. Questo ci avrà di sicuro pure spinte a frequentare la Facoltà di Agraria, anche se in posti e momenti diversi”.

La fava si chiama cottora, perché viene “cotta” prima dal sole e dalla terra, dal momento che si raccoglie già secca. E poi, perché si consuma solo dopo la cottura. Anche con la buccia, che è molto tenera.

Il legume ha la stessa dimensione di un’unghia. I colori variano dal verde – quando è appena raccolta – al rosso brunastro. Non è mai nera.

“Da queste parti la fava – aggiunge Maria Chiara – negli anni Cinquanta e Sessanta rappresentava l’unica fonte di sostentamento. Quando abbiamo iniziato a coltivarla volevamo recuperare sapori e tradizioni di un tempo. Non è stato facile. Io, poi, ho faticato molto per integrarmi in Umbria, una terra un po’ chiusa. Non avevamo esperienza. Il progetto, però, è piaciuto subito ai Comuni di Guardea e Amelia, alla Provincia e alla Camera di Commercio di Terni, i quali, con un contributo di tredicimila euro, hanno permesso che la fava cottora dell’Amerino diventasse presidio Slow Food”.

E cosa è cambiato da quel momento? “Il riconoscimento – spiega Angelica – garantisce l’alta qualità del prodotto, che da qualche anno abbiamo cominciato a vendere anche in altre regioni. Arrivano richieste da bar e ristoranti di Bologna. Qui la proponiamo bene anche ai clienti del Per, l’agriturismo di Alessandro e in occasione delle sagre locali. Dove prima c’erano solo cinghiale e polenta, ora impera la nostra fava. Anche a Palermo in tanti conoscono il nostro prodotto”.

Da quando la fava è diventata presidio Slow Food per Maria Chiara e Angelica sono aumentati produzione e fatturato. “Siamo passate – chiariscono – dai 20 chili iniziali ai 300 attuali. Oggi fatturiamo tra i 2 e i 3mila euro l’anno. Non siamo ricche, ma stiamo a poco a poco realizzando il nostro sogno: dimostrare che l’autosufficienza alimentare è possibile. E non solo quella, come ben comprende chi visita il Per”.

Maria Chiara, Angelica e la fava cottora dell’Amerino

Ma quanto è faticoso produrre la vostra fava? “Tanto – sorridono le due amiche – Sia la semina che la raccolta vengono fatte a mano per la caratteristica del prodotto. La semina si fa in inverno tra novembre e febbraio con il freddo umido di questa regione e la raccolta avviene a luglio, quando la pianta è secca”.

Le piante vengono estirpate oppure sfalciate e mantenute ad essiccare per qualche giorno. Vengono esposte al sole, nelle ore più calde della giornata. “Questo permette – aggiunge Angelica –  di far essiccare completamente i baccelli, facilita l’operazione di battitura a mano, che fa aprire i baccelli e consente così la raccolta dei semi, poi separati dalle impurità con un tradizionale setaccio, detto corvello o gigliaro. Dopo la pulitura, i semi sono selezionati a mano, per eliminare quelli verdi, rotti o macchiati e conservati in vasi di vetro con l’aggiunta di spicchi di aglio”.

La semina dura cinque giorni. Si piantano sette semi per ogni buca ad una distanza di cinquanta centimetri l’una dall’altra e in un campo di sette mila metri quadrati. Un ettaro produce mille chili di fava.

“Per quest’anno – dichiara la siciliana – abbiamo rimandato la semina. Fa troppo freddo. C’è tempo sino al mese prossimo!”.

Progetti di qui a qualche anno? “Puntiamo – annuncia Angelica – a preparare biscotti e pasta con farina di fava, che si può destinare ai celiaci poiché non contiene glutine. Siamo, comunque, soddisfatte  di quello che abbiamo realizzato in poco tempo e senza esperienza. E’ stato impegnativo. L’entusiasmo degli umbri è venuto dopo. Ma noi siamo ragazze toste”.

                                                                                                                         Cinzia Ficco


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :